Il governo privatizza l'acqua. L'opposizione che dice? - di Renzo Penna

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Il governo privatizza l'acqua.
L'opposizione che dice?

di Renzo Penna

27 novembre 2009

Dibattito - La fallimentare esperienza delle politiche liberiste, che sono tra le cause prime dell'attuale crisi globale, non sembra aver insegnato nulla ai governanti italiani. Così come, per quanto attiene l'acqua, non si è voluto tenere in conto le esperienze negative degli altri paesi, da ultimo testimoniate, in Francia, dal caso di Parigi che ha deciso di abbandonare la privatizzazione per tornare ad amministrare pubblicamente questa fondamentale risorsa. Mentre in Italia le parziali privatizzazioni portate avanti in alcune realtà hanno sempre comportato un aumento dei costi di gestione e delle tariffe e benefici nulli per quanto riguarda la riduzione degli sprechi e le perdite degli acquedotti

Giovedì della scorsa settimana il Parlamento ha approvato l'ennesimo Decreto del Governo che, insieme ad altre svariate norme, contiene anche la riforma dei servizi pubblici locali, compresa la privatizzazione dell'acqua. Con la legge che privatizza l'acqua si avalla la mercificazione di un patrimonio prezioso, di un bene comune il cui utilizzo dovrebbe rispondere a precisi criteri di utilità pubblica. La fallimentare esperienza delle politiche liberiste, che sono tra le cause prime dell'attuale crisi globale, non sembra aver insegnato nulla ai governanti italiani. Così come, per quanto attiene l'acqua, non si è voluto tenere in conto le esperienze negative degli altri paesi, da ultimo testimoniate, in Francia, dal caso di Parigi che ha deciso di abbandonare la privatizzazione per tornare ad amministrare pubblicamente questa fondamentale risorsa. Mentre in Italia le parziali privatizzazioni portate avanti in alcune realtà hanno sempre comportato un aumento dei costi di gestione e delle tariffe e benefici nulli per quanto riguarda la riduzione degli sprechi e le perdite degli acquedotti. Per non parlare dell'uso gravemente inefficiente delle risorse idriche in agricoltura dove vige, dal lontano 1933, una completa privatizzazione gestita dai Consorzi.

La privatizzazione, inoltre, penalizza tutte quelle gestioni pubbliche virtuose che, in Piemonte e in molte zone del Paese, stanno amministrando con un buon grado di efficienza ed economicità un bene comune che oggi il governo ha deciso di regalare alle multinazionali straniere del settore. Ricordo che nella nostra regione il costo per i cittadini dell'acqua potabile è, per mille litri, di poco superiore ad un euro e il prezzo al litro risulta, nei confronti dell'acqua minerale in bottiglia, inferiore di quattrocento-seicento volte, a seconda dei diverse marche commerciali.

Ma se l'acqua rappresenta la principale fonte di vita insostituibile per tutti gli ecosistemi, dalla cui disponibilità dipende la ricchezza ed il benessere delle popolazioni e ad oggi più di 1,4 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all'acqua potabile, è purtroppo anche vero che la comunità internazionale continua a rifiutare il riconoscimento dell'accesso all'acqua come un "diritto umano" cioè un diritto universale. Specie dopo la Conferenza Internazionale sull'acqua di Dublino (1992) essa preferisce trattare l'accesso all'acqua come un bisogno essenziale e l'acqua come un bene economico mercificabile. Ciò spiega perché la Dichiarazione ministeriale di Kyoto, approvata al 3° Foro Mondiale dell'Acqua, ha sancito che l'accesso all'acqua è un bisogno e non un diritto.
In l'Italia, poi, il sostegno al processo di privatizzazione che favorisce le politiche orientate al mercato, alla privatizzazione della gestione dei servizi idrici ed alla mercificazione dell'acqua non è solo imputabile alle posizioni della destra.

Su quest'ultimo aspetto un lettore de l'Unità ha recentemente ricordato la lettera aperta che Alex Zanotelli inviò a Walter Veltroni nel marzo 2008, in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua. In quella missiva il missionario comboniano, ricordando che Veltroni in visita alla spaventosa baraccopoli di Nairobi in Kenia si era commosso per le condizioni disumane nelle quali vivevano tanti africani e aveva promesso di portare quel grido di sofferenza nell'area della politica, lo rimprovera di essersene dimenticato. E prosegue: "Non chiedo carità, chiedo giustizia, quella distributiva che è il campo specifico della politica. E non parlo solo della fame del mondo, ma soprattutto della sete del mondo quando ti chiedo perché anche tu, nel tuo programma elettorale, hai appoggiato la privatizzazione dell'acqua. Lo sai che questo significa la morte di milione di persone per sete? Con questa logica di privatizzazione, se oggi abbiamo cinquanta milioni di morti per fame, domani avremo cento milioni di morti di sete. Sono scelte politiche che si pagano con milioni di morti. Caro Walter - conclude Zanotelli - perché non puoi proclamare che l'acqua non è una merce, ma un diritto fondamentale umano che deve essere gestita dalle comunità locali con totale capitale pubblico, al minimo costo possibile per l'utenza, senza essere una Spa?".
Contraddizione e pensiero debole, quello sulla privatizzazione dell'acqua, non solo di Veltroni, ma della principale formazione politica del centro sinistra, il Partito Democratico, che aveva già segnato una delle tante divisioni presenti nella compagine del secondo Governo Prodi e tuttora rappresenta, per una parte significativa dell'elettorato progressista, un elemento di critica e incomprensione sull'identità e la strategia della sinistra.

Un indirizzo che il Consiglio Provinciale di Alessandria ha seguito quando, il 20 dicembre 2004, ha approvato, con il voto favorevole della maggioranza e l'astensione dell'opposizione, l'Ordine del giorno sul "Riconoscimento dell'Acqua come Bene Comune e Patrimonio dell'Umanità" e l'accesso all'acqua potabile come "Diritto fondamentale Universale, degno di protezione giuridica".
Quella approvazione è stata, credo, una delle decisioni politicamente più impegnative assunte nei cinque anni del primo mandato della presidenza Filippi, ma, certo, con una conoscenza e una considerazione sulle conseguenze insufficiente e non adeguata da parte, sia della Giunta, che del Consiglio. Ricordo bene l'imbarazzo e i lunghi silenzi dei consiglieri dopo la relazione di presentazione del provvedimento e la difficoltà ad intervenire, in questo caso comune tra maggioranza ed opposizione. Per me comunque ha segnato, nel campo della risorsa acqua, la strada da seguire nelle responsabilità di Assessore e di Presidente dell'Autorità delle acque dell'alessandrino.

Riporto di seguito gli obiettivi che con quella decisione Presidente e Giunta provinciale si sono impegnati a sostenere e a realizzare nell'arco dei prossimi cinque-dieci anni:
A) In prospettiva locale impegna l'Amministrazione
- a riconoscere nel proprio Statuto il Diritto all'acqua;
- a impegnarsi a utilizzare, proteggere, conoscere e promuovere l'acqua come bene comune, nel rispetto dei principi fondamentali della sostenibilità integrale (ambientale, economica, politica ed istituzionale);
- a mantenere sotto il controllo pubblico il ciclo integrato dell'acqua compresi il capitale ed i servizi ad essa collegati (infrastrutture e insieme dei servizi di captazione, adduzione, distribuzione, fognature e depurazione);
- a garantire la sicurezza dell'accesso all'acqua, nelle quantità e qualità necessarie alla vita, a tutti i membri della comunità locale in solidarietà con le altre comunità e con le generazioni future: la quantità minima indispensabile alla vita quotidiana è stimata intorno ai 40 litri di acqua al giorno per persona. Tale quantità dovrà essere garantita come diritto e di conseguenza il costo essere commisurato alla necessità di mettere tutti i cittadini in condizione di poter fruire di tale diritto;
- a garantire pari accesso alla risorsa in termini di qualità e di quantità a tutti i cittadini applicando un sistema tariffario giusto e solidale, fondato sul principio di sostenibilità, sulla lotta all'abuso, su tariffe differenziate e proporzionali ai livelli di consumo;
- a contribuire alla riduzione sul territorio, e per quanto di propria competenza, dei prelievi eccessivi e sconsiderati sia in campo agricolo e zootecnico, sia industriale;
- a promuovere le forme più innovative di partecipazione dei cittadini alla definizione delle politiche dell'acqua a livello locale ed in particolare a sostenere la costituzione degli ATO dei Consigli dei Cittadini, cioè strumenti di democrazia rappresentativa, partecipata e diretta designati da organizzazioni rappresentative della società civile;
- a promuovere il ritorno dell'acqua nei luoghi pubblici, (re)introducendo "punti acqua" di ristoro, informazione e cultura nei luoghi di incontro sociale (piazze, stazioni, giardini, aeroporti, stadi...) alfine di contrastare il consumo di acqua in bottiglia, così deleterio per l'ambiente e di incentivare una nuova cultura dell'acqua;
- promuovere nell'ambito di una campagna di informazione - sensibilizzazione della Provincia sul Risparmio Idrico la divulgazione dei contenuti relativi al presente ordine del giorno.

B) In una prospettiva internazionale e mondiale:
- a destinare, per ogni metro d'acqua fatturato, una piccola percentuale, un centesimo di euro, al finanziamento di progetti di cooperazione internazionale che perseguono modelli sostenibili di gestione dell'acqua nei paesi sofferenti di penuria di acqua potabile (in attuazione dei principi esposti in Agenda 21);
- a stimolare ed incentivare lo studio di soluzioni innovative per la realizzazione del diritto all'accesso dell'acqua per tutti entro il 2020.

Acqua privatizzata: ''Maledetti voi...!'' - di Alex Zanotelli

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Acqua privatizzata:
''Maledetti voi...!''

di Alex Zanotelli

Non posso usare altra espressione per coloro che hanno votato per la privatizzazione dell'acqua, che quella usata da Gesù nel Vangelo di Luca, nei confronti dei ricchi : "Maledetti voi ricchi....!"

Maledetti coloro che hanno votato per la mercificazione dell'acqua.

Noi continueremo a gridare che l'acqua è vita, l'acqua è sacra, l'acqua è diritto fondamentale umano.
E' la più clamorosa sconfitta della politica. E' la stravittoria dei potentati economico-finanziari, delle lobby internazionali. E' la vittoria della politica delle privatizzazioni, degli affari, del business.
A farne le spese è ‘sorella acqua', oggi il bene più prezioso dell'umanità, che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici, sia per l'aumento demografico. Quella della privatizzazione dell'acqua è una scelta che sarà pagata a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese (bollette del 30-40% in più, come minimo), ma soprattutto dagli impoveriti del mondo. Se oggi 50 milioni all'anno muoiono per fame e malattie connesse, domani 100 milioni moriranno di sete. Chi dei tre miliardi che vivono oggi con meno di due dollari al giorno, potrà pagarsi l'acqua?"
Noi siamo per la vita, per l'acqua che è vita, fonte di vita. E siamo sicuri che la loro è solo una vittoria di Pirro. Per questo chiediamo a tutti di trasformare questa ‘sconfitta' in un rinnovato impegno per l'acqua, per la vita, per la democrazia. Siamo sicuri che questo voto parlamentare sarà un "boomerang" per chi l'ha votato.
Il nostro è un appello prima di tutto ai cittadini, a ogni uomo e donna di buona volontà. Dobbiamo ripartire dal basso, dalla gente comune, dai Comuni.

Per questo chiediamo:

AI CITTADINI di

  • protestare contro il decreto Ronchi, inviando e-mail ai propri parlamentari;
  • creare gruppi in difesa dell'acqua localmente come a livello regionale;
  • costituirsi in cooperative per la gestione della propria acqua.

AI COMUNI di

  • indire consigli comunali monotematici in difesa dell'acqua;
  • dichiarare l'acqua bene comune, 'privo di rilevanza economica';
  • fare la scelta dell'AZIENDA PUBBLICA SPECIALE.

LA NUOVA LEGGE NON IMPEDISCE CHE I COMUNI SCELGANO LA VIA DEL TOTALMENTE PUBBLICO, DELL'AZIENDA SPECIALE, DELLE COSIDETTE MUNICIPALIZZATE.

AGLI ATO

  • ai 64 ATO (Ambiti territoriali ottimali), oggi affidati a Spa a totale capitale pubblico, di trasformarsi in Aziende Speciali, gestite con la partecipazione dei cittadini.

ALLE REGIONI di

  • impugnare la costituzionalità della nuova legge come ha fatto la Regione Puglia;
  • varare leggi regionali sulla gestione pubblica dell'acqua.

AI SINDACATI di

  • pronunciarsi sulla privatizzazione dell'acqua;
  • mobilitarsi e mobilitare i cittadini contro la mercificazione dell'acqua.

AI VESCOVI ITALIANI di

  • proclamare l'acqua un diritto fondamentale umano sulla scia della recente enciclica di Benedetto XVI, dove si parla dell'"accesso all'acqua come diritto universale di tutti gli esseri umani, senza distinzioni o discriminazioni" (27);
  • protestare come CEI (Conferenza Episcopale Italiana) contro il decreto Ronchi.

ALLE COMUNITA' CRISTIANE di

  • informare i propri fedeli sulla questione acqua;
  • organizzarsi in difesa dell'acqua.

AI PARTITI di

  • esprimere a chiare lettere la propria posizione sulla gestione dell'acqua;
  • farsi promotori di una discussione parlamentare sulla Legge di iniziativa popolare contro la privatizzazione dell'acqua, firmata da oltre 400.000 cittadini.

L'acqua è l'oro blu del XXI secolo. Insieme all'aria, l'acqua è il bene più prezioso dell'umanità. Vogliamo gridare oggi più che mai quello che abbiamo urlato in tante piazze e teatri di questo paese: "L'aria e l'acqua sono in assoluto i beni fondamentali ed indispensabili per la vita di tutti gli esseri viventi e ne diventano fin dalla nascita diritti naturali intoccabili - sono parole dell'arcivescovo emerito di Messina, G. Marra. L'acqua appartiene a tutti e a nessuno può essere concesso di appropriarsene per trarne illecito profitto, e pertanto si chiede che rimanga gestita esclusivamente dai Comuni organizzati in società pubbliche, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione al costo più basso possibile."

Note:

Chi vuole aderire alla Lettera di Zanotelli scriva un'email all'indirizzo:
beni_comuni@libero.it

Corte costituzionale: illegittimità della legge regionale sull'acqua

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Corte costituzionale:
illegittimità della legge regionale sull'acqua


In particolare della "Legge regionale 26/2003: una legge innovativa per rifiuti, sottosuolo, energia e risorse idriche in Lombardia", com'è stata definita dalla Regione lombardia nel 2003, è considerato illegittimo l'art. 49 comma 1, quello che riguarda i servizi idrici integrati e la separazione tra gestione delle reti ed erogazione. Questo potrebbe voler dire che i consorzi per l'erogazione che comprendano Pavia acque, per esempio, siano possibili (se non obbligati) essendo Pavia acque il gestore delle reti idriche in provincia di Pavia. (ic)

[...] per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 18 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”); dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 49, comma 4, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia n. 18 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere e) e p) della Costituzione, in relazione all'articolo 148, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009."


SENTENZA N. 307
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 49, commi 1 e 4, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 8 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 10 ottobre 2006, depositato in cancelleria il 17 ottobre 2006 ed iscritto al n. 106 del registro ricorsi 2006.
Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia;
udito nell'udienza pubblica del 22 settembre 2009 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
udito l'avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto
1.¾ Con ricorso notificato il 10 ottobre 2006, depositato il successivo 17 ottobre e iscritto al n. 106 del registro ricorsi dell'anno 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, commi 1 e 4, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'art. 2 [recte 4], comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 8 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”).
2. ¾ Il comma 1 dell'articolo 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo risultante dall'impugnata legge di modifica, dispone che «l'Autorità organizza il servizio idrico integrato a livello di ambito separando obbligatoriamente l'attività di gestione delle reti dall'attività di erogazione dei servizi. Tale obbligo di separazione non si applica all'Autorità dell'ambito della città di Milano, che organizza il servizio secondo modalità gestionali indicate dall'articolo 2».
2.1. ¾ La difesa erariale ritiene che la previsione della obbligatoria separazione dell'attività di gestione delle reti da quella di erogazione dei servizi sia in contrasto con gli artt. 114, 117, secondo comma, lettera p), e 119 della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali di cui all'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) ed agli artt. 143, 147, 148, 150, 151, 153 e 176 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
2.2. ¾ La difesa erariale ricostruisce il quadro normativo, rilevando che, ai sensi dell'art. 141 del d.lgs. n. 152 del 2006, il servizio idrico integrato è disciplinato da norme statali per quanto concerne la tutela dell'ambiente e della concorrenza, nonché la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di servizio idrico integrato e le relative funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
L'Avvocatura richiama, tra gli altri, l'art. 153 del medesimo decreto legislativo, in base al quale «le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell'art. 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita, per la durata della gestione, al gestore del servizio integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare».
Per la difesa erariale tale disposizione comproverebbe il principio della unità della gestione delle reti e del servizio idrico. Unità che, per l'Avvocatura, sarebbe «di fondamentale importanza, in quanto l'obbligo, a carico del gestore, della manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti» sarebbe «posto a tutela della qualità della risorsa idrica fornita e quindi della salute pubblica oltre che di ciascun utente, prevenendo qualsiasi ipotesi di trasferimento della relativa responsabilità dal soggetto obbligato alla manutenzione all'ente proprietario della rete».
2.3. ¾ La separazione della rete dalla gestione del servizio risulterebbe anche lesiva dell'autonomia dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, quale riconosciuta dagli artt. 114 e 117, ed, in specie, violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, secondo il quale rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato la definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
A tale ambito sarebbero da ricondurre, per il ricorrente, i servizi pubblici locali di acquedotto, fognatura e depurazione, le cui modalità di gestione e di affidamento, disciplinate dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, sono qualificate come inderogabili ed integrative delle discipline di settore.
La difesa erariale richiama, poi, l'art. 176 del d.lgs. n. 152 del 2006 e sostiene che, in base a tale disposizione, la disciplina (già contenuta nella legge 5 gennaio 1994, n. 36, recante Disposizioni in materia di risorse idriche) e poi trasfusa negli artt. da 141 a 176 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, detterebbe principi fondamentali della materia, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Il ricorrente richiama, inoltre, il disposto dell'art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006, rimarcando come esso estenda la categoria dei beni demaniali degli enti locali territoriali rafforzandone la destinazione ad usi di pubblico interesse.
In questo contesto, per l'Avvocatura, la disciplina impugnata lederebbe la stessa autonomia patrimoniale dell'ente territoriale (art. 119 della Costituzione), al quale dovrebbe comunque residuare la titolarità dei beni demaniali in questione.
All'autorità di ambito spetterebbero, infatti, solo la tutela di questi beni, nonché le funzioni relative all'organizzazione, all'affidamento ed al controllo della gestione del servizio idrico integrato. Mentre in capo al soggetto gestore del servizio di erogazione graverebbe l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione, essendo esso tenuto alla manutenzione ordinaria (art. 151, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006) e straordinaria (art. 151, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006).
2.4. ¾ La separazione della gestione della rete dall'erogazione del servizio lederebbe, altresì, sempre nella prospettazione del ricorrente, il “diritto potestativo” di gestione diretta (o tramite una società a capitale interamente pubblico) del servizio idrico integrato riconosciuto ai comuni con popolazione fino a mille abitanti dall'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006. “Diritto” che risulterebbe, di contro (ed irragionevolmente), riconosciuto alla sola città capoluogo.
2.5. ¾ L'altra norma impugnata e cioè il comma 4 dell'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo risultante dall'impugnata legge di modifica, prevede che «l'affidamento dell'erogazione, così come definita dall'art. 2, comma 5, avviene con le modalità di cui alla lettera a) del comma 5 dell'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000. Nel caso di cui all'art. 47, comma 2, le Autorità possono procedere ad affidamenti congiunti per gli interambiti».
2.6. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la disposizione, nello stabilire che l'affidamento del servizio di erogazione possa avvenire solo con la modalità della gara pubblica, prevista dalla lettera a) del comma 5 dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, escludendo, pertanto, che possa avvenire anche secondo le modalità della società a capitale misto pubblico-privato ovvero della società a capitale interamente pubblico, previste dalle lettere b) e c) del medesimo comma 5, violerebbe la disciplina dettata dallo Stato, nell'esercizio della sua competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione).
La disposizione regionale, per l'Avvocatura, sarebbe pure in contrasto con la disciplina di settore, recata dal d.lgs. n. 152 del 2006, tanto nella parte in cui questa (art. 150, comma 2) prevede che l'autorità di ambito aggiudica la gestione del servizio idrico mediante gara in conformità ai criteri di cui all'art. 113, comma 5, lettere a), b) e c), del d.lgs. n. 267 del 2000, quanto nella parte in cui questa (art. 148, comma 5) riconosce ai comuni di popolazione fino a mille abitanti, ricadenti in comunità montane, la facoltà di scegliere la gestione diretta del servizio.
Complessivamente, la limitazione delle modalità di affidamento del servizio idrico integrato alla sola procedura di gara pubblica sarebbe, per l'Avvocatura, lesiva dell'autonomia degli enti locali ed eccederebbe dalla competenza legislativa regionale, finendo per incidere sulla competenza esclusiva statale in materia di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.
3. ¾ La Regione Lombardia si è costituita, eccependo l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso.
Dopo una ampia ricostruzione della disciplina normativa di riferimento e dopo il richiamo dei principi affermati dalle sentenze n. 29 del 2006 e n. 272 del 2004 della Corte costituzionale, in materia di servizi pubblici locali, la Regione individua, anzitutto, tre distinti profili di inammissibilità del ricorso.
3.1. ¾ Per la difesa regionale un primo profilo di inammissibilità consisterebbe nella erronea indicazione della norma impugnata.
L'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, i cui commi 1 e 4 sono oggetto del ricorso statale, è stato, infatti, interamente sostituito dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia n. 18 del 2006 e non, come erroneamente indicato dalla difesa erariale, dall'art. 2 della stessa legge.
3.1.1. ¾ Un secondo profilo di inammissibilità, per la Regione, discenderebbe dal carattere incerto e oscuro del petitum del ricorso, nel quale sarebbero indicati in modo confuso disposizioni regionali o statali di settore e parametri costituzionali, senza una chiara individuazione dei motivi di censura.
3.1.2. ¾ Un terzo profilo di inammissibilità discenderebbe, infine, dalla palese aberratio ictus del ricorso.
Per la Regione il fine del ricorso sarebbe, infatti, non tanto quello di censurare la separazione tra la gestione delle reti e l'attività di erogazione del servizio, quanto quello di contestare l'affidamento della gestione delle reti agli enti locali e/o alle società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico incedibile. Sennonché tali previsioni sarebbero contenute non negli impugnati commi 1 e 4 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, bensì nei commi 2 e 3 del medesimo articolo (nonché nell'ivi richiamato art. 2, comma 1, della stessa legge) ovvero in disposizioni non fatte oggetto di censura.
3.2. ¾ Nel merito la Regione contesta, anzitutto, la fondatezza della censura riferita al comma 1 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, come novellato, sostenendo che non sussisterebbe nel d.lgs. n. 152 del 2006 alcuna norma che vieti la separazione tra gestione delle reti ed erogazione del servizio.
Per la difesa regionale tale principio non sarebbe infatti enucleabile né dall'art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, invocato dall'Avvocatura dello Stato, né dalle altre disposizioni pure richiamate dalla difesa erariale (artt. 147, comma 2, lettera b), 148, comma 5, 149, comma 5, e 150, comma 1).
Per la Regione, da un canto, la separazione della gestione della rete da quella dell'erogazione del servizio sarebbe pienamente legittima, in quanto non vietata né espressamente né implicitamente dalla normativa di settore richiamata dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000. E, dall'altro, il diverso principio della unicità territoriale della gestione sarebbe da intendersi come unitarietà della stessa all'interno di ciascun ambito ottimale e, pertanto, come necessità di superamento di ogni frammentazione orizzontale tra gestioni all'interno dell'ambito ottimale.
3.3. ¾ La difesa regionale sostiene, poi, che l'impugnato art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003 non sarebbe in alcun modo lesivo dell'autonomia degli enti locali né eccederebbe la competenza legislativa regionale.
Al riguardo, la Regione richiama la sentenza n. 272 del 2004 della Corte costituzionale, per la quale la materia dei servizi pubblici locali rientra nella competenza residuale delle Regioni, di cui all'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
3.4. ¾ La Regione reputa, poi, «incomprensibile» il richiamo delle previsioni degli artt. 143 e 151, comma 2, lettera m), del d.lgs. n. 152 del 2006, riguardanti gli impianti di proprietà degli enti locali e gli obblighi di restituzione degli stessi alla scadenza dell'affidamento, effettuato dal Presidente del Consiglio dei ministri. Tali aspetti della disciplina statale non sarebbero, infatti, né collegati né messi in discussione dalla disposizione impugnata.
3.5. ¾ La Regione contesta, inoltre, la lettura dell'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006 data dal ricorrente.
Per la difesa regionale la previsione, che consente ai comuni con popolazione fino a mille abitanti la gestione diretta (o tramite una società a capitale interamente pubblico) del servizio idrico integrato, non sarebbe una norma di principio vincolante la legislazione regionale, bensì solo una disposizione di dettaglio per la «salvaguardia di gestioni esistenti che abbiano dato prova di operare secondo parametri di efficacia sul piano della qualità e dell'economicità dei servizi».
«In ogni caso», continua la Regione, «la norma regionale censurata dall'Avvocatura dello Stato» non si porrebbe in contrasto con la disposizione statale, dacché «avendo in realtà ad oggetto, la sola Autorità d'ambito della città di Milano» non recherebbe una preclusione esplicita di gestione diretta da parte dei piccoli comuni.
3.6. ¾ La Regione ritiene, infine, viziata da assoluta genericità ed addirittura «incomprensibile» la censura riferita alla violazione dell'art. 119 della Costituzione.
«In subordine», afferma la Regione, «se con tale censura si intende contestare l'attribuzione da parte della legge regionale, della gestione delle reti agli enti locali e/o alle società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico incedibile, tale censura risulta inammissibile per aberratio ictus».
3.7. ¾ In ordine alla censura relativa al comma 4 dell'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, la difesa regionale sostiene che la legislazione statale di settore non imporrebbe affatto tutti e tre i modelli di affidamento astrattamente prefigurati dal comma 5 dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, rimettendo, invece, al legislatore regionale la scelta su quale opzione seguire. Peraltro, per la Regione, la previsione contestata sarebbe comunque legittima, in quanto tesa ad introdurre un regime, quello della gara pubblica, più concorrenziale rispetto alla corrispondente norma di legge statale. In proposito la Regione sottolinea la “criticità” rispetto alla disciplina comunitaria della concorrenza degli istituti dei c.d. affidamenti in house, e rimarca come la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, proprio in ragione del suo carattere funzionale e trasversale, non escluda affatto un intervento normativo regionale, in senso di maggiore concorrenzialità del mercato.
3.8. ¾ La limitazione delle modalità di affidamento della erogazione del servizio idrico integrato alla sola gara pubblica non sarebbe per la Regione neppure lesiva dell'autonomia degli enti locali né toccherebbe le loro funzioni fondamentali. Sul punto la Regione richiama nuovamente i principi affermati nella sentenza n. 272 del 2004 della Corte costituzionale e sottolinea come lo stesso art. 151, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimetta alle Regioni la definizione di convenzioni tipo, le quali devono prevedere in particolare il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio.
4. ¾ Successivamente alla proposizione del ricorso, l'art. 8 della legge della Regione Lombardia 27 febbraio 2007, n. 5 (Interventi normativi per l'attuazione della programmazione regionale e di modifica e integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2007) ha interpretato autenticamente le disposizioni impugnate, prevedendo:
- al comma 1, che «[l]'articolo 49, comma 2, secondo periodo, e comma 3, della L.R. n. 26/2003, è da intendersi nel senso che la società cui spetta l'attività di gestione è unica a livello d'ambito territoriale ottimale e che, qualora la società non sia anche rappresentativa di almeno i due terzi dei comuni dell'ambito, la gestione è affidata o a un'unica società a livello d'ambito partecipata esclusivamente e direttamente da tutti i comuni, o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, a condizione che gli stessi esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti locali che la controllano, oppure a un'unica impresa a livello d'ambito individuata con le modalità di cui al'articolo 49, comma 3, lettera b), della L.R. n. 26/2003»;
- al comma 2, che «[l]'articolo 49, comma 4, primo periodo, della L.R. n. 26/2003, si interpreta nel senso che l'attività di erogazione del servizio è affidata a un soggetto unico a livello d'ambito territoriale ottimale».
5. ¾ In prossimità della udienza pubblica del 20 novembre 2007 la Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale, in buona sostanza, ha ribadito le difese già svolte.
5.1. ¾ La difesa regionale, inoltre, ha rilevato come, conformemente alle proprie argomentazioni, lo «Schema di decreto legislativo concernente “Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante norme in materia ambientale”» abbia previsto la sostituzione del termine “unicità della gestione”, presente nell'art. 147, comma 2, lettera b), con quello di “unitarietà della gestione”.
5.2. ¾ La difesa regionale ha, inoltre, eccepito l'inammissibilità della censura proposta in riferimento alla violazione dell'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, per mancata indicazione del parametro costituzionale violato.
5.3. ¾ La Regione Lombardia ha rilevato, infine, che un intervento normativo analogo a quello da essa realizzato con l'introduzione del comma 4 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, come novellato, è stato posto in essere dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con la legge regionale 23 giugno 2005, n. 13 (Organizzazione del servizio idrico integrato e individuazione degli ambiti territoriali ottimali in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36, «Disposizioni in materia di risorse idriche»), senza che questo desse luogo ad alcuna impugnazione da parte del Governo.
6. ¾ Nell'udienza del 20 novembre 2007, su richiesta concorde delle parti, è stato disposto il rinvio della trattazione del giudizio, per consentire un tentativo di conciliazione extragiudiziale della controversia ed, in particolare, in ragione di una possibile modifica della legge regionale oggetto del giudizio.
7. ¾ Successivamente è stato emanato il decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), il quale ha modificato, in parte, le norme del d.lgs. n. 152 del 2006 invocate quali parametri interposti del giudizio.
In particolare, il nuovo art. 147, comma 2, lettera b), prevede che le Regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, nel rispetto (non più del principio della unicità, bensì) del principio di unitarietà della gestione e, comunque, del superamento della frammentazione verticale delle gestioni.
Analogamente, il nuovo art. 150, comma 1, prevede che l'autorità d'ambito deliberi la forma di gestione del servizio idrico integrato fra quelle di cui all'art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, nel rispetto del piano d'ambito e (non più del principio della unicità, bensì) del principio di unitarietà della gestione per ciascun ambito.
Mentre l'art. 148, comma 5, prevede che, ferma restando la partecipazione obbligatoria all'autorità d'ambito di tutti gli enti locali, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso dell'Autorità d'ambito competente.
7.1. ¾ E' stato, poi, emanato l'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha modificato l'art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, stabilendo la regola della gara pubblica per l'affidamento dei servizi pubblici locali e la graduale eliminazione delle altre forme di affidamento.
8. ¾ In data 28 gennaio 2009 (in prossimità dell'udienza pubblica del 10 febbraio 2009, alla quale il giudizio era stato nuovamente rinviato), la resistente Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale dà atto della approvazione (in data 27 gennaio 2009) da parte del Consiglio regionale del progetto di legge regionale presentato dalla Giunta regionale dal titolo «Modifiche alle disposizioni generali e alla disciplina del servizio idrico integrato di cui alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”», recante modifiche alle disposizioni impugnate nel presente giudizio.
In considerazione della prevista parziale abrogazione e modifica di tali disposizioni la difesa regionale ha chiesto il rinvio della trattazione nel merito del giudizio, «per permettere al Governo un'attenta valutazione del testo, al fine di rinunciare al ricorso».
Sempre in data 28 gennaio 2009 l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una istanza di rinvio, al fine di valutare «alla luce delle nuove norme regionali, nonché del mutato quadro normativo statale di riferimento, se si possa procedere ad una rinuncia del ricorso per cessata materia del contendere».
9. ¾ In prossimità dell'udienza pubblica del 22 settembre 2009 la Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale evidenzia la sopravvenuta sostituzione delle disposizioni impugnate da parte dell'art. 6 della legge regionale 29 gennaio 2009, n. 1 (Modifiche alle disposizioni generali del servizio idrico integrato di cui alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”).
9.1. ¾ L'art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009, ha sostituito, in effetti, l'impugnato comma 1 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, come modificato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, prevedendo che «[l]'Autorità organizza il servizio idrico integrato a livello di ambito separando l'attività di gestione delle reti dall'attività di erogazione dei servizi. In sede di approvazione del piano d'ambito, o con successiva modifica, l'Autorità può deliberare la non separazione fra gestione ed erogazione ai sensi dell'articolo 2, comma 6, in ragione di condizioni di maggior favore che tale scelta comporta a beneficio dell'utenza servita. Qualora il piano preveda la non separazione fra gestione delle reti ed erogazione del servizio, allo stesso o alla sua modifica deve essere allegata una relazione che espliciti le condizioni di maggior favore. L'affidamento congiunto di gestione ed erogazione è disposto dall'Autorità d'ambito ad un unico soggetto ai sensi del comma 3 e nel rispetto delle modalità di cui al comma 4-bis, per un periodo che non può superare i dieci anni. A carico di tale unico soggetto sono posti gli obblighi assegnati al gestore e all'erogatore in base alla presente legge e nel rispetto dell'articolo 2, comma 6-bis».
Lo stesso art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009 ha sostituito, altresì, l'impugnato comma 4 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, prevedendo che «[l]'erogazione del servizio, così come definita dall'articolo 2, comma 5, è affidata, secondo la normativa comunitaria, a un unico soggetto per ambito con le modalità di cui all'articolo 23-bis, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 per un periodo non superiore a dieci anni. Nell'ipotesi di cui all'articolo 47, comma 2, le Autorità possono procedere ad affidamenti congiunti per gli interambiti. L'Autorità, con deliberazione adottata con il voto favorevole dei due terzi dei componenti, può affidare direttamente l'erogazione del servizio alla unica società patrimoniale d'ambito se presenta le caratteristiche della società di cui al comma 3, lettera a)».
Il predetto art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009 aggiunge, poi, dopo il comma 4 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, i commi 4-bis, 4-ter, 4-quater, secondo i quali:
- (4-bis) «[I]l ricorso alle modalità di affidamento diretto della gestione, della erogazione o congiuntamente di entrambe, ai sensi del comma 3, lettera a), è ammesso solo nel rispetto dell'articolo 23-bis, comma 3, L. 133/2008. L'Autorità d'ambito, fermi restando gli obblighi previsti dall'articolo 23-bis, comma 4, L. 133/2008, in caso di ricorso all'affidamento diretto è tenuta a dare adeguata pubblicità alla scelta e alla motivazione della decisione, secondo forme e modi stabiliti dalla Giunta regionale e a trasmettere una relazione al Garante dei servizi di cui all'articolo 3, motivando la scelta del ricorso all'affidamento diretto e alle relative modalità operative per l'espressione di un parere sui profili di competenza»;
- (4-ter) «[L]a Giunta regionale: a) disciplina la pubblicità della scelta di cui al comma 4-bis, stabilendone almeno la pubblicazione sull'albo pretorio e sul sito informatico dell'Autorità d'ambito, nonché la pubblicizzazione con ulteriori strumenti informativi, inclusa quella su quotidiani nazionali e regionali; b) precisa i contenuti della relazione di cui al comma 4-bis, nonché le modalità per la richiesta e l'espressione del parere del Garante da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della documentazione dell'Autorità»;
- (4-quater) «[I]l mancato rispetto degli impegni sottoscritti dall'erogatore o dal soggetto titolare dell'affidamento congiunto di gestione ed erogazione, contenuti nel contratto di servizio, per tre anni consecutivi o per il termine inferiore indicato nel contratto di servizio, comporta per l'Autorità l'obbligo di risolvere il contratto. In caso di accertata inattività dell'Autorità la Regione interviene ai sensi dell'articolo 13-bis.».
9.2. ¾ La difesa regionale sostiene che, alla luce delle nuove disposizioni recate dall'art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009, sarebbe cessata la materia del contendere del presente giudizio.
9.3. ¾ La prevista facoltatività (in luogo della anteriormente prevista obbligatorietà) della separazione tra la gestione della rete e quella della erogazione del servizio farebbe, infatti, venire meno l'interesse statale alla impugnativa dell'art. 49, comma 1, della legge regionale n. 26 del 2003, come modificato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006.
9.4. ¾ La prevista sottoposizione delle procedure di affidamento della erogazione del servizio alla disciplina comunitaria e a quella recata dall'art. 23-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, (in luogo della anteriormente prevista applicazione della sola modalità di cui all'art. 113, comma 5, lettera a), del d.lgs. n. 267 del 2000 ovvero della sola modalità della gara pubblica), sempre secondo la difesa regionale, farebbe venire meno l'interesse anche in ordine alla ulteriore censura statale, riferita al comma 4 dell'art. 49, come modificato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006. Ciò, in quanto il predetto art. 23-bis (che, al comma 11, ha espressamente abrogato tutte le previsioni incompatibili dettate dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000) consentirebbe tanto l'affidamento a favore di imprenditori o di società in qualunque forme costituite individuate mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (art. 23-bis, comma 2), quanto l'affidamento diretto, purché nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria (art. 23-bis, commi 3 e ss.).
La difesa regionale, anche in considerazione della previsione dell'art. 49, comma 1, della legge regionale n. 26 del 2003, come sostituito dall'art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009, per il quale, in caso di affidamento congiunto della gestione della rete e della erogazione del servizio ad unico soggetto, questo viene individuato, ai sensi dell'art. 49, comma 3, della medesima legge tra «società partecipate esclusivamente e direttamente dai comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, a condizione che gli stessi esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti locali che la controllano» ovvero tra «imprese idonee da individuare mediante procedure a evidenza pubblica» sostiene che, in definitiva, vi sarebbe perfetta compatibilità (ed anzi sovrapponibilità) tra la disciplina regionale ora vigente e quella invocata dallo Stato nel presente giudizio quale norma interposta asseritamente violata, di cui all'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000.
9.5. ¾ La difesa regionale sostiene, infine, che, laddove fosse ritenuto necessario alla verifica dell'attualità dell'interesse al ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, potrebbe procedersi ad una istruttoria per accertare l'avvenuta applicazione o meno delle disposizioni impugnate prima della loro intervenuta abrogazione e sostituzione.
9.6. ¾ In via subordinata rispetto alla richiesta declaratoria di cessazione della materia del contendere, la difesa regionale lombarda, rilevato che sono stati proposti due ricorsi governativi (r. ric. n. 26 e n. 56 del 2009) avverso disposizioni della legge regionale n. 1 del 2009 e della legge 29 giugno 2009, n. 10 (Disposizioni in materia di ambiente e servizi di interesse economico generale – Collegato ordinamentale), anch'esse relative alla disciplina del servizio idrico integrato, chiede il rinvio della trattazione del presente giudizio, al fine di consentire l'esame congiunto dei tre ricorsi.
9.7. ¾ Nel merito la difesa regionale ribadisce, peraltro, gli argomenti già sviluppati nel senso della infondatezza del ricorso statale.
10. ¾ All'udienza del 22 settembre 2009 l'Avvocatura generale dello Stato ha affermato la persistenza dell'interesse a ricorrere, atteso che le disposizioni impugnate avrebbero avuto applicazione prima della loro abrogazione e sostituzione, e ha depositato alcuni documenti dai quali sarebbe desumibile l'avvenuta applicazione delle stesse.
La difesa della Regione Lombardia si è opposta a tale produzione documentale, in ragione della tardività ed irritualità del deposito.
Considerato in diritto
1. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, commi 1 e 4, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituiti dall'art. 2 (recte 4), comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 18 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 «Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche»).
1.1. ¾ L'art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo novellato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, prescrive che: «L'Autorità organizza il servizio idrico integrato a livello di ambito separando obbligatoriamente l'attività di gestione delle reti dall'attività di erogazione dei servizi. Tale obbligo di separazione non si applica all'Autorità dell'ambito della città di Milano, che organizza il servizio secondo le modalità gestionali indicate dall'art. 2»
Per il ricorrente tale disposizione sarebbe in contrasto con gli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali di cui all'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) ed agli artt. 143, 147, 148, 150, 151, 153 e 176 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in quanto avrebbe violato il principio dell'unità della gestione delle reti e del servizio previsto dalla disciplina dettata dallo Stato nell'esercizio della sua competenza legislativa esclusiva in ordine alla definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
La disposizione impugnata sarebbe, poi, in contrasto con l'art. 119 della Costituzione, in quanto la separazione della gestione della rete da quella del servizio sarebbe dovuta avvenire con il conferimento della proprietà degli impianti, della rete e delle opere ad una società interamente partecipata dai comuni, nelle forme indicate dall'art. 2, comma 1, e 49, commi 2 e 3, della medesima legge regionale n. 26 del 2003, come novellata, e non avrebbe garantito la titolarità in capo ai comuni dei beni del proprio demanio idrico.
L'art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo novellato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, viene, infine, censurato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in relazione all'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto la separazione della gestione della rete dalla erogazione del servizio non avrebbe rispettato il “diritto potestativo” di gestione diretta (o tramite una società a capitale interamente pubblico) del servizio idrico integrato riconosciuto ai comuni con popolazione fino a mille abitanti ricadenti in comunità montane.
1.2. ¾ L'art. 49, comma 4, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo risultante dall'impugnata legge di modifica n. 18 del 2006, prevede che l'affidamento della gestione dell'erogazione del servizio idrico integrato debba avvenire con la modalità della gara pubblica, prevista dalla lettera a) del comma 5 dell'articolo 113 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Per il ricorrente tale disposizione, nella parte in cui esclude che l'affidamento della gestione dell'erogazione del servizio idrico integrato non possa avvenire anche secondo le modalità della società a capitale misto pubblico privato ovvero della società a capitale interamente pubblico, previste dalle lettere b) e c) del medesimo comma 5, dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, avrebbe violato l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in quanto contraria alla disciplina dettata dallo Stato nell'esercizio della sua competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza.
La disposizione impugnata sarebbe, poi, in contrasto con gli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione, per ragioni analoghe a quelle sopra indicate in merito all'impugnazione del comma 1.
L'art. 49, comma 4, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, viene, infine, censurato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in relazione all'articolo 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, anche in questo caso, per ragioni analoghe a quelle sopra indicate in merito all'impugnazione del comma 1.
2. ¾ Deve preliminarmente rilevarsi che le disposizioni impugnate sono state modificate da parte dell'art. 6 della legge regionale 29 gennaio 2009, n. 1 (Modifiche alle disposizioni generali del servizio idrico integrato di cui alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”).
Peraltro, stante la vigenza delle disposizioni impugnate per circa due anni prima della loro abrogazione e sostituzione a carattere non retroattivo e non constando che esse non abbiano avuto nelle more concreta applicazione, deve ritenersi il perdurante interesse del ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri all'impugnazione proposta, limitatamente al periodo di vigenza delle disposizioni stesse.
3. ¾ Ancora in via preliminare deve dichiararsi la inammissibilità della produzione documentale depositata dall'Avvocatura generale dello Stato nel corso dell'udienza pubblica del 22 settembre 2009, stante la tardività di tale produzione e l'opposizione della resistente Regione Lombardia sul punto.
3.1. ¾ Sempre in via preliminare devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa della Regione Lombardia.
3.2. ¾ L'errore materiale nell'indicazione della norma impugnata denunciato dalla resistente è effettivamente sussistente (l'articolo 49 della legge regionale n. 26 del 2003, i cui commi 1 e 4 sono oggetto del ricorso statale, è stato interamente sostituito dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006 e non dall'articolo 2 della stessa legge, erroneamente indicato dalla difesa erariale), ma ciò non preclude l'ammissibilità del ricorso, dato che questo riporta il testo esatto delle disposizioni impugnate, sicché nessun dubbio sussiste in ordine alla identificazione delle stesse.
3.3. ¾ Quanto alla prospettata incertezza ed oscurità del petitum, si deve rilevare che il ricorso enuncia con sufficiente chiarezza i motivi di censura, là dove contesta, in relazione alla normativa statale di settore in materia di servizio idrico integrato, l'obbligo di separazione tra la gestione della rete e della erogazione del servizio idrico, nonché i criteri di affidamento di quest'ultimo, previsti dalla legge regionale censurata.
3.4. ¾ Non appare, infine, sussistere la prospettata aberratio ictus del ricorrente, atteso che, contrariamente a quanto assume la difesa regionale, il ricorso censura, in via generale, la possibilità di affidare separatamente la gestione delle reti e l'attività di erogazione del servizio (prevista dall'impugnato comma 1 dell'art. 49 della legge regionale, n. 26 del 2003) e non l'affidamento della gestione delle reti agli enti locali e/o alle società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico incedibile (previsto nei non impugnati commi 2 e 3 del medesimo art. 49). Disciplina quest'ultima, che, peraltro, non è stata oggetto di impugnazione da parte dello Stato.
4. ¾ Nel merito può anzitutto rilevarsi che entrambe le disposizioni regionali impugnate riguardavano il servizio idrico integrato.
La relativa disciplina statale è stata dettata, essenzialmente, dal d.lgs. n. 152 del 2006, il cui art. 141 evidenzia come lo Stato, per regolare tale oggetto, abbia fatto ricorso a sue competenze esclusive in una pluralità di materie: funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela dell'ambiente, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Deve, in altri termini, parlarsi di un concorso di competenze statali, che vengono esercitate su oggetti diversi, ma per il perseguimento di un unico obiettivo, quello dell'organizzazione del servizio idrico integrato.
4.1. ¾ Ciò premesso in linea generale, devono ora trattarsi separatamente le questioni relative al primo ed al quarto comma dell'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, sostitutivo di detti commi.
5. ¾ La questione sollevata avverso l'art. 49, comma 1, in riferimento agli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali di cui all'articolo 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 ed agli artt. 143, 147, 148, 150, 151, 153 e 176 del d.lgs. n. 152 del 2006, è fondata.
5.1. ¾ L'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, nel disciplinare la gestione delle reti e l'erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, prevede che siano le discipline di settore a stabilire i casi nei quali l'attività di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici locali può essere separata da quella di erogazione degli stessi. Pone, cioè, un generale divieto di separazione, salva la possibilità per le discipline di settore di prevederla.
Per quanto attiene al servizio idrico integrato, come si è detto, la disciplina statale di settore è recata dal d.lgs. n. 152 del 2006.
Quest'ultimo non prevede né espressamente né implicitamente la possibilità di separazione della gestione della rete idrica da quella di erogazione del servizio idrico; mentre in varie disposizioni del decreto sono riscontrabili chiari elementi normativi nel senso della loro non separabilità.
L'art. 147, comma 2, lettera b) del d.lgs. n. 152 del 2006, in particolare, nel testo vigente alla data di promulgazione della legge regionale impugnata, impone alle Regioni di osservare, in sede di modifica delle delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, oltre i principi di efficienza, efficacia ed economicità, soprattutto quello di «unicità della gestione e, comunque, del superamento della frammentazione verticale delle gestioni».
In questo contesto appare non rilevante la novella recata alla prima parte dello stesso art. 147, comma 2, lettera b), nonché all'art. 150, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 dal d.lgs. correttivo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n, 152, recante norme in materia ambientale), secondo la quale, nella individuazione dei principi vincolanti le Regioni nella organizzazione degli ambiti territoriali ottimali e nella scelta delle forme e delle procedure di affidamento, l'espressione «unicità della gestione» deve essere sostituita con quella di «unitarietà della gestione».
Indipendentemente da ogni considerazione sul valore semantico dei termini «unicità» ed «unitarietà» della gestione, è, infatti evidente che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte.
La non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico è confermata anche da ulteriori disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006.
Anzitutto, gli artt. 151, commi 2 e 4, e 153 del d.lgs. n. 152 del 2006, sia prima che dopo la novella recata dal decreto correttivo n. 4 del 2008, prevedono che il gestore del servizio idrico integrato debba gestire e curare la manutenzione (ordinaria e straordinaria) delle reti e quindi escludono che possa darsi una distinzione tra gestore della rete, tenuto alla sua manutenzione, e erogatore del servizio, che da tale obbligatoria attività sia sollevato.
L'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, poi, tanto nel testo vigente alla data di promulgazione della legge regionale impugnata, quanto in quello risultante dalle successive novelle, regola l'affidamento del servizio idrico integrato senza differenziare affatto tra affidamento della rete e del servizio di erogazione e quindi senza consentire una separazione tra di essi.
5.2. ¾ Stabilito che la disciplina statale di settore non consente la separabilità tra gestione della rete e gestione del servizio idrico integrato, resta da chiarire che tale principio risulta vincolante per il legislatore regionale, in quanto riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di funzioni fondamentali dei comuni (art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.). Infatti, le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l'evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina è stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dal novellato art. 117.
Ciò non toglie, ovviamente, che la competenza in materia di servizi pubblici locali resti una competenza regionale, la quale, risulta in un certo senso limitata dalla competenza statale suddetta, ma può continuare ad essere esercitata negli altri settori, nonché in quello dei servizi fondamentali, purché non sia in contrasto con quanto stabilito dalle leggi statali.
L'art. 49, comma 1, della legge regionale n. 26 del 2003, novellato dalla legge regionale n. 18 del 2006, dunque, ponendo il principio della separazione delle gestioni, violava specificamente la competenza statale in materia di funzioni fondamentali dei comuni, laddove, in contrasto con la disciplina statale, consentiva ed anzi imponeva una separazione non coordinata tra la gestione della rete e l'erogazione del servizio idrico integrato.
5.3. ¾ Resta assorbita ogni ulteriore questione relativa al comma 1 dell'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006.
6. ¾ Le questioni sollevate in ordine al comma 4 del medesimo art. 49 sono, invece, non fondate.
6.1. ¾ Le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica sono regolate, in via generale, dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 e dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008. Norme entrambe emanate nell'esercizio della competenza statale in materia di tutela della concorrenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione (cfr. sent. n. 272 del 2004).
Inconferente risulta, pertanto, in subiecta materia l'invocazione da parte del ricorrente degli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, nonché dell'articolo 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, posto che la regolamentazione di tali modalità non riguarda un dato strutturale del servizio né profili funzionali degli enti locali ad esso interessati (come, invece, la precedente questione relativa alla separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico), bensì concerne l'assetto competitivo da dare al mercato di riferimento.
6.2. ¾ La disciplina statale vigente al momento della proposizione del ricorso (art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000) prevedeva, al riguardo, più forme di affidamento, consentendo che esso avvenisse, oltre che a favore di società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, anche, a determinate condizioni, a favore di società a capitale misto pubblico–privato ovvero di società a capitale interamente pubblico.
Al fine di garantire una maggiore concorrenzialità dei relativi mercati la successiva disciplina recata dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, che si è in parte sovrapposta e in parte integrata con quella dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, ha previsto la necessità della gara pubblica per l'affidamento del servizio pubblico locale a rilevanza economica, limitando ulteriormente e sempre con il rispetto delle norme comunitarie il ricorso a forme di affidamento differenti.
In questo contesto si inserisce la disposizione regionale impugnata, la quale, peraltro, in riferimento al solo servizio di erogazione idrica, prevedeva una disciplina parzialmente differente, consentendo solo l'affidamento mediante gara pubblica.
Le norme statali, tanto quelle vigenti all'epoca dei fatti, quanto le attuali, sono, come si nota, meno rigorose di quelle poste dalla Regione. Occorre allora stabilire se le Regioni, in tema di tutela della concorrenza, possono dettare norme che tutelano più intensamente la concorrenza, rispetto a quelle poste dallo Stato.
Al riguardo, deve considerarsi che la Costituzione pone il principio, insieme oggettivo e finalistico, della tutela della concorrenza, e si deve, pertanto, ritenere che le norme impugnate, in quanto più rigorose delle norme interposte statali, ed in quanto emanate nell'esercizio di una competenza residuale propria delle Regioni, quella relativa ai “servizi pubblici locali”, non possono essere ritenute in contrasto con la Costituzione.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 18 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”);
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 49, comma 4, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia n. 18 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere e) e p) della Costituzione, in relazione all'articolo 148, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Israele-Palestina, la pace si perde in un bicchiere d’acqua - di Enrico Campofreda

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Israele-Palestina,
la pace si perde in un bicchiere d’acqua

di Enrico Campofreda

L’ennesimo allarme è lanciato da un rapporto di Amnesty International sull’acqua. In Cisgiordania almeno 200.000 abitanti sono impossibilitati a servirsi d’un rubinetto d’acqua corrente nonostante a poche centinaia di metri i villaggi dei coloni riempiano piscine e irrighino l’erba dei loro giardini. Israele, che gode di ulteriori risorse, s’impossessa dell’80% dell’acqua destinata alla West Bank e la convoglia unilateralmente verso gli insediamenti.

Se la spianata delle Moschee torna a essere luogo di tensione fra ebrei e musulmani è perché dietro il simbolo del sito sacro la questione israelo-palestinese resta drammaticamente irrisolta e accresce il tasso conflittuale. A riaccendere la miccia della polveriera che Israele conserva e amplia col silenzio-assenso degli alleati occidentali può servire molto meno d’una nuova provocatoria passeggiata d’un membro della Knesset come nel Duemila fece Sharon. Troppe antiche vessazioni s’uniscono a nuove nequizie e accanto ai massacri di "Piombo fuso" c’è l’avvelenamento della quotidianità. Qualsiasi palestinese viva a Gerusalemme, in Cisgiordania, a Gaza o sia da generazioni profugo vede, ben oltre i limiti del proprio frammentario e spesso impotente panorama politico, che il presente non riserva alcuna soluzione della sua condizione. Israele persegue imperterrito la politica che da sessant’anni ha prodotto pulizia etnica, fuga, esilio, occupazione indebita e apartheid per l’etnìa palestinese. Di quattro nodi irrisolti e da decenni dibattuti: insediamenti, Gerusalemme, rifugiati, indipendenza economica anche nei momenti di colloquio fra le parti, non uno prospetta un’equa soluzione.

Al contrario ciò che non doveva più accadere (nuove colonie) o su cui bisognava recedere (l’occupazione di ulteriori territori palestinesi e di Gerusalemme che risalgono al ’67) viene conservato con proclamata volontà da ogni premier e coalizione israeliani. Dopo privazioni, soprusi, violenze operati da Tsahal l’umiliazione ricompare periodicamente e può solo rinnovare Intifade. Ciò che a più d’un osservatore appare palese è che anche l’amministrazione Obama sia prigioniera della forza di ricatto del sionismo interno, le varie Aipac, Aief, Winep che coi loro parlamentari influenzano la linea d’ogni presidente americano in Medio Oriente. L’invito rivolto a Netanyahu di bloccare il piano degli insediamenti nei quartieri di Gerusalemme est (Maal’e Adumim, Givat Zeev, Gush Etzion) che hanno definitivamente separato questa parte della città dal resto della West Bank, è stato ampiamente inascoltato a conferma dello strapotere della lobby ebraica. Su Gerusalemme Netanyahu dichiara tranciante che una restituzione non può neppure essere ipotizzata e difende quella legge della Knesset del 1980, dichiarata nulla dalla risoluzione 478 dell’Onu ma tuttora efficace.

Il piano abitativo pro coloni dell’attuale governo d’Israele marcia con la totale sintonia fra il Likud del premier e il Labur di Barak, antico sostenitore di quell’infiltrazione subdola nei territori destinati palestinesi già quand’era primo ministro. Questi continui ampliamenti hanno portato oltre 200.000 ebrei d’Europa nei citati quartieri di Gerusalemme, città di 700.000 abitanti in cui anche l’antichissimo cuore arabo di Sheik Jarrah subisce sventramenti a favore dei palazzi per i coloni. Case di cui sono proprietari lo Stato e la municipalità ma che vengono offerte a fitti stracciati a famiglie che intendono abitarli. Il modello Hebron, località dove una minoranza di 8.000 coloni ultranazionalisti protetta dall’esercito tiene sotto il tiro delle armi 170.000 palestinesi, subisce imitazione ed evoluzione ampliando a proprio favore il numero degli insediati. Il tema dei rifugiati palestinesi, sacrificato nel 1993 dallo stesso Arafat sull’altare degli Accordi di Oslo, men che meno vuol essere affrontato da Israele che ha confezionato leggi capaci (nel 1950 e ampliata nel 1970) di garantire un diritto al ritorno a senso unico: quello ebraico verso i territori dello Stato nato nel 1948 e delle sue colonie disseminate in Cisgiordania e difese coi carri armati.

Netanyahu non vuole discutere della sorte dei milioni di palestinesi tutt’oggi bloccati nei campi profughi di Libano, Siria, Giordania senza patria né diritti. Né quei palestinesi, un milione e duecentomila, che vivono in Israele riscontrano un trattamento dignitoso. Sentite il parere dell’avvocato Iyad Rabi, membro del Raggruppamento democratico arabo Altajammua, in questi giorni in Italia per alcune conferenze. "Noi arabo-israeliani facciamo i conti con un oggettivo razzismo constatato anni fa anche da personalità politiche come Tutu e Carter. Non solo la Knesset ma la stessa Alta Corte di Giustizia avallano comportamenti altamente discriminatori verso i cittadini arabi che s’aggiungono a vecchie leggi come quella "sulla proprietà degli assenti" del 1950 un vero esproprio verso chi s’era allontanato dopo le violenze dell’Irgun. O quella del 1958 di appropriazione della terra per motivi di sicurezza militare rivolta unicamente contro i proprietari palestinesi. Israele si definisce Stato non israeliano ma ebraico, sottolineando la matrice etnico-religiosa d’impronta razziale che esclude chiunque non sia ebreo. Seguono altre vessazioni che noi israelo-palestinesi conosciamo bene quando veniamo penalizzati a causa dell’esenzione dal servizio militare, differentemente dagli ultraortodossi che pur senza vestire la divisa non perdono alcun diritto civile. E non dimentichiamo proposte di legge come quella sulla fedeltà al sionismo con cui Israel Beiteinu cerca di togliere la cittadinanza a chi non presta giuramento".

A soffocare l’esistenza nei Territori sopraggiungono anche penurie da quarto mondo. L’ennesimo allarme è lanciato da un rapporto di Amnesty International sull’acqua. In Cisgiordania almeno 200.000 abitanti sono impossibilitati a servirsi d’un rubinetto d’acqua corrente nonostante a poche centinaia di metri i villaggi dei coloni riempiano piscine e irrighino l’erba dei loro giardini. Israele, che gode di ulteriori risorse, s’impossessa dell’80% dell’acqua destinata alla West Bank e la convoglia unilateralmente verso gli insediamenti. Il fronte di disperazione estrema si vive a Gaza dove per il blocco totale dell’ingresso di materiale edile non è possibile effettuare nessuna riparazione anche delle reti idrica e fognaria distrutte dai bombardamenti dello scorso gennaio. Ne deriva un allarme endemico che si ripete da mesi. La falda acquifera della Striscia è inquinata per infiltrazioni d’acqua marina, il 90% della fornitura non è potabile e può venire usata solo per i servizi. Ma Ue e Stati Uniti lasciano che i soldati di Tsahal continuino a bloccare i valichi di frontiera. L’Europea non resta invece sorda alla richiesta israeliana di equiparare l’antisionismo all’antisemitismo. Lo farà a breve.


ACQUA: GARIGLIO, PRIVATIZZARLA AFFRONTO AL MONITO DEL PAPA

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24ora


ACQUA: GARIGLIO, PRIVATIZZARLA
AFFRONTO AL MONITO DEL PAPA

19 novembre 2009

Privatizzare l'acqua "e' un aperto affronto al monito del Papa". E' quanto sostiene il presidente del Consiglio regionale del PIemonte, Davide Gariglio (Pd). "Il Decreto Ronchi e' un incredibile punto di non ritorno - sottolinea Gariglio - Un precedente gravissimo, un salto nel vuoto con cui l'Italia di Berlusconi si pone in assurda controtendenza col mondo intero". Gariglio ricorda che "Proprio mentre tutti i Paesi - compresi gli Stati Uniti del presidente Obama - stanno finalmente prendendo coscienza globale dei beni inalienabili per la sopravvivenza del pianeta, delle fonti prime di sussistenza che vanno sottratte alle logiche economiche del profitto e dello sfruttamento, l'Italia apre le porte alla privatizzazione dell'acqua". Il Presidente del Consiglio della Regione Piemonte definisce il decreto "un aperto affronto al monito che il Santo Padre Benedetto XVI ha affidato alla Caritas in veritate: 'L'accesso all'acqua' e' diritto universale di tutti gli esseri umani senza distinzioni e discriminazioni'. Chiaramente - aggiunge - nessuno e' contrario in linea di principio ad affidare ai privati la gestione dei servizi, se questo e' davvero in grado di razionalizzare l'offerta e rendere piu' competitivi i costi per il cittadino. Ma che credibilita' ha questa ennesima speculazione in un Paese che in questi anni non e' riuscito a fare bene una sola privatizzazione? Un Paese in cui le logiche del profitto hanno sempre finito per prevalere sull'interesse della collettivita'?" Per Gariglio "prima di regalare nuove opportunita' di guadagno a pochi, qualunque intervento legislativo deve mettere a punto ferrei meccanismi di tutela del cittadino, di garanzie nella qualita' dei servizi e di assoluto controllo dell'effettiva competitivita' economica del servizio. Meccanismi che, in questo Paese inceppato, inevitabilmente si ridurranno a generare l'ennesima authority burocratica con le sue impotenti grida manzoniane". Vai 191837 NOV 09

Ci hanno rubato l'acqua - C.R

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Ci hanno rubato l'acqua
C.R.

19 novembre 2009

- Con 302 sì, 263 no e nessun astenuto, l'aula della Camera approva, in via definitiva, il decreto Ronchi "salva- infrazioni". La privatizzazione dell'acqua è legge. La protesta del Forum italiano dei movimenti per l'acqua: mani blu e catene davanti a Montecitorio. Regioni e Comuni scendono in campo. 20 marzo manifestazione nazionale -

302 deputati hanno rubato agli italiani l'acqua. Mentre dal 2007 giace in Parlamento una legge di proposta popolare firmata da 400mila cittadini che chiedono che l'acqua resti pubblica. Così, al megafono, rappresentanti del coordinamento romano dell'acqua pubblica del Forum italiano dei movimenti dell'acqua, con striscioni contestano la riforma dei servizi idrici locali contenuta nel Dl Salva-infrazioni su cui il governo ha ottenuto la fiducia e che oggi è stato convertito in legge.

L'Articolo 15 del provvedimento licenziato dal parlamento da un lato ribadisce come la proprietà dell'acqua sia pubblica; dall'altra però manda in soffitta tutte le gestioni in house entro il 31 dicembre 2011 a meno che entro questa data la società che gestisce il servizio non sia per il 40% affidata a privati.
La norma, in particolare, prevede due modalità per la gestione dell'acqua in via ordinaria ed un'altra in via straordinaria. Si stabilisce così che la gestione del servizio idrico debba essere affidato ad un soggetto privato scelto tramite gara ad evidenza pubblica oppure ad una società mista (pubblico-privato) nella quale il privato sia stato scelto con gara. Oppure, ed è il caso straordinario, la gestione del servizio idrico può essere affidata ("in casi eccezionali") in via diretta, vale a dire senza gara, ad una società privata o pubblica. In tal caso, però, si deve in primo luogo trattare di una società in house, ossia una società su cui l'ente locale esercita un controllo molto stretto; in secondo luogo, l'ente locale deve presentare una relazione all'Antitrust in cui motiva la ragione dell'affidamento senza gara. In terzo luogo, l'Antitrust deve dare il proprio parere. Poiché, come noto, ad oggi sono già moltissimi i casi di affidamento in house, il decreto mette nero su bianco il da farsi nella fase transitoria. Il provvedimento, infatti, prevede nel dettaglio che le gestioni in house debbano tutte decadere entro il 2011, a meno che entro questa data la società che gestisce il servizio non sia per il 40% affidata a privati. Resta comunque possibile per la società spiegare all'Antitrust i motivi per cui ricorra il caso straordinario che permette l'affidamento diretto.

Nella sostanza, però, si stabilisce che cesseranno tutti gli affidamenti in house al 31 dicembre 2011 visto che potranno proseguire fino alla naturale estinzione del contratto solo quelle società in house che si trasformeranno in una società mista con un 40% in mano ai privati. Di fatto, insomma, con l'attuale formulazione dell'articolo 15 si obbligano gli enti locali a mettere sul mercato l'acqua.

Mani blu e catene per dire che "questo furto non passerà". Esponenti del Forum per l'acqua si sono incatenati alle inferriate adiacenti a Montecitorio e hanno aperto gli striscioni. Le forze dell'ordine hanno tagliato le catene con dei tronchesini, ma la manifestazione non si è fermata.
In cantiere ci sono una serie di iniziative che sfoceranno in una "grande manifestazione nazionale a Roma il 20 marzo". Il Forum chiederà "a tutte le Regioni di impugnare la legge perché è incostituzionale e già alcune Regioni come Puglia, Emilia Romagna e Piemonte" si stanno dirigendo su questa strada; "diremo a tutti i Comuni che possono sottrarsi, con modifiche ai loro Statuti, definendo il servizio idrico come "privo di rilevanza economica" come ha fatto al Puglia che ha trasformato l'acquedotto da Spa in ente di diritto pubblico".
Quanto all'Europa, "non ci impone niente". L'argomentazione utilizzata è un alibi per privatizzare la gestione dell'acqua. "Ogni Stato membro - spiegano i manifestanti - decide quali servizi mettere sul mercato e solo in questo caso l'Europa impone di fare le gare e permettere a tutti di partecipare.
Infatti in Olanda il servizio idrico è pubblico e in Francia a partire da Parigi si sta tornando in questa direzione e l'Europa non dice nulla". Anche perché, proseguono, il Trattato di Lisbona prevede il "principio di neutralità".

Il Forum valuterà "collettivamente" la raccolta di firme per il referendum e alla fine, fanno capire, ci dovrebbero essere, ma, polemizzano, "sono anni che ci occupiamo di questa tematica e un referendum non si improvvisa. E' necessaria una mobilitazione diffusa", dicono riferendosi ai partiti politici (IdV, Verdi e Prc) che hanno già annunciato la raccolta di firme per abrogare la legge. "Comunque abbiamo già inviato una lettera a chi ha annunciato che raccoglierà le firme. Noi avremo una riunione del coordinamento nazionale il 28 novembre".

Michele Mangano, presidente nazionale Auser, spiega che si tratta di un "provvedimento che non tiene conto né della tutela di una risorsa fondamentale e preziosa come l'acqua, né dell'interesse dei cittadini. L'acqua è un bene pubblico essenziale ed è inaccettabile che invece di migliorare un servizio alla fine si favoriscano solo interessi privati. Un provvedimento che in alcune regioni italiane costituisce un regalo alla criminalità organizzata".

Del resto questo Governo negli ultimi mesi non si è distinto nelle strategie sul piano della legalità. Pensiamo al condono fiscale, all'affido ai privati della gestione dei rifiuti solidi urbani, alla proposta di mettere in vendita i beni confiscati ai mafiosi. Una mappa di interventi inquietanti. Non si può più rimanere indifferenti, tutti questi provvedimenti incideranno profondamente nella vita di tutti i cittadini e affonderanno l'Italia nell'illegalità.
Intanto, a Montecitorio , con 302 sì, 263 no e nessun astenuto, l'aula della Camera ha approvato, in via definitiva, il decreto Ronchi "salva- infrazioni" . Diventa quindi legge il provvedimento che contiene la riforma dei servizi pubblici locali, tra cui la privatizzazione dell'acqua.
A votare a favore sono stati Pdl, Lega e Mpa. Hanno votato contro Pd, Idv, Udc, minoranze linguistiche. (Ieri, l'aula aveva accolto un ordine del giorno della Lega che impegna il governo a valutare deroghe alla liberalizzazione della gestione dell'acqua per i Comuni più virtuosi. Sulle votazioni agli ordini del giorno la maggioranza era andata 'sotto' ben quattro volte. Alla fine il ministro per le Politiche europee Andrea Ronchi ha deciso di accogliere come raccomandazioni tutti gli odg, compresi quelli dell'opposizione).

"Noi dell'Italia dei valori parteciperemo tutti e da singoli alla manifestazione del 5 dicembre. Ci parteciperemo da cittadini, lasciando che sul palco salgano gli operai di Eutelia, i lavoratori precari della scuola, coloro che non hanno voce e a cui noi vogliamo dare voce. Quei cittadini, signor presidente del Consiglio a cui lei, oltre che la voce, toglie ora anche il diritto di bere e di respirare, attraverso la deriva delle privatizzazioni". Lo ha detto il leader Idv, Antonio Di Pietro, intervenendo oggi in aula alla Camera. Di Pietro ha parlato di "leggi schifezza" imposte dal governo anche a una maggioranza che non le voterebbe se non fosse per il "ricatto delle elezioni, poiché la legge elettorale prevede che tutti i parlamentari siano nominati dal sultano di turno e non dal popolo italiano".

Per i parlamentari del Pd, "quella della privatizzazione dell'acqua è una scelta sbagliata, un pasticcio che produrrà problemi agli amministratori locali, maggiori costi per i cittadini, vantaggi per pochi gruppi industriali e finanziari. Per coprire questo pasticcio il governo usa le bugie".
"Per motivare questa scelta sbagliata il governo fa ricorso ad una serie di bugie, raddoppiando l'errore- dice - prima bugia: non c'è nessun obbligo, come sostiene il governo, né nessuna infrazione comunitaria a cui il nostro paese debba corrispondere". Seconda bugia: "la sentenza della Corte di Giustizia Europea, citata dal governo per giustificare la privatizzazione, si occupa di società miste e non di società pubbliche". Terza bugia: il ministro dei Rapporti con le regioni Raffele Fitto "dichiara che, negli ultimi anni, 'avremmo assistito a vergognose politiche di pubblicizzazione nel settore dell'acqua'. Questa è proprio grossa- afferma Causi - negli ultimi 15 anni, su 114 Ato, 56 sono passati a gestioni miste e soltanto 58 hanno gestione pubblica. Inoltre, le gestioni pubbliche sono più diffuse al Centro Nord.Considerata la maggiore efficienza della gestione del servizio idrico, al Centro Nord, forse le gestioni pubbliche sono migliori".
"Infine, il governo sostiene che per i cittadini ci saranno 'solo vantaggi'- dice l'esponente democratico, basta leggere le dichiarazioni del presidente di Federutiliy, per capire come andranno le cose: "Se non si aumentano le tariffe non si riescono ad attrarre i privati". Questo è un provvedimento "che darà il via all'aumento delle tariffe: il governo- conclude il parlamentare Pd- metterà le mani nelle tasche dei cittadini attraverso le tariffe".


L’acqua privata è migliore?, Vantaggi e svantaggi della privatizzazione - di Sirio Valent

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Il Picco


L’acqua privata è migliore?,
Vantaggi e svantaggi della privatizzazione
di Sirio Valent



Il dl Ronchi (Scarica il testo del Dl) apre alla liberalizzazione del mercato dell’acqua: le società pubbliche dovranno trovarsi entro due anni dei partner privati con cui gestire il servizio pubblico. La bufera politica si sta concentrando sulle parole: acqua come bene pubblico, quasi-pubblico, o di mercato. Ma il vero nodo su cui riflettere è l’efficienza.

Il decreto legge prevede la nascita di enti a capitale misto, con un tetto del 30% per la partecipazione statale, oppure l’assegnazione dell’appalto tramite gara pubblica ai privati. L’assegnazione per gara dovrebbe essere la normalità: straordinaria invece la procedura che concede direttamente ad una società privata la gestione delle acque, previo parere vincolante dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Queste le misure in questione: ma sono un bene o un male per i consumatori?

La teoria delle privatizzazioni è convinta di sì. Affidare ai privati gli appalti pubblici consentirebbe di ridurre i costi per lo Stato, di generare un circolo virtuoso di concorrenza e di incrementare gli investimenti per migliorare il servizio. Tutto a vantaggio del bene collettivo. Ma tra teoria e pratica, mai come in questo caso, c’è di mezzo il mare. Di acqua.

Una società privata, infatti, deve sostenere massicci costi iniziali in termini di strutture, personale e tecnologia. Deve assicurare un servizio capillare e costante, affrontare la morosità cronica di alcune fasce di popolazione, difendersi dagli altri concorrenti in sede di gara d’appalto proponendo progetti ambiziosi di crescita. Per farlo, una società privata non può chiedere fondi allo Stato: deve aumentare le tariffe. La realtà lo dimostra già adesso. Nel Lazio, il gruppo privato Acqua Latina ha aumentato le tariffe del 300% rispetto al passato. Lo stesso è successo dove opera la multinazionale francese Veolia, che controlla il 47% della società calabrese per la distribuzione dell’acqua (la Sorical). È importante notare che anche società a capitale misto tendono ad aumentare il prezzo di vendita dell’acqua: il pareggio di bilancio è infatti priorità sia della componente privata che di quella statale degli amministratori, e lo Stato finirebbe per accettare tariffe più alte in cambio di progetti più altisonanti e ambiziosi.

Ma quanto durerebbero questi prezzi maggiorati? Secondo gli analisti “pro privato”, nel lungo periodo gli investimenti “naturali” del settore profit ripagano in termini di efficienza, e i prezzi tornano a scendere grazie alla concorrenza. Ma anche su questo, ci sono forti dubbi. Perché, infatti, una società privata, che ha costruito una rete propria o adattato quella esistente alle proprie strutture, dovrebbe abbassare le tariffe? Il consumo di acqua è uno dei meno flessibili nel tempo. I volumi acquistati non crescono al diminuire del prezzo, né viceversa. Quindi, mantenere alte le tariffe costituisce un guadagno netto. La concorrenza tra società diverse, poi, non avverrebbe sul campo del prezzo dell’acqua venduta, ma sul controllo societario dell’impresa già attiva: quel che vedremmo, quindi, non è Veolia che concorre con Acqua Latina abbassando i prezzi, ma Veolia che cerca di comprare Acqua Latina in borsa. Il vincitore della lotta in borsa, una volta in sella, è tentato di mantenere le stesse politiche tariffarie per sanare i costi della scalata. Per il consumatore, tutto resta come prima.

Esiste poi la possibilità, per niente remota, che le società private non investano in nuove reti, ma si limitino ad appoggiarsi alla rete pubblica esistente (e datata), preferendo concentrarsi sul marketing del proprio nome. È una storia già vista nella telefonia fissa: per tutte le località non raggiunte dalla fibra ottica, Fastweb sfrutta la vecchia rete Sip, mantenuta in vita dallo stesso canone che la società Fastweb non fa pagare.

È difficile dire se il Dl Ronchi aumenterà o ridurrà le inefficienze del sistema idrico italiano. Tutto dipenderà da quanto saranno trasparenti le gare di appalto, dalla serietà degli amministratori e dall’attenzione dell’Autority pubblica. Di sicuro, però, aumenteranno i costi per i consumatori e il potere delle società erogatrici: un potere che la nuova class action, indebolita e infiacchita dall’attuale governo, non può contrastare.