Enrico Letta e il governo Bildermerkel - di Marco Della Luna

tanto rumore per il solito  governo commissariale

 Si dà grande risalto mediatico al fatto che PD e PDL si mettano insieme nel governo, per nascondere il fatto veramente importante, ossia che lo fanno per portare avanti decisioni che sono prese da altri e da fuori dai confini italiani, e che sono imposte, e che vengono mantenute sebbene si dimostrino rovinose. La contraddizione, lo scontro di interessi, non è tra PD e PDL, ma tra chi impone quelle decisioni e la gente che ne subisce gli effetti.

 Il potere politico è nelle mani di chi ha le leve macroeconomiche, soprattutto di decidere quanta moneta mettere in circolazione, a chi darla, a che tassi, a che condizioni, e di decidere se e quanto lo Stato possa investire, anche a deficit, per indurre l’attivazione dei fattori di produzione, l’occupazione, la crescita. E decidere sulla regolazione dei cambi valutari, regolamentare le importazioni di beni, servizi e capitali. Uno Stato che non detenga questo potere, può tirare un po’ in su o un po’ in giù la coperta, e poc’altro. Cioè può spostare un po’ di soldi da un capitolo all’altro della spesa pubblica, può spostare un po’ di peso fiscale da una categoria a un’altra di soggetti, può riconoscere i matrimoni omosessuali e le coppie di fatto, ma non può intervenire sulla recessione strutturale.

 I paesi dell’Eurozona hanno devoluto questi poteri, interamente, ad organismi esterni. Alla BCE in quanto alla moneta, imponendo insieme vincoli rigidissimi di pareggio di bilancio. Inoltre, la BCE notoriamente ha il fine prioritario di proteggere il potere d’acquisto dell’Euro senza curarsi della recessione, e non può comprare titoli pubblici dai governi, cioè non può finanziarli direttamente, diversamente da altre banche centrali, come la Fed. Essa, programmaticamente, non può intervenire per invertire una recessione strutturale, né per riequilibrare le disponibilità monetarie e creditizie nei vari paesi dell’Eurozona; e invero non lo fa, lascia andare avanti le cose. Al più, lancia allarmi e interviene comprando titoli, sui mercati secondari, di quei paesi che sono a rischio di lasciare il tavolo dell’Euro per default.

 Il suddetto insieme di scelte presuppone una precisa decisione, ossia che, da un lato, il settore pubblico non sia in grado di usare le leve macroeconomiche (investimenti produttivi e infrastrutturali) per indurre crescita e piena occupazione, nonché di prevenire o risolvere le recessioni; e che, dall’altro lato, i mercati, lasciati sa se stessi, siano in grado di raggiungere quegli obiettivi, e per giunta, assieme ai vincoli di bilancio e al controllo monetario (fissazione dei tassi, soprattutto) da parte della BCE, siano in grado di operare anche la convergenza tra i vari sistemi economici dei paesi dell’Eurozona, senza bisogno di un budget federale e di un governo federale che intervengano per redistribuire le risorse finanziarie che, per varie ragioni, si concentrino in modo squilibrato e squilibrante in certi paesi, sguarnendo altri paesi.

Si noti che questa fondamentale ed epocale decisione è stata presa senza proporne i termini all’opinione pubblica, senza coinvolgimento democratico,e viene realizzata attraverso una lunga, pluridecennale serie di trattati, leggi e riforme, i cui effetti non vengono spiegati se non falsamente, rimangono latenti per alcuni anni, in modo che la gente si abitui, e poi esplodono quando è troppo tardi per tornare indietro. Questa medesima decisione non viene mai posta nel dibattito pubblico, a cui si offre, invece, il dilemma se ci si possa alleare con Berlusconi oppure no.

 La predetta decisione si traduce nell’adozione di una concezione generale di come di fatto l’economia funziona e di come la si possa guidare, e dovrebbe essere oggetto di revisione, ossia di controllo empirico della sua correttezza. Cioè si dovrebbe controllare se produca i risultati predetti e desiderati, oppure no; nel secondo caso, andrebbe revocata siccome confutata dai fatti – così come avviene con qualsiasi teoria applicata alla realtà, con qualsiasi diagnosi, con qualsiasi ricetta.

Orbene, noi abbiamo che i fatti la confutano – la presente crisi recessiva, col suo perdurare, la confuta, assieme al crescente divario tra i paesi dell’Euro – però essa viene mantenuta; quindi questa decisione di mantenerla nonostante si dimostri errata e dannosa, va interpretata. Le ipotesi interpretative che mi vengono in mente sono che essa produca risultati diversi da quelli promessi, anzi contrari ad essi, ma sia conforme agli interessi di coloro che la mantengono, che hanno la forza di imporla. Interessi in termini di profitto (aumento dei redditi, concentrazione della ricchezza nelle loro mani) e/o in termini di ristrutturazione sociale e politica (concentrazione del potere nelle loro mani, in un modello sociale ove il vertice della piramide detiene un potere non contendibile e non sindacabile, mentre una minoranza di tecnici e funzionari gode di vari gradi di benessere e privilegio, e il grosso della popolazione è povero sia di denaro che di diritti e politici e civili, e sta sostanzialmente e passivamente a disposizione “del mercato”, privo di qualsiasi strumento per influenzare l’andamento della storia). Per meglio portare avanti questo piano, si fa in modo che esso dia un vantaggio concreto, per un certo tempo, ai paesi più forti (Germania in testa), permettendo loro di risucchiare capitali, aziende e tecnici dai paesi più deboli, abbattendo la loro competitività industriale. Così i paesi più forti stanno al gioco. Il vecchio divide et impera funziona sempre.

 Complotto? No, applicazione alla società dello schema gestionale della zootecnia, stabile e sicuro. E, nei circoli che hanno preso quella decisione, che hanno formulato quell’insieme di scelte che producono questo insieme di effetti (Aspen, Trilateral, Bilderberg, etc.), troviamo, almeno dal 1995, anche Enrico Letta, che quindi è parte e origine di quei mali che, al popolo, si racconta che dovrebbe risolvere attraverso la tormentosa unione con Berlusconi combinata dalla saggezza di Napolitano nello spirito del patriottismo, rinegoziando anche il patto di Maastricht con i poteri forti. Si potrebbe immaginare una balla più grossa?

 In ogni caso, Stati ed istituzioni politiche elettive, c.d. democratiche, conservano, nei paesi dell’Eurozona diversi dal paese creditore egemone, poteri marginali; quindi sono giuridicamente declassate ad autonomie locali, tanto più che la maggioranza dei provvedimenti legislativi adottati in tali paesi è in realtà un recepimento di norme decise dall’Unione Europea.

Marginali sono anche le scelte di politica interna, sicché è risibile presentare come importante la scelta di fare un governo con Berlusconi. Cambia ben poco. I governi Berlusconi, esattamente come quelli Prodi e D’Alema, hanno seguito la linea dettata da Berlino e Bruxelles, e il modello economico prescritto da Washington. Il governo Letta farà la medesima cosa, anche perché Enrico Letta, come pure suo zio Gianni, è uomo della finanza internazionale, esecutore dei suoi piani “europeisti”, difensore dei suoi dogmi, come ha messo nero su bianco nel suo libro Euroi sì: morire per Maastricht. Abbiamo quindi la prova scritta dei suoi obiettivi.

 Ma enfatizzare l’inciucio PD-PDL o la novità del governissimo è risibile anche perché l’inciucio destra-sinistra, DC-PCI, è in atto dalla fine degli anni ’40, col ben noto sistema di spartizione dei territori, delle poltrone, della spesa pubblica, dei ruoli morali e politici – sistema in cui, di fatti, il PCI votava oltre l’80% delle leggi di spesa. Il governissimo è sempre stato il vero sistema di gestione del Paese.

 La novità è semmai che i due maggiori partiti si accordano per mettere insieme la faccia nella gestione di un periodo pessimo, che genera scontento crescente nella base, e in cui si adotteranno provvedimenti ancora più impopolari. Il fatto di metterci la faccia insieme consentirà loro di fare porcate ancora più grosse di quelle passate, perché nessuno dei partiti della coalizione dovrà temere che altri partiti si avvantaggino delle misure impopolari e recessive che esso approverà, per conto di terzi. Porcate e, temo, violenze, perché la recessione continua e continuerà a peggiorare, e bisognerà ricorrere alla violenza e all’intimidazione per mantenere la gente nell’obbedienza al sistema, lasciandole come unica via di sfogo l’emigrazione, oltre al suicidio.

 Il fattore di instabilità di un simile governo marionetta di coalizione non è nella fittizia e recitata contrapposizione morale e ideologica o programmatica delle forze che lo compongono, bensì nella reale contrapposizione tra gli interessi della casta nazionale e dei suoi burattinai stranieri, che questo governo porta avanti, e quelli della popolazione generale. E questa contrapposizione reale continuerà a generare e a gonfiare forze rappresentative della protesta dei delusi e degli oppressi di ieri e di oggi, anche se questa volta si riesce a integrare la Lega e a inertizzare provvisoriamente Grillo.

 L’opportunità che governi come gli ultimi due offrono e sempre più offriranno, è che con essi non si riesce più ad evitare che l’opinione pubblica percepisca e discuta il dato di fatto centrale, ossia che i governi italiani sono tutti e inevitabilmente governi Bildermerkel commissariali e che i loro programmi effettivi sono imposti da burattinai stranieri per gli interessi loro e a danno di un Paese e di un elettorato ormai svuotati di ogni autonomia, ridotti a colonia, e i cui riti elettorali e parlamentari non hanno alcun effetto o utilità.

L'acqua prelevata dal Sinni per l'acciaio Ilva - di Monica Capo

Mentre nel mondo più di un miliardo di persone vivono senz'acqua potabile, l'Ilva di Taranto si permette il lusso di usare l'acqua potabile prelevata dal Sinni per raffreddare l'acciaio.
 
Si era proposto, mesi fa, di sostituire nell'impianto industriale l'acqua destinata al potabile, prelevata dal Sinni, con quella super affinata proveniente dall'impianto Gennarini Bellavista di Taranto: un'ipotesi questa, formulata dalla Regione Puglia, che avrebbe potuto dare un contributo per la risoluzione dell'emergenza idrica che, in alcuni periodi dell'anno, caratterizza la provincia del capoluogo ionico.
 
Lo stabilimento siderurgico, infatti, fino al 2006 prelevava circa 800 litri di acqua al secondo, poi scesi a 600 litri, da un paio d'anni ridotti a 250 litri.

L'Ilva, però, per l'utilizzo dell'impianto Gennarini Bellavista avrebbe dovuto pagare un compenso all'Acquedotto Pugliese gestore della struttura e ha, quindi, rispedito al mittente la proposta manifestando la sua volontà di continuare ad usare per la sua attività industriale l'acqua potabile proveniente dal Sinni.

A questo punto, l’assessore ai Lavori pubblici, Fabiano Amati, ha chiesto un incontro al governatore lucano Vito De Filippo per chiedere di abbassare il costo per gli usi civili dell’acqua a discapito di quelli industriali, ovvero soprattutto dell’Ilva che, secondo Amati, gestisce questa partita «con il piglio dei padroni medievali piuttosto che quello degli illuminati imprenditori moderni».

Ed e’ davvero troppo per una città che soffre già l’oppressione della grande industria, e paga in termini di inquinamento, malattie e morti sul lavoro.

Non va dimenticato, che i vertici dell’Ilva sono indagati, ed è la prima volta che accade, per disastro ambientale, sulla gestione delle polveri: le indagini della procura di Taranto sono state avviate dopo l'accertata contaminazione di animali e sostanze alimentari a ridosso della zona industriale di Taranto.

Referendum: dov’è il popolo delle piazze e dove sono gli intellettuali? - di Emilio Molinari




Il 12 e 13 giugno, circa 50 milioni di italiani dovrebbero recarsi alle urne per il referendum sull'acqua pubblica e contro il ritorno del nucleare. Per impedire il quorum il governo ha negato l'election day, per il solo voto di un radicale e l'assenza di 10 parlamentari del centro sinistra. 300 milioni spesi per evitare il quorum. Teme di dividersi al proprio interno, mentre centinaia di realtà di questo partito si stanno esprimendo e si impegnano per i Sì!

Ma ciò che più mi preoccupa è il silenzio e l'indifferenza per i referendum, mostrata finora da una parte di quel popolo capace di mobilitarsi, di indignarsi e di scendere in piazza e da parte di quegli uomini e donne che per ruolo pubblico e mediatico sono in grado di dare impulso ai messaggi. Per questo popolo i referendum sull'acqua pubblica e il nucleare, malgrado la drammatizzazione che quest'ultimo ha avuto con la centrale nucleare in Giappone, sembrano ancora lontani dall'essere compresi nella loro portata e immediatezza politica.
Solo il «Via Berlusconi» coniugato di volta in volta da indignazioni per gli attacchi alla Costituzione, alle donne, alla giustizia ecc... sembra appassionare questo popolo e spingerlo a mobilitarsi in milioni.

Donne, intellettuali, attori, cantanti, giornalisti, associazioni d'ogni tipo sono pronti ad unirsi per il «Via Berlusconi», ma poi sui contenuti tornano al proprio particolare. Non è politica questa, forse indebolirà il personaggio, ma non la cultura di massa che lo esprime e soprattutto, permettetemi, ci rende indifferenti ai contenuti capaci di incidere nella cultura dominante, che tra pochi mesi saremo chiamati tutti al voto referendario e che vincere o perdere non riguarda solo i promotori.

Ma è una grande opportunità per cambiare come cittadini, la politica di questo paese e non solo. Un mese fa al Palasharp di Milano erano presenti Saviano, Eco, Zagrebelsky il meglio della cultura italiana... ma solo Paul Ginsborg ha parlato di acqua e di referendum. Per tutti gli altri, l'agenda politica reale, lo scontro concreto, sembrava non esistere e continua a non esistere. Nelle straordinarie manifestazioni delle donne nessuna delle organizzatrici ha parlato di nucleare o di acqua, eppure l'acqua è la vita, è la madre, è la donna. L'acqua è, più d'ogni altra questione, in grado di incidere nella cultura berlusconiana o leghista, eppure il nucleare si è riproposto con tutta la sua tragica attualità.

La manifestazione per l'acqua pubblica e il nucleare a Roma il 26 marzo, è stata grande, bella, intelligente, ma non è stata dell'ampiezza di altre in particolare di quella delle donne e non ha avito la benedizione di questo movimento o dei grandi personaggi, a parte Celentano. Perché? Il mio sconcerto sta qui. E continuerò a chiedere a Saviano o a tutti agli altri intellettuali il perché del loro silenzio, come continuerò chiedere alle donne che pure considero l'interlocutore principale per i referendum, perché tanta indifferenza per i grandi problemi di questo nostro tempo? Problemi di oggi, universali, per i quali la nostra generazione è chiamata a decidere e a rispondere per le generazioni future.

I referendum e le profonde motivazioni che li determinano, sono una battaglia che va ben al di là delle nostre miserie nazionali, non cercano consenso ad un partito o ad uno schieramento, vanno ben al di là della privatizzazione di un servizio, l'aumento di una tariffa o l'idiozia della crescita energetica che motiva il nucleare. Parlano della vita. L'indignazione per Berlusconi è cosa sana, ma non rimescola le carte, non sposta consensi, non è capace di ridare alla politica l'idealità e il senso, perduto, dell'interesse pubblico.

Il testamento del 93 enne partigiano francese, Stephan Hassel, ultimo vivente degli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ci dice: indignatevi! per i perduti diritti universali alla vita, alla salute, alla scuola, alla pensione, per la svendita dei beni comuni. Diritti trasversali. Capaci di rispondere al vuoto dei partiti e rompere quegli interessi che bloccano e logorano come un cancro la politica italiana e mondiale.

La percezione è di essere sull'orlo di un abisso. La crisi finanziaria in Europa scarica 4 trilioni di euro sul debito pubblico per salvare le banche, taglia la spesa pubblica e privatizza. La crisi economica non può più essere affrontata con il rilancio dei consumi, perché vengono meno le risorse e il nucleare esplode in mano agli apprendisti stregoni. La crisi energetica e la crisi idrica si alimentano tra loro e generano la crisi alimentare che investe miliardi di persone e di cui si intravvedono già gli effetti catastrofici nelle migrazioni, nelle rivolte, nelle guerre.

Ebbene i referendum affrontano questo ordine di problemi. Chiamano tutti alla materialità delle questioni e al pari tempo all'etica, alla spiritualità dei beni comuni, al senso di comunità. I referendum non sono di un partito, non sono nemmeno di sinistra, indicano che abbiamo superato il «limite». Il referendum per l'acqua pubblica è chiesto da 1,4 milioni di persone, che trasversalmente per una volta tanto non parlano con la voce della «pancia» e dell'egoismo, ma con quella degli interessi generali, collettivi. Non parla in odio ai partiti, li richiama alla responsabilità di gestire la cosa pubblica. Chiedono loro di smetterla di rinunciare a fare politica e di consegnarsi al mercato. E a tutti chiedono di andare a votare, perché questa volta si vota per noi stessi e che... la libertà è partecipazione.

Fonte

Grande manifestazione per l'acqua pubblica e il 'no' al nucleare - di Redazione Contropiano


Lo spezzone dell'USBGrande manifestazione oggi in difesa dell'acqua pubblica e contro il nucleare. Per «il diritto alla vita, che passerà anche per i referendum del 12 e 13 giugno». Il popolo dei “beni comuni” ha dato un'ottima prova di partecipazione. Trecentomila, secondo gli organizzatori, i partecipanti al corteo promosso dal Comitato referendario.
In prima fila associazioni, movimenti e cittadini. Strada facendo si è sentita anche una forte istanza pacifista, con molta gente che gridava «No alla nuova guerra del petrolio».
«I cittadini - spiega Ciro Pesacane, del Comitato - si sono autotassati e hanno affittato i pullman a loro spese. Vogliono l'acqua e il sole, mica la luna».
In testa al corteo numerosi gonfaloni di diversi comuni e provincie d'Italia, da Capannori, in provincia di Lucca, a Cagliari, passando per Aprilia, vicino Latina, diventato il comune simbolo di cosa accade con la “privatizzazione”. Bandiere di tutti i colori: azzurre del comitato, ma numerosissime quelle arcobaleno, di Legambiente, Arci, Emergency, Wwf e di diversi sindacati.
«No alla guerra per l'acqua, per il petrolio e per l'uranio», recita il cartellone esposto da alcuni ragazzi «pacifisti» di Belluno. «Abbiamo fatto un lungo viaggio per sostenere questa piazza - racconta Marco, un ingegnere - Sono venuto con mia moglie e con i miei due figli, perchè questa battaglia è soprattutto per loro. Per il loro futuro».
«Per la prima volta nasce, dal basso, un progetto politico riconosciuto dalla Costituzione – spiega padre Alex Zanotelli - La speranza non può venire dalla politica».
Ciò nonostante, qualche faccia di politico in cerca di voti si è fatta vedere. In piazza della Repubblica, con bandiere verdi c'erano anche studenti libici e alcune delle hostess che incontrarono Gheddafi durante le visite in Italia. «No alle bombe umanitarie, sì al dialogo», urlano, «l'Occidente vuole solo il petrolio libico».
Agli studenti si sono unite alcune hostess italiane. «Sono stata tre volte in Libia, lì non c'è tanta miseria, il popolo vive in una condizione normale. Dove è stata finora la Nato nei riguardi degli eventi della Striscia di Gaza», osserva Clio, una delle ragazze che incontrarono il colonnello a Roma e che oggi si è vestita di nero «essendo in lutto per le vittime in Libia»
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Marcia per la vittoria

Andrea Palladino - Il Manifesto

A ben pensarci c'è qualcosa di curioso nel vedere decine e decine di migliaia di persone sfilare, a Roma, per l'acqua. Non è la Bolivia delle rivolte di qualche anno fa, o il Maghreb infiammato dai costi dei beni essenziali. È un paese pigro e cupo, l'Italia che ci mostrano quotidianamente, che nulla dovrebbe avere a che fare con un movimento così forte, capillare, anticonformista e orgoglioso come quello che chiede - da almeno cinque anni - di cambiare la politica partendo dal concetto di beni comuni. Eppure ieri a Roma centinaia di comitati cittadini, associazioni più o meno informali, parti di una rete cresciuta nel silenzio allineato dell'informazione e della politica - almeno quella parlamentare - hanno riaffermato la centralità del movimento per i beni comuni nel nostro paese. Con volontà e creatività, prendendo in mano per qualche ora la capitale, puntando al raggiungere il quorum dopo sedici anni di referendum falliti, un obiettivo che potrebbe rivoluzionare la politica italiana, soprattutto a sinistra.
Un milione e quattrocentomila firme raccolte in tre mesi non avrebbero senso senza tenere a mente questo volto della società italiana dell'era di Berlusconi, che è la vera spina dorsale di quello che i media chiamano - semplificando - il popolo dell'acqua.
Elencare le città comporebbe una lista immensa e senza senso. Conviene allora citare una parte importante e unica del movimento, il gruppo degli enti locali per l'acqua pubblica che ieri aprivano il corteo con i gonfaloni storici delle città. Un'intera regione, le Marche, le province di Cagliari e Campobasso e tantissimi comuni, con i sindaci, le delegazioni, le fasce tricolori. Uno fra tutti, quello di Aprilia, che con determinazione ha presentato il foglio di via al gestore privato Acqualatina, dopo avere visto le pattuglie con vigilantes armati andare a staccare l'acqua a chi contestava gli aumenti a tre cifre.
Il ricordo della prima manifestazione nazionale - che ha percorso le vie di Roma nel 2009 - sembra già affondare nella preistoria. Allora i manifestanti erano meno di quarantamila e il punto di arrivo era la piccola piazza Farnese, con un piccolo camion come palco. Lo scorso anno il centro storico venne letteralmente invaso dalle centinaia - oggi forse migliaia - di comitati cittadini, Sembrava l'apice di un movimento, un punto di non ritorno. Non era che l'inizio.
Ieri i movimenti per l'acqua non hanno temuto di accogliere le altre parti della società civile, quella antinuclearista e l'anima pacifista. E non era solo la cronaca ad imporre un ritmo differente, una suddivisione del corteo, sostanzialmente aperto e coinvolgente. Qualcosa sta cambiando, a ben guardare i trecentomila volti sfilati da piazza della Repubblica fino a San Giovanni, sfidando i grandi numeri. Ci sono segnali chiari e oggettivi, che rendono misurabile il movimento: «Lo scorso anno avevamo si e no riempito un pullman - spiegano i gruppi venuti dalla Calabria - quest'anno ne abbiamo organizzati quattro, e saremmo andati oltre se non c'era un problema di costo». Stessi numeri e stesso balzo in avanti per un'altra regione, il Piemonte. E poi la presenza forte delle zone storiche del Pd - che sul tema dell'acqua mostra ancora molte ambiguità - come la Toscana e l'Emilia Romagna. E poi la Puglia alle prese con la prima grande ripubblicizzazione in Italia, la Campania, dove i comitati si trovano di fronte all'eterna emergenza dei rifiuti, la Sicilia, che grazie al movimento per l'acqua ha raggiunto il primo obiettivo di una legge regionale che potrebbe togliere le risorse idriche ai privati. E la Calabria, dove la rete che oggi si riunisce attorno alla difesa dei beni comuni era nata nell'ottobre del 2009, con la manifestazione di Amantea per la verità sulle navi dei veleni.
Il quorum da raggiungere per i referendum su acqua e nucleare sembra non spaventare i comitati che ieri hanno colorato una Roma un po' sonnacchiosa e primaverile. Un segno importante è stato la partecipazione del gruppo ecodem - l'area ecologista del Pd - al corteo, con uno striscione sorretto, tra gli altri, da Roberto Della Seta. In questi mesi la posizione dei democratici non era stata particolarmente netta, soprattutto sul secondo quesito che prevede l'eliminazione del profitto garantito per i gestori privati dell'acqua. E proprio gli ecodem fin dall'inizio avevano agitato lo spettro del quorum ritenuto impossibile da raggiungere. Con il disastro di Fukushima le cose sono ovviamente cambiate. Ma forse è cambiata anche la percezione che viene dai territori, dove il Pd vede crescere in maniera esponenziale il movimento per l'acqua. Un confronto che guadagna sempre più consenso e coscienza critica.

Fonte

E' pronto il kit per gli attivisti dell'acqua! - da Acqua Bene Comune

sabbadetottusE' un insieme di strumenti, semplici ed immediati (un opuscolo esplicativo, una presentazione con diapositive, una brochure, un volantino, un segnalibro, gli adesivi, una bibliografia) oltre ad una selezione di video. Si tratta di uno strumento per comunicare i contenuti essenziali della battaglia referendaria per la ripubblicizzazione dell'acqua; come vedrete ci sono anche le domande più frequenti, fatte in buona e cattiva fede, che ci vengono sottoposte. Come scritto in precedenze è volutamente pensato in maniera semplice, comprensibile e schematica perchè possa essere utile per comunicare direttamente con i cittadini, per organizzare momenti informativi, anche piccoli, dovunque sia possibile. Immaginato in modo flessibile per utilizzare i contenuti a seconda dei contesti ed essere integrato con informazioni specifiche dai territori.

(Scarica il kit)

Partiti, multinazionali, banche e i soliti imprenditori con gli agganci giusti stanno mettendo le mani sulle aziende pubbliche dell'acqua e sui rubinetti di milioni d’italiani. Fra questi potresti esserci anche tu.

Da anni, una grande coalizione sociale e cittadina cerca, invece, di difendere la gestione pubblica dell'acqua promuovendo il controllo e la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni su un bene comune di vitale importanza.

Il governo da un anno ha varato una norma che obbliga le aziende pubbliche a dismettere buona parte del loro capitale a favore dei privati entro il 2011. Contro questa legge abbiamo promosso 3 referendum e raccolto 1,4 milioni di firme per ciascuno di essi (record della storia repubblicana). Ora vogliamo che tutti i cittadini si possano esprimere e votare.

Aiutaci a sostenere la campagna referendaria, a informare tutti gli italiani del pericolo che corrono e del modo per fermarli. È il momento di schierarsi, di partecipare, di condividere.

Fallo ora.


(Scarica il kit)

www.referendumacqua.it.

La manifestazione nazionale del 26 marzo: QUI.

Vota Sì: una manifestazione per l'acqua bene comune - di Alternativa

duoseyasprosabba 

26 marzo 2011
Ore 14.00 - Piazza della Repubblica
Manifestazione nazionale a Roma

VOTA SI' AI REFERENDUM PER L’ACQUA BENE COMUNE!
SI' per fermare il nucleare, per la difesa dei beni comuni,dei diritti, della democrazia

Oltre un milione e quattrocentomila donne e uomini hanno sottoscritto i referendum per togliere la gestione del servizio idrico dal mercato e i profitti dall’acqua.
Lo hanno fatto attraverso una straordinaria esperienza di partecipazione dal basso, senza sponsorizzazioni politiche e grandi finanziatori, nel quasi totale silenzio dei principali mass-media.
Grazie a queste donne e questi uomini, nella prossima primavera l’intero popolo italiano sarà chiamato a pronunciarsi su una grande battaglia di civiltà: decidere se l’acqua debba essere un bene comune, un diritto umano universale e quindi gestita in forma pubblica e partecipativa o una merce da mettere a disposizione del mercato e dei grandi capitali finanziari, anche stranieri.
Noi che ci siamo impegnati nelle mobilitazioni del popolo dell’acqua, nelle battaglie per la riappropriazione sociale dei beni comuni e per la difesa dei diritti pensiamo che i referendum siano un’espressione sostanziale della democrazia attraverso la quale i cittadini esercitano la sovranità popolare su scelte essenziali della politica che riguardano l’esistenza collettiva.
Per consentire la massima partecipazione, chiediamo che il voto referendario sia accorpato alle prossime elezioni amministrative e che prima della celebrazione dei referendum si imponga la moratoria ai processi di privatizzazione.
Crediamo anche che il ricorso all’energia nucleare sia una una scelta sbagliata perché è una fonte rischiosa, costosa, non sicura e nei fatti alternativa al risparmio energetico e all'utilizzo delle fonti rinnovabili.
Siamo convinti che una vittoria dei SI ai referendum della prossima primavera possa costituire una prima e fondamentale tappa, non solo per riconsegnare il bene comune acqua alla gestione partecipativa delle comunità locali, bensì per invertire la rotta e sconfiggere le politiche liberiste e le privatizzazioni dei beni comuni che negli ultimi trent’anni hanno prodotto solo l’impoverimento di larga parte delle popolazioni e dei territori e arricchito pochi gruppi finanziari con una drastica riduzione dei diritti conquistati, determinando la drammatica crisi economica, sociale, ecologica e di democrazia nella quale siamo tuttora immersi.
Cambiare si può e possiamo farlo tutte e tutti assieme.

Per questo chiamiamo tutte le donne e gli uomini di questo Paese a una grande manifestazione nazionale del popolo dell’acqua e dei movimenti per i beni comuni da tenersi a Roma sabato 26 marzo 2011.

Una manifestazione aperta, allegra e plurale.
Per lanciare la vittoria dei SI ai referendum per l’acqua bene comune.
E per dire che un’altra Italia è possibile. Qui ed ora.

Perché solo la partecipazione è libertà.
Perché si scrive acqua e si legge democrazia.


PROMUOVONO:

Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua
Comitato Referendario “2 SI’ per l’Acqua Bene Comune”
Agenzia Italiana per la Campagna e l'Agricoltura Responsabile ed Etica
Anomalia Sapienza
Fondazione Rosa Luxemburg


SOSTENGONO:
Alternativa - Laboratorio Politico
Circolo Sabina Romana di Sinistra Ecologia e Libertà
Comunisti Sinistra Popolare
Costituente Ecologista
Federazione della Sinistra
Sinistra Critica
Sinistra Ecologia e Libertà

Acqua e Nucleare! votiamo a Maggio!

Acqua. Berlino dà l’esempio - di Andrea Bertaglio

 Il referendum popolare di domenica scorsa si è chiuso con una vittoria che ha sfiorato l’unanimità: il 98,2 per cento dei cittadini vuole che la Berliner Wasserbetriebe sia gestita esclusivamente dal Comune

Anche a Berlino l’acqua torna pubblica. A deciderlo una consultazione popolare che ha chiesto ai cittadini della capitale tedesca, domenica 13 febbraio, di dire “sì” o “no” alla proposta di togliere la gestione dell’acqua ai privati. 
 
Se in Italia si deve ancora votare sulla questione della privatizzazione dei servizi idrici, e se in una città come Parigi è già stato deciso da parecchio tempo di renderli nuovamente pubblici, oggi anche Berlino ha deciso che non si possono più associare speculazioni e profitti ad un bene di primaria importanza come l’acqua. I berlinesi hanno infatti votato “sì” al referendum per l’annullamento della privatizzazione parziale della società di gestione dei servizi idrici. Una vittoria a dir poco schiacciante: su oltre 678.000 elettori, il 98,2%, ha votato a favore di un’inversione di marcia, rivendicando anche una maggiore trasparenza dei contratti.
 
«Un bene essenziale come l'acqua non può essere fonte di profitto, vogliamo che torni in mano pubblica», ha dichiarato il portavoce del Comitato promotore, Thomas Rodek. E così sarà. Quello del referendum berlinese è stato un trionfo dei sì: ne servivano almeno 616.571, e ne sono arrivati 665.713. Andreas Fuchs, il cassiere del comitato referendario, commenta: «Ci speravo, ma non me l’aspettavo più, vista la scarsa affluenza in mattinata». Ed aggiunge: «È la prova che si può fare molto anche con pochi mezzi». Pochi mezzi davvero, dato che il comitato disponeva di soli 12 mila euro per organizzare tutto: soldi ottenuti interamente da donazioni (mentre gli organizzatori del fallito referendum sulla religione a scuola di due anni fa avevano raccolto centinaia di migliaia di euro).
 
La richiesta riguardava la pubblicazione integrale del contratto con cui nel 1999 la capitale tedesca, cercando di fare cassa, decise di vendere alle società Rwe e Veolia il 49,9% dell’azienda dei servizi idrici comunali, la Berliner Wasserbetriebe. Un contratto di cui solo nel novembre del 2010 i promotori del referendum hanno ottenuto la pubblicazione da parte del municipio berlinese: 700 pagine che illustrano il processo di privatizzazione parziale. Un dossier che mostra come la città abbia garantito alti margini di guadagno alle due imprese interessate, Rwe e Veolia. Che, nell’arco di dieci anni, hanno incassato più utili dell’intera città di Berlino: 1,3 miliardi contro 696 milioni. Ora l’obiettivo del comitato referendario resta quello di riportare completamente la Berliner Wasserbetriebe in mani pubbliche. Evitando possibilmente di replicare quanto successo nella vicina Potsdam, dove, nonostante la società di gestione dei servizi idrici sia stata rimunicipalizzata dieci anni fa, i prezzi hanno continuato a salire. E a far pagare oggi un metro cubo d’acqua più che a Berlino (5,82 euro).
 
In una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno gli italiani si potranno esprimere sul quesito riguardante l'abrogazione del decreto Ronchi, col quale nel 2009 è stato sancito che il servizio idrico non potrà più essere gestito da società pubbliche, ma solamente affidato a società che sono o totalmente private, o possedute da privati per almeno il 40%. Il secondo quesito riguarda invece la cancellazione del “Codice dell'ambiente”, una norma che prevede una quota di profitto sulla tariffa per il servizio idrico, la cosiddetta "remunerazione del capitale investito". 
 
Secondo i detrattori italiani dei referendum sull’acqua “privatizzare non può che migliorare la qualità dei servizi”. Per i sostenitori del referendum di Berlino, invece, in seguito alla privatizzazione parziale dei servizi idrici comunali i prezzi dell’acqua sono aumentati del 35%, collocandosi fra i più alti di qualsiasi altra città tedesca. A Berlino un metro cubo d’acqua costa 5,12 euro, a Colonia 3,26. Teniamolo ben presente, quando questa primavera ci recheremo a votare. Ce lo ricorda anche Dorothea Härlin, del comitato referendario berlinese, che sottolinea l’importanza internazionale del successo registrato nelle urne il 13 febbraio, ricordando che «non soltanto i berlinesi, ma i cittadini di tutto il mondo si battono per l’acqua».
 

Perché dobbiamo opporci all´acqua privatizzata - di Carlo Petrini


Salvare l’acqua pubblica anche per salvare la terra.
"Fiumi battete le mani", ha commentato Padre Zanotelli quando ha saputo che i quesiti referendari contro la privatizzazione dell´acqua erano stati accolti. «Cittadini, battiamo un colpo», mi viene da dire dopo aver osservato per giorni la pressoché totale indifferenza di media e politici su questo tema.

La campagna referendaria è iniziata, ma non ce ne siamo accorti perché siamo insabbiati in questa politica di piccolissimo cabotaggio, che rema a fatica da una notiziola giudiziaria all´altra. Non è un caso se tra i quesiti referendari l´unico che ha avuto dignità di stampa è quello che chiede l´annullamento della legge sul legittimo impedimento.
Ma, come diceva Einstein, non possiamo pensare di risolvere i problemi con la stessa mentalità con cui li abbiamo creati. Abbiamo creduto che il mondo della politica fosse interamente e costantemente al servizio del bene pubblico. Quella politica ha prodotto una norma inaccettabile, che addirittura dimentica alcune leggi fondamentali del tanto amato libero mercato.

Sì, perché nel libero mercato si deve essere liberi di vendere ma anche di comprare. Le due controparti (la domanda e l´offerta) si possono influenzare reciprocamente, stanno in una sorta di rapporto paritario, o per lo meno presunto tale. Se tu alzi troppo i prezzi io non compro, e quando vedrai che nessuno compra allora abbasserai i prezzi. Questo può succedere solo se tu sei libero di vendere e io sono libero di comprare. Ma se tu possiedi qualcosa di indispensabile per la mia stessa esistenza, allora la mia libertà di acquistare non esiste. L´acqua, l´aria, le sementi, la salute, l´educazione, la fertilità dei suoli, la bellezza dei paesaggi, la creatività.... non possono essere assimilate alla categoria delle merci.

Il diritto necessita di nuovi paradigmi per gestire i cosiddetti "beni comuni". Se i beni comuni diventano proprietà di qualcuno, tutti gli altri, ad esclusione di quel "qualcuno" ne avranno un danno, la loro vita sarà in pericolo.

Ora, siamo a questo punto: esiste una norma che rende privatizzabile l´acqua e con quei referendum la possiamo cancellare. Occorre però che vadano a votare almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto. Nelle ultime elezioni politiche gli aventi diritto erano circa 47 milioni. Mal contati, occorre che circa 25 milioni di cittadini italiani, si rechino a votare.

Ma prima di tutto questo occorre che siano informati, che sappiano dove informarsi, che si rendano conto che siamo nel bel mezzo di una campagna referendaria fondamentale. A chi affidiamo questo incarico? Quella che ha prodotto la legge sulla privatizzazione? Oppure all´informazione, quella che si lascia trascinare nelle sabbie mobili della politica? Occorre iniziare a far da noi. "Uscirne da soli – diceva don Milani – è l´avarizia. Uscirne insieme è la politica". Ecco, usciamone insieme da questo pantano, e creiamo, in ogni città, un nuovo soggetto politico, che faccia da punto di riferimento per la difesa dei beni comuni e l´informazione che li riguarda. Oggi lavorerà sull´acqua, ma le emergenze non scarseggiano: dalla cementificazione dilagante alle polveri sottili nell´aria alle lapidi fotovoltaiche sui campi fertili, dalle scuole senza carta igienica alle strade piene di immondizia.

La politica dei partiti non ce la fa. Non ha strumenti né energie, in questo momento, culturali o intellettuali, per una simile rivoluzione. Occorre che i cittadini si attivino. Senza bandiere, né raggruppamenti di sigle: non importa a nessuno sapere che berretto abbiamo sulla testa, importa sapere che pensieri abbiamo dentro la testa e che azioni sappiamo produrre. Chiamiamola Azione Popolare, come suggerisce Settis nel suo libro "Paesaggio, costituzione, cemento" (Einaudi), o in qualsiasi altro modo. Ma sbrighiamoci, perché abbiamo bisogno di queste nuove strutture, leggere, puntuali, attente, legate ai municipi, alle parrocchie alle bocciofile, non importa: basta che coagulino persone che agiscano come presidi di cervelli e cuori sui territori, nelle grandi città come nei borghi. Oggi si diano da fare per far sapere a tutti di cosa si sta parlando quando si parla di acqua pubblica, quali valori sono in gioco, quali pericoli sono in agguato.

Il comitato promotore dei referendum "Acqua bene comune" ha fatto, finora, i miracoli. Quasi un milione e mezzo di firme raccolte e due quesiti su tre passati è un risultato straordinario. Adesso i territori si mobilitino, fino a quando non avremo la certezza che 25 milioni di italiani sono andati a votare: altrimenti i referendum non saranno validi. Poi, statene certi, quelle strutture non resteranno senza lavoro. Lo dico con un po´ di tristezza, perché in un mondo ideale non dovrebbero avere nulla da fare. Ma siamo nel mondo reale, e c´è tanto lavoro da fare perchè diventi il miglior mondo possibile.


mineracqua, quando la pubblicità è ingannevole

In anteprima, il contenuto della sentenza del Giurì contro lo spot istituzionale degli industriali delle acque minerali

C’ha provato, Mineracqua, ma è stata colta in fallo. Se non vedete più su quotidiani e periodici la pubblicità istituzionale della federazione nazionale delle aziende che imbottigliano e vendono acqua minerale, infatti, non è perché sono finiti i soldi.
 
È stato il Giurì di autodisciplina pubblicitaria (www.iap.it) a “bocciare”, giudicandolo ingannevole, il contenuto dello spot, il cui claim era “Acqua minerale. Molto più che potabile” e il cui messaggio era una (presunta) comparazione tra le caratteristiche delle acque minerali e di quella erogata dagli acquedotti (vedi Ae 121). Una comparazione a senso unico. 
 
Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, intervistato a metà gennaio da Radio 24 in merito alla decisione del Giurì ha spiegato come, a suo avviso, si trattasse di “una decisione politica e non tecnico-giuridica”.
 
Altreconomia ha potuto visionare in anteprima la pronuncia del Giurì (la decisione è stata presa a fine novembre 2010, ma la sentenza non è stata ancora pubblicata), un testo che smonta la “tesi” di Fortuna e fornisce spunti di riflessione in merito al rapporto tra diritto a una corretta informazione e informazione commerciale.
 
Il Giurì, infatti, ha scelto di trattare (e sanzionare) il messaggio pubblicitario tanto nel merito quanto sul metodo. Da un lato scrive che “i quattro aspetti che il messaggio evidenzia quali caratteristiche che accrediterebbero alle acque minerali un grado di sicurezza per i consumatori maggiore rispetto a quello della cosiddetta acqua di rubinetto -sintetizzati dai titoli 'senza cloro', 'senza deroghe', 'senza trasformazioni' e 'senza paragoni'- risultano trattati con una impostazione non corretta, idonea ad ingenerare nel pubblico convinzioni errate e timori non giustificati circa una tendenziale insicurezza delle acque potabili, in particolare per la salute dei fruitori”. In particolare, l'affermazione secondo la quale l'acqua minerale è “solo” bevibile -scrive il Giurì- “ha in sé una valenza spregiativa non giustificabile”.   

Poiché la pubblicità si chiude con la frase “Da un'informazione trasparente nascono scelte libere”, il Giurì ha ritenuto opportuno censurare anche il metodo utilizzato da Mineracqua, secondo la quale la pubblicità era una forma di contro informazione necessaria per pareggiare il conto con le campagne che, come la nostra “Imbrocchiamola!”, “hanno promosso verso i cittadini il consumo di acqua potabile a discapito della minerale imbottigliata”. “L'annuncio, che promette oltretutto una 'informazione trasparente', quasi a sottolineare una carenza di corretta informazione che circonderebbe e proteggerebbe il mondo delle acque di rubinetto, fa così leva sulla enunciazione di dati parziali, o di suggestione, per pervenire al risultato di una comunicazione tendenziosa che getta ombre di potenziale insicurezza, o comunque discredito, sull'acqua erogata dagli acquedotti” spiega il Giurì.    
 
Mineracqua esce così con le ossa rotte dal primo tentativo di pubblicità istituzionale. Ettore Fortuna, cui la bocciatura ha senz'altro dato fastidio, nell'intervista con Radio 24 aveva fatto intendere anche che l’azione presso il comitato di controllo sia stata promossa da alcuni enti locali, con riferimento in particolare al Comune di Milano. Niente di più sbagliato, anche in questo caso: Vincenzo Guggino, segretario generale dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap), ci ha spiegato che “l’istanza è un’iniziativa autonoma del Giurì. La materia -ha continuato- è d’interesse perché la pubblicità mette in discussione la qualità dell’acqua di rubinetto. Il comitato di controllo, che istruisce l’istanza, è una sorta di pm; il Giurì, organo giudicante, è un giudice terzo”. Guggino ha definito “bizzarro” l’atteggiamento di Fortuna, visto che in passato “le associate a Mineracqua in più occasioni hanno usato il Giurì per ‘guerre commerciali’”. Non oggi però, e l’attività e i giudizi dell’Istituto vanno delegittimati.

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