Una legge popolare per la ripubblicizzazione dell'acqua

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Una legge popolare
per la ripubblicizzazione dell'acqua

di Maurizio Acerbo

4 Ottobre 2007



Le oltre 400 mila firme raccolte in tutta Italia dai comitati per la legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua sono state consegnate al presidente della camera Bertinotti lo scorso luglio. E ieri la Commissione ambiente ha cominciato l’analisi del testo, relatore il deputato Maurizio Acerbo [Prc]. Pubblichiamo il testo della relazione, che spiega il senso e i singoli articoli della legge. La Commissione dovrebbe riprendere l’esame del provvedimento già la prossima settimana.

Vorrei preliminarmente sottolineare che la proposta in esame merita un’attenzione particolare, in quanto si tratta di una proposta di legge di iniziativa popolare, ai sensi dell’articolo 71, comma secondo della Costituzione.
Ritengo assai positivo che questa commissione abbia convenuto di procedere con celerità all’esame di una proposta sottoscritta da 406.626 cittadini e cittadine e promossa da centinaia di comitati territoriali e decine di organizzazioni, associazioni e reti nazionali riunite nel Forum italiano dei movimenti per l’acqua […]. Come ha detto uno dei più autorevoli sostenitori di questa iniziativa legislativa «dal basso», padre Alex Zanotelli, «lottiamo per l’acqua in questo momento perché senza acqua non si può vivere». L’acqua costituisce un bene comune dell’umanità, irrinunciabile, che appartiene a tutti. Il diritto all’acqua è inalienabile: dunque l’acqua non può essere proprietà di nessuno. E’ sulla base di questa consapevolezza che viene proposto al legislatore l’obiettivo di arrestarne i processi di privatizzazione.
La proposta di legge di iniziativa popolare detta principi relativi alla gestione delle risorse idriche, con particolare riferimento ai profili della tutela e della pianificazione, interviene sulla gestione del servizio idrico integrato disciplinando anche la fase transitoria e le tariffe del servizio idrico, reca misure dirette a favorire l’accesso universale all’acqua potabile.
La finalità del provvedimento, esplicitata nell’articolo 1, comma 2, è quella di favorire la definizione di un governo pubblico e partecipativo del ciclo integrato dell’acqua, in grado di garantirne un uso sostenibile e solidale.
I principi generali dell’uso delle risorse idriche sono contenuti nell’articolo 2, che reca l’esplicito riconoscimento della disponibilità e dell’accesso individuale e collettivo all’acqua potabile quale diritto inalienabile e inviolabile della persona. L’articolo 3 reca i principi relativi alla tutela e alla pianificazione, dettando in particolare disposizioni relative alla predisposizione del bilancio idrico, e conferma l’applicazione dei principi contenuti nella « direttiva acque» sull’informazione e la consultazione pubblica nella redazione degli strumenti di pianificazione. Esso inoltre disciplina le modalità per il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque, per i quali indica specifici vincoli, conferma il criterio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici e consente l’utilizzo delle acque «destinabili all’uso umano» per un uso diverso solo se non siano presenti altre risorse idriche [in tale caso prevedendo che venga decuplicato l’ammontare del relativo canone di concessione].
Per quanto riguarda la gestione del servizio idrico integrato – sulla base dei principi di cui all’articolo 4 e della sua definizione quale servizio pubblico privo di rilevanza economica – il provvedimento prevede la proprietà pubblica e la natura demaniale delle infrastrutture afferenti al servizio idrico e la conseguente inalienabilità e destinazione perpetua ad uso pubblico, nonché la non separabilità della gestione e dell’erogazione del servizio idrico integrato e l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico [articolo 5], con conseguente esclusione, nell’articolo 6, della possibilità di acquisizione di quote azionarie di società di gestione del servizio idrico integrato. Tale ultima disposizione regola anche la fase transitoria, prevedendo in particolare: la decadenza di tutte le forme di gestione del servizio idrico affidate in concessione a terzi; nel caso di affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, l’avvio del processo di trasformazione in società a capitale interamente pubblico, con obbligo di successiva trasformazione in ente pubblico; nel caso di affidamento a società a capitale interamente pubblico, la trasformazione in enti di diritto pubblico. La disposizione demanda ad un successivo decreto ministeriale la definizione dei criteri e delle modalità ai quali le regioni e gli enti locali devono attenersi per garantire la continuità del servizio idrico durante tale fase transitoria.
Al fine di attuare i processi di trasferimento di gestione, si prevede inoltre l’istituzione di un apposito Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato [articolo 7].
Il provvedimento, sulla base delle norme generali sul finanziamento contenute nell’articolo 8, interviene anche sul profilo della tariffa del servizio idrico integrato, la cui determinazione deve avvenire sulla base del metodo che spetta al governo definire [articolo 9]. Con particolare riferimento all’uso domestico, la tariffa deve coprire i costi ordinari di esercizio del servizio idrico integrato, ad eccezione del quantitativo minimo vitale garantito, che viene fissato in cinquanta litri al giorno per persona. Alla normativa regionale spetta, limitatamente alle fasce di consumo domestico superiori a cinquanta litri, l’individuazione di fasce tariffarie articolate per scaglioni di consumo, nonché la definizione di tetti di consumo individuale oltre i quali l’utilizzo dell’acqua è assimilato all’uso commerciale.
L’articolo 10 afferma il principio del governo democratico della gestione del servizio idrico integrato e a tal fine attribuisce agli enti locali il compito di adottare forme di democrazia partecipativa che conferiscano ai lavoratori del servizio idrico integrato e agli abitanti del territorio strumenti di partecipazione attiva alle decisioni sugli atti fondamentali di pianificazione, programmazione e gestione e alle regioni il compito di definire, attraverso normative di indirizzo, le forme e le modalità più idonee ad assicurare l’esercizio di tale diritto.
L’articolo 11 istituisce il Fondo nazionale di solidarietà internazionale, che ha la finalità di favorire l’accesso all’acqua potabile per tutti gli abitanti del pianeta e di contribuire alla costituzione di una fiscalità generale universale che garantisca tale accesso.
L’articolo 12 reca disposizioni finanziarie e contiene, tra l’altro, una norma di delega per l’introduzione di una tassa di scopo relativa al prelievo fiscale sulla produzione e sull’uso di sostanze chimiche inquinanti per l’ambiente idrico.

Viene proposta dunque una svolta radicale rispetto al «pensiero unico», sospinto da ben solidi interessi, che ha prevalso negli ultimi venti anni e che si è tradotto su scala globale e nazionale nella scelta di politiche volte alla mercificazione dell’acqua e alla privatizzazione della gestione dei servizi idrici. Va detto che nel nostro paese, come d’altronde quasi ovunque in Europa e nel mondo, fortissime sono state le resistenze nella società e anche nel mondo politico rispetto a queste scelte e infatti abbiamo assistito al dilagare delle mobilitazioni per la difesa dell’acqua come bene comune. Parimenti, numerosi enti locali hanno cercato di resistere alla pressione privatizzatrice. L’adesione di molti consigli comunali e provinciali alla campagna per la legge di iniziativa popolare lo testimonia. Anche il nostro parlamento, in particolare la commissione esteri, ha votato nella precedente legislatura una risoluzione con cui si invitava il governo italiano a contrastare negli organismi internazionali la tendenza a imporre la privatizzazione dell’acqua.
Vorrei ricordare che anche la previsione della Finanziaria 2002 [legge 448/2001] di attivare un processo irreversibile di privatizzazione dei servizi pubblici locali – tra cui l’acqua – ha trovato ostacoli nella stessa coalizione che sosteneva il governo all’epoca. L’articolo 35 della legge 448 prevedeva l’obbligo di gara per tutti i servizi pubblici locali, compresa l’acqua, ma la mobilitazione dei movimenti, delle comunità e delle amministrazioni locali, private di ogni possibilità di scelta, ha condotto al dl 269 del 2003 che ha consentito di optare per società a capitale interamente pubblico [in house].
Va segnalato che però il dl 269/2003 conteneva la scelta controversa di eliminare le forme di gestione attraverso enti di diritto pubblico [aziende speciali, consorzi, eccetera] tema non a caso rimesso in discussione da questa proposta di legge.
La gestione pubblica dei servizi idrici è diventata nel frattempo uno degli impegni contenuti nel programma del governo Prodi ed è anche ribadita nel ddl Lanzillotta sui servizi pubblici locali.
La stessa camera dei deputati ha approvato un emendamento al decreto Bersani-bis che prevede la moratoria rispetto ai processi di privatizzazione in atto.
Questa iniziativa legislativa popolare ha il merito di fornire al parlamento l’occasione per affrontare in maniera non episodica – ma con uno sguardo d’insieme – una materia sulla quale negli anni recenti si è legiferato in maniera contraddittoria.