No all’acqua privata, referendum in arrivo



No all’acqua privata,

referendum in arrivo

Tre “sì” per la ripubblicizzazione dell’acqua: per dire basta ai profitti su un bene essenziale. Il Forum dei movimenti per l’acqua pubblica annuncia, per aprile, una campagna nazionale di mobilitazione. Obiettivo: promuovere tre referendum abrogativi della privatizzazione del servizio idrico. «Se il governo Berlusconi pensava, con l’approvazione dell’art.15-decreto Ronchi, di chiudere i giochi sulla privatizzazione dell’acqua, consegnando questo bene comune agli appetiti dei mercati e delle grandi multinazionali, si è sbagliato di grosso».

L’approvazione di quella legge, «avvenuta fra l’indignazione generale», secondo Lino Balza di “Medicina Democratica” «ha costituito un gravissimo attacco alle mobilitazioni e alle proposte messe in campo dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che accanto alle resistenze in tutti i territori del Paese, ha consegnato da due anni una legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, corredata da oltre 400.000 firme, di cui oltre 4.000 da noi raccolte ad Alessandria». Proposta di legge che «giace colpevolmente nei cassetti delle commissioni parlamentari».

Malgrado ciò, le lotte per la restituzione dell’acqua potabile alla patrimonio pubblico si sono ulteriormente estese in tutti i territori: sono ormai oltre 100 i Comuni che hanno approvato delibere di modifica degli Statuti comunali, dichiarando l’acqua “bene comune e diritto umano universale” ed il servizio idrico come “privo di rilevanza economica”, sottraendosi in questo modo alla normativa nazionale che il Forum dei contestatori ritiene incostituzionale.

I Comuni nel frattempo hanno costituito il “Coordinamento nazionale degli enti locali per l’acqua pubblica” e, il prossimo 6 marzo, terranno a Roma la loro prima assemblea nazionale. Già il 20 marzo, comunque, una manifestazione nazionale attraverserà le strade e le piazze di Roma per ribadire il “no” alla privatizzazione dell’acqua, per riaffermare che l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale e per chiedere l’immediata approvazione della legge d’iniziativa popolare che chiede la restituzione dell’acqua ai cittadini e la sua gestione partecipativa.

«Abbiamo sempre considerato l’acqua come un paradigma di molti beni comuni naturali e sociali da sottrarre ai privati e ai grandi capitali finanziari», aggiunge Balza. «In questi anni e in moltissimi territori sono nate decine di altre resistenze in difesa dei beni comuni. Significative mobilitazioni popolari, capaci di proposte alternative nel segno della democrazia condivisa, stanno tenacemente contrastando la politica delle “grandi opere” devastatrici dei territori, una gestione dei rifiuti legata al business dell’incenerimento e un modello energetico dissipatorio e autoritario, basato su impianti nocivi ed ora anche sul nucleare».

In attesa della manifestazione del 20 marzo, sullo stop alle politiche di privatizzazione e sulla necessità di una forte, radicata e diffusa campagna nazionale, un vastissimo fronte in queste settimane si è aggregato al Forum italiano dei movimenti per l’acqua: dalle associazioni dei consumatori alle associazioni ambientaliste, dal mondo cattolico e religioso al popolo viola, dai movimenti sociali al mondo sindacale, alle forze politiche. «Tutti insieme abbiamo deciso di lanciare da aprile una grande campagna di raccolta firme per la promozione di tre referendum abrogativi. Per dire, una volta per tutte: “Adesso basta. Sull’acqua decidiamo noi!”».

Temi dell'attività Parlamentare


Temi dell'attività Parlamentare

Il decreto-legge sugli enti locali
La legge finanziaria 2010 ha previsto una riduzione dei contributi ordinario agli enti locali e una serie di misure di razionalizzazione per farvi fronte. In gennaio il Governo ha adottato il decreto-legge n. 2 del 2010, attualmente all'esame della Camera, che integra le disposizioni della legge finanziaria e introduce alcune norme sulla funzionalità degli enti locali.
informazioni aggiornate a venerdì, 19 febbraio 2010

Il decreto-legge n. 2/2010 interviene a modificare ed integrare alcune norme in materia di contenimento delle spese degli enti locali contenute nella legge finanziaria 2010 (art. 2, commi 183-187).

Quest’ultima prevede una riduzione del contributo ordinario agli enti locali e, in relazione ad essa, una serie di misure di razionalizzazione per farvi fronte. Sono previsti, più in dettaglio, una diminuzione del numero dei consiglieri comunali e degli assessori comunali e provinciali, nonché la soppressione del difensore civico, delle circoscrizioni comunali, del direttore generale, dei consorzi di funzioni tra enti locali e del finanziamento alle comunità montane.

Il successivo intervento del Governo con il decreto-legge 2/2010 nasce dall’esigenza, da un lato, di assicurare la funzionalità degli enti locali e il contenimento delle spese, in tempo utile prima dell'avvio delle operazioni connesse allo svolgimento delle elezioni regionali e locali che avranno luogo il 28 e 29 marzo 2010; dall’altro, di precisare tempestivamente ed in modo univoco la decorrenza dell'efficacia delle disposizioni della legge finanziaria relative alla riduzione di organi e apparati amministrativi degli enti locali.

Il disegno di legge di conversione è stato presentato alla Camera (A.C. 3146) ed è attualmente all’esame delle Commissioni riunite I Affari costituzionali e V Bilancio.

L’articolo 1 del decreto-legge, profondamente modificato in sede referente, precisa la decorrenza dell’efficacia delle disposizioni relative alla riduzione di organi e apparati locali (dal 2011), ferma restando la riduzione dei trasferimenti erariali ivi prevista, ed estendendo anche ai consigli provinciali la riduzione del 20 per cento del numero dei componenti prevista per i consigli comunali.
Gli emendamenti approvati dalla Commissioni I e V provvedono, in primo luogo, a rimodulare l’applicazione temporale della riduzione dei contributi prevedendo una scansione anno per anno fino al 2015, in corrispondenza del rinnovo degli enti interessati.
Inoltre, viene anticipata al 2010 l’applicazione della riduzione del numero degli assessori (comunali e provinciali), mentre resta fissata al 2011 quella dei consiglieri.
Infine, vengono ridefinite alcune delle misure di razionalizzazione che i comuni devono adottare per assorbire la riduzione dei contributi:

  • la riduzione del numero degli assessori provinciali è stabilita in un quarto (non più in un quinto) del numero dei consiglieri;
  • vengono soppressi i circondari provinciali e le Autorità d’ambito territoriale per l’acqua e per i rifiuti;
  • l’obbligo di soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale viene limitato ai comuni con meno di 250.000 abitanti, così come l’obbligo di soppressione della figura del direttore generale permane solo nei comuni con meno di 100.000 abitanti;
  • i bacini imbriferi montani (BIM) vengono esclusi dall’obbligo di soppressione di tutti i consorzi.

In conseguenza della riduzione del numero dei consiglieri provinciali, il decreto-legge (art. 2) prevede la ridefinizione, entro il 30 novembre 2010, della tabella delle circoscrizioni dei collegi per le elezioni provinciali. In ogni caso la riduzione è efficace anche in caso di mancata ridefinizione della tabella.

Il decreto ha introdotto anche una disposizione volta al contenimento delle spese delle regioni, prevedendo un limite agli emolumenti dei consiglieri regionali che non dovranno superare l’indennità spettante ai membri del Parlamento (art. 3).

L’articolo 4 reca diverse misure per la funzionalità degli enti locali. In particolare, l’articolo provvede alla determinazione dei trasferimenti erariali spettanti agli enti locali per l’anno 2010 (comma 2) e alla conferma, per l’anno 2010, della compartecipazione delle province al gettito dell’IRPEF, fissata nella misura dell’1 per cento del riscosso in conto competenza (comma 3).
Inoltre, ai fini della salvaguardia degli equilibri di bilancio degli enti locali, viene confermata per l’anno 2010 la normativa concernente l’ipotesi di scioglimento dei consigli comunali per mancata approvazione del bilancio nei termini previsti e l’attribuzione al prefetto dei relativi poteri (comma 1), nonché la concessione di contributi per incentivare province e comuni ad utilizzare l’avanzo di amministrazione per l’estinzione anticipata di mutui e prestiti obbligazionari nel triennio 2010-2012 (comma 4).
Viene altresì modificata la legge finanziaria per il 2010 (legge n. 191/2009) con riferimento alle disposizioni relative all’attribuzione di un contributo di 600 milioni di euro in favore del Comune di Roma, al fine di precisare che l’importo autorizzato è dovuto per la gran parte (500 milioni) in favore del Commissario straordinario del Governo per il ripiano dei debiti ricompresi nel piano di rientro dell’indebitamento del comune di Roma, approvato il 5 dicembre 2008 (commi 6, 7 e 8).
Sono infine dettate norme per lo sviluppo delle isole minori, disponendo l’adozione degli interventi relativi all’anno 2008 come indicati nel Documento unico di programmazione isole minori (DUPIM), approvato il 17 dicembre 2008 dal Comitato direttivo dell'Associazione nazionale comuni isole minori (ANCIM) e trasmesso il 23 dicembre 2008 al Ministro per i rapporti con le regioni (comma 9).

Da ultimo, si segnala che il 13 gennaio 2010 il Governo ha presentato alla Camera anche un disegno di legge (A.C. 3118) che reca una più ampia riforma dell’ordinamento degli enti locali (c.d. Carta delle autonomie). Il progetto, che è stato assegnato alla I Commissione Affari costituzionali e di cui non è ancora iniziato l’esame, contiene disposizioni anche in materia di riduzione di organi e apparati amministrativi degli enti locali, che recano tuttavia una disciplina non pienamente coincidente con quella contenuta nella legge finanziaria e nel D.L. 2/2010.

Fonte


Acqua: si apre la strada alla deregolamentazione




Acqua: si apre la strada
alla deregolamentazione


Assolutamente inaccettabile è la proposta approvata in Commissione Affari Costituzionali, Bilancio e Tesoro, sull’abrogazione degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) di acqua e rifiuti.

Questa approvazione è completamente coerente con la volontà di arrivare in un settore delicatissimo quale quello dell’acqua ad una completa deregolamentazione, seguendo la filosofia del Decreto Ronchi ultimamente approvato.

Si persiste, perciò, nel seguire una strada completamente sbagliata, che non solo non risolverà i problemi del settore, caratterizzato da inefficienze che danno luogo anche a gravi dispersioni idriche, ma che aggraverebbe i costi in bolletta, come già verificatosi in casi analoghi del 15-20%.
“Vogliamo ricordare, pertanto, che abbiamo costituito, insieme ad Adusbef e Movimento Consumatori, il Comitato per l’abrogazione delle norme del Decreto Ronchi relativamente alla privatizzazione dell’acqua” – dichiara Rosario Trefiletti, Presidente Federconsumatori.

Naturalmente, inoltre, ci opporremo a questo maldestro tentativo di abolizione degli ATO e, dal momento che deve essere ancora approvato dalle Camere, confidiamo in un sussulto di responsabilità da parte dei parlamentari, affinché non facciano passare l’ennesima legalizzazione di possibili abusi e speculazioni su una risorsa vitale quale l’acqua.

(Fonte: Federconsumatori)

COSA È PUBBLICO E COSA È PRIVATO? - di Andrea Mangiola


COSA È PUBBLICO E COSA È PRIVATO?
di Andrea Mangiola

21 febbraio 2010

Sin dai primi anni dell'esistenza del nostro pianeta, l'acqua è stata la prima necessità di qualsiasi animale e vegetale ma esistito. Col tempo, si cominciò a studiarne le proprietà e i vari usi, passando dall'invenzione delle terme a quella delle docce, dalle bevande con base acquosa alle acque di vari tipi e gusti. Ed è proprio qui che questa introduzione si ferma: vogliamo oggi analizzare i pro e i contro dell'uso privato dell'acqua, sia essa naturale oligominerale, sia essa effervescente naturale, o alla pesca o al limone.

Molti non trovano giusto questo fenomeno di privatizzazione, rivendicando appunto la pubblica appartenenza del bene. Effettivamente, se si vanno ad analizzare i secoli precedenti, si è dovuto solamente creare reti idriche efficienti per portare acqua, e quindi i cittadini non hanno mai dovuto comperarla in alcun modo. Per giunta possiamo affermare che non ci sono mai state battaglie per procurarsene, cosa che invece potrebbe in futuro succedere (poiché il bene è di limitata disponibilità).

Ma qual'è il vero problema primario? Quali sono le fondamenta marce di questa discussione senza fine? La risposta è molto semplice. Da decenni, in modo particolare negli ultimi anni, lo Stato, le Regioni e i Comuni non hanno mai messo mano alla struttura idrica nazionale che è vecchia, obsoleta, in alcuni casi fatiscente. Mediamente si perde il 45% dell’acqua potabile incanalata nelle vecchie strutture e, in alcuni casi si arriva al 60%. Basterebbero investimenti sicuri e ben gestiti su impianti idrici nella Nazione per portare l'acqua a tutte le case come giusto che sia a prescindere dalla privatizzazione o no, e a prescindere dalle ideologie politiche di chi è momentaneamente al Governo, per evitare malsane situazioni che si verificano quasi quotidianamente in tutta Italia.

A Venezia, qualche anno fa, degli studenti analizzarono l'acqua delle fontanelle pubbliche e scoprirono che era addirittura maggiormente benefica rispetto a molte acquistabili sul mercato, e cominciarono ad produrre bottigliette di plastica da distribuire gratis a tutti coloro che ne volessero, invitando al riutilizzo della plastica stessa e alla presa in considerazione delle acque pubbliche, che in molti casi sono più convenienti e sane di quella privatizzata.

Che poi l'acqua sia da privatizzare o no, questo è ancora tutto da decidere: il 9 settembre 2009, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge (l’accordo Fitto-Calderoli), il cui articolo 15, modificando l’articolo 23 bis, muove passi ancora più decisivi verso la privatizzazione dei servizi idrici.

Come vedete, gli avvoltoi, indipendentemente dal colore partitico, rimangono sempre e solo degli avvoltoi, stipendiati, in questo caso, direttamente dalla lobbies delle bollicine.

Il mercato dell’acqua in Italia è un mercato molto interessante, per via degli 11 miliardi di litri di acqua minerale bevuti ogni anno. Stiamo parlando di circa 5 miliardi di euro di fatturato per i soliti noti.

Il rapporto dei prezzi tra acqua minerale in bottiglia e quella del rubinetto ha poi dell’incredibile: un litro di acqua minerale costa mediamente 0,35 - 0,40 euro, contro 0,001 euro dell'acqua pubblica.

177 imprese e 287 marchi, 11 miliardi di litri all'anno bevuti da 38 milioni di italiani, quasi 5 miliardi di Euro di fatturato e il primato mondiale di produzione sono davvero numeri spaventosi. Un vero affare, sostengono i molti che scenderanno in piazza a Roma il 20 Marzo per sfilare contro questa industria, per un prodotto che scende spontaneamente dal cielo, passa sulla terra e deve essere semplicemente imbottigliato e... pubblicizzato.

Tra le acque minerali commercializzate, le differenze di prezzo hanno dello sbalorditivo: tra la S. Pellegrino e la Monteverde, la differenza di prezzo è di +455%, determinata esclusivamente dal costo della promozione pubblicitaria. Per convincere i consumatori a comprare l’acqua in bottiglia, a scapito di quella quasi gratis del rubinetto, nel 2005 gli imbottigliatori hanno acquistato spazi pubblicitari per oltre 400 milioni di Euro.

Si potrebbe pensare, a questo punto, che l’unico motivo per bere acqua in bottiglia possa essere la garanzia di qualità, ma anche in questo caso la verità è stupefacente: le reti idriche degli acquedotti italiani sono soggette a una quantità incredibile di controlli (a Milano si eseguono circa 70 analisi al giorno) mentre i produttori di acque minerali hanno obblighi irrisori, si parla di controlli obbligatori solo ogni 5 anni, e affidati a laboratori privati, facilmente “addomesticabili”. A questo punto le somme le lasciamo tirare a chi di dovere, e vi invitiamo tutti a seguire le vicende che si stanno svolgendo, proprio in questi giorni, attorno alla questione della privatizzazione.

FONTI:
http://www.disinformazione.it/
http://www.trekking.it/
http://www.acquabenecomune.org/
http://www.leftcom.org/it/

Fonte articolo

Acqua privata - di Dario Guidi



Acqua privata
Con la legge Ronchi cambierà la gestione delle reti idriche: gare d'appalto obbligatorie e meno spazio al pubblico. Ma i dubbi sulla strada scelta sono tanti
di Dario Guidi

In Italia si va verso verso una gestione di acquedotti e reti idriche affidata a privati o comunque a soggetti nei quali, nella migliore delle ipotesi, il pubblico ha una quota sempre più ridotta. Il cosiddetto decreto Ronchi è legge da fine novembre 2010.
E nonostante le tante contestazioni e minacce di "guerra" (dai ricorsi per incostituzionalità annunciati dalle Regioni Piemonte, Emilia Romagna, Puglia, Marche e Basilicata ai pronunciamenti contrari di decine e decine di enti locali, dalle proteste di enti, associazioni e gruppi di cittadini sino alla annunciata raccolta di firme per indire un referendum abrogativo), con quello per ora ci sono da fare i conti.
Il fondato sospetto è che, magari assopiti dal quotidiano e poco appassionante dibattito politico, tanti italiani non si siano resi conto di un cambiamento in arrivo che riguarda un bene fondamentale per tutto il pianeta, ma riguarda anche la loro vita di tutti i giorni e il loro portafoglio.
Parliamo di acqua infatti. Sì, proprio di quella cosa che ci pare naturale veder uscire dal rubinetto (anche se in Italia non è così per tutti), che siamo abituati a pagar poco (rispetto agli altri paesi europei) forse anche perché giustamente la consideriamo un diritto, una cosa che c’è e ci deve essere. Punto e a capo. Ma dietro a questa percezione diffusa, stanno anche tanti problemi. E tanti soldi. Basti pensare che le famiglie italiane spendono quasi 6 miliardi di euro l’anno in bollette con ricavi (per i gestori) superiori ai 2 miliardi e mezzo. Ma ci sono anche i problemi di gestione e manutenzione di una rete lunga 327 mila chilometri e per nulla efficiente, visto che secondo i dati Istat del 2005 ben il 28,5% dell’acqua va perduto a causa di buchi e falle. E da allora ad oggi si stima che le perdite siano arrivate al 37%. Perdite che oscillano tra il 50% della Puglia e il 14% di Bolzano. Fatto sta che per rendere più efficiente questa rete ci sarebbero da investire decine di miliardi di euro.

Gestioni solo dopo una gara - Una partita decisamente complessa dunque, nella quale, oltre al dato di principio (se cioè la gestione dell’acqua possa diventare una merce sottoposta alla sola legge del profitto), ci sono da vedere tanti complicati aspetti legati alla gestione e al miglioramento di questo settore. Facciamo dunque un passo indietro per vedere cosa stabilisce il decreto Ronchi. In sostanza la gestione dell’acqua deve essere affidata solo con gare aperte a tutti. Si vuole cioè promuovere la concorrenza. Così al 31 dicembre 2010 cesseranno tutti gli affidamenti che non sono frutto di una gara. La scadenza può slittare al 31 dicembre 2011 se, nel mentre, gli enti gestori cedono a privati almeno il 40%. Per gli affidamenti a società quotate in Borsa (è il caso di molte ex municipalizzate come Acea, Hera o Iride), si va alla scadenza naturale del contratto, ma solo se la quota pubblica scende sotto al 30% entro fine 2015.
Dunque gestione privata e privatizzata, anche se la legge, in via di principio, ribadisce "l’esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche per quanto riguarda la qualità e il prezzo del servizio". Un passaggio duramente contestato da Paolo Carsetti, segretario nazionale del Forum italiano dei movimenti per l’acqua: "Siamo di fronte alla sostanziale e definitiva privatizzazione dell’acqua potabile. Parliamo di definitiva privatizzazione perché si tratta di un processo avviato da anni". Una visione condivisa da Rosario Trefiletti e Elio Lannutti, presidenti rispettivamente di Federconsumatori e Adusbef (associazioni che si stanno mobilitando per promuovere il referendum abrogativo): "Chi capta l’acqua, la distribuisce e la vende e ne incassa i proventi ne è di fatto il padrone".
Oltre al principio, gli oppositori del decreto Ronchi contestano anche che la gestione privata porti benefici ed efficienza: "Negli ultimi 10 anni - spiega Carsetti -, quando con la legge Galli si è iniziata l’apertura ai privati, c’è stato un aumento delle tariffe del 61% e una contemporanea diminuzione degli investimenti nella manutenzione della rete: da 2 miliardi di euro l’anno prima del ’94 a 700 milioni nel periodo successivo". Si cita poi il caso di Arezzo dove la gestione privata dell’acqua ha portato ad aumenti di prezzo esorbitanti. Il tutto considerando che in Italia (specie al sud) il 30% della popolazione ha un approvvigionamento idrico discontinuo e insufficiente, che ci sono ancora 9 milioni di persone senza fogne e 20 milioni senza depuratori.

La gestione attuale -
Spiegare la situazione attuale della gestione dell’acqua non è semplice. La citata legge Galli (risalente al 1994) ha istituito 92 Ato (Ambiti territoriali ottimali) cui spetta l’affidamento del servizio. A metà 2009, risultavano effettuati affidamenti di gestione del servizio in 68 Ato. In 31 casi si trattava di affidamenti cosiddetti in house, cioè a società interamente pubbliche, in altri 13 l’affidamento è a società quotate e in altri 12 a società miste pubblico-privato. Ben 23 Ato non hanno affidato il servizio. A ciò è da aggiungere che comunque in un terzo del paese funzionano ancora gestioni "in economia" da parte degli enti locali, con tariffe bloccate (7 anni fa dal Cipe) che non coprono neppure i costi.
Se da un lato si metterà dunque in movimento un enorme meccanismo legato alle gare d’appalto e alla ridefinizione degli assetti societari per rientrare nei termini stabiliti dalla legge, dall’altra c’è da tener presente che a completare il quadro manca un tassello fondamentale e cioè quello del soggetto che vigilerà sul settore e dovrà fissare le tariffe. Al momento in cui scriviamo il governo non ha ancora deciso se sarà una Autority autonoma o qualcos’altro. Ma il nodo centrale è di avere un soggetto forte e autorevole che davvero verifichi e garantisca il rispetto delle regole e che agli impegni assunti seguano i fatti. Quello delle tariffe si presenta infatti come uno dei nodi decisivi. Oggi in Italia, nonostante gli aumenti degli ultimi anni, abbiamo tariffe (che pur essendo diversissime tra le diverse città) sono tra le più basse d’Europa. E tutti mettono nel conto che con la legge Ronchi ulteriori impennate siano inevitabili (le associazioni di consumatori stimano aumenti tra il 30 e il 40%). Ma quali sono le garanzie che ciò si traduca in investimenti nella rete e quindi in una maggiore efficienza? Roberto Bazzano, presidente di Federutility, l’associazione che unisce gran parte dei gestori di acquedotti, lo ha detto chiaramente: "Se non si aumentano le tariffe non ci possono essere investimenti da parte dei privati. Noi chiediamo un’Autority che possa concedere deroghe ai limiti previsti sugli aumenti tariffari a fronte di investimenti sulla rete". Altrimenti si resta alla situazione attuale, dove gli investimenti vengono sì programmati (la stima è che servano 60 miliardi), ma poi non vengono fatti. E miliardi di euro in acqua vengono sprecati.
La scommessa sul privato, che anima la legge Ronchi, suscita dubbi e timori, anche perché la logica di profitto che è propria di queste società potrebbe indurle a non operare per ridurre i consumi; così come non si capisce perché soggetti pubblici, capaci ed efficienti, non potrebbero operare e investire nel settore.
Evidente che il rischio di ideologizzare il confronto c’è tutto. Nella querelle tra pubblico e privato, Roberto Passino, presidente del Coviri (Comitato di vigilanza sulle risorse idriche) se la cava citando il leader cinese Deng Xiaping: "Non importa che i gatti siano bianchi o neri. L’importante è che mangino i topi". Eccesso di pragmatismo? Il fatto è che realtà tutte pubbliche che funzionano bene ce ne sono. E’ il caso di Metropolitana milanese che gestisce il servizio idrico del Comune di Milano, che ha un bilancio in pareggio, reinveste gli utili nella rete e ha perdite d’acqua di poco superiori al 10% (ricordiamo che la media italiana è quasi del 30%). "Obbligare a privatizzare anche laddove il servizio è svolto in maniera efficiente da società pubbliche è una imposizione inaccettabile" spiega il segretario di Adiconsum Paolo Landi.
Resta il fatto che, con le nuove norme, il meccanismo delle gare unito all’onerosità degli interventi di manutenzione della rete, spazzerà via tanti dei gestori attuali (che ricordiamo son circa 8.000), lasciando spazio solo a chi avrà (oltre ai requisiti giuridici) spalle finanziariamente assai robuste. Questo significa che, oltre e insieme alle ex municipalizzate nostrane, comunque percepite dai cittadine come sempre più lontane dai territori d’origine, spunteranno multinazionali come le francesi Veolia e Suez, pronte a investire i loro soldi, ma solo nella convinzione di poterci guadagnare. Serviranno dunque "cani da guardia" molto efficienti per salvaguardare l’interesse collettivo. Una specialità che in Italia non si è ancora ben affermata. In attesa di vedere se ricorsi e pronunciamenti potranno invertire il corso delle cose, si può ben citare l’esempio di Parigi dove il sindaco Delanoe ha deciso di revocare la licenze ai gestori privati della rete idrica, insoddisfatto del loro servizio e di tornare al pubblico. Una cosa che sembra convincere (in maniera bipartisan) anche tanti amministratori pubblici in Italia, preoccupati di perdere il rapporto con le loro comunità e coi loro territori. Vedremo come andrà a finire.

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Acqua privatizzata? No, politicizzata - di Paolo Ligammari


Acqua privatizzata? No, politicizzata
Un libro del giornalista Giuseppe Marino: «Solo il 7% delle gestioni sono davvero in mano privata» Il 20 marzo manifestazione nazionale del popolo degli «scontenti»
di Paolo Ligammari
16 febbraio 2010

La privatizzazione dell’acqua non è andata giù a parecchi italiani. Tanto che il popolo degli scontenti si è dato appuntamento il 20 marzo a Roma per una manifestazione nazionale che vuole chiedere a gran voce al «palazzo» di fare un passo indietro e riportare le risorse idriche sotto il controllo pubblico.

MOVIMENTI E INIZIATIVE - I movimenti per l’acqua pubblica sono sorti spontaneamente un po’ dappertutto, dalla Lombardia, alla Toscana, al Lazio, alla Sicilia, contestano il forte aumento delle tariffe, lievitate del 47 per cento in dieci anni e invocano gestioni più aperte al dialogo con le comunità locali, accusando le aziende di voler lucrare su un bene essenziale. Ma un libro inchiesta in uscita in questi giorni, inquadra la questione sotto una luce diversa. Secondo l’autore, il giornalista Giuseppe Marino, a mettere le mani sull’acqua è stata una casta legata soprattutto alla politica. «Solo sette gestioni su cento sono davvero affidate ad aziende private - spiega Marino - oltre la metà parte è rimasto, senza gara d’appalto, a società interamente pubbliche. La parte restante è costituita da società miste in cui il socio privato è spesso rappresentato dalle ex municipalizzate, dunque aziende che non sono estranee, ancora oggi, all’influenza della politica».

LA CASTA DELL'ACQUA - La tesi del libro, (La casta dell’acqua, ed. Nuovi Mondi, 12 euro) è che il dibattito sulla scelta tra gestione pubblica e privata dell’acqua perde di vista il vero problema, l’assenza di regole e parametri che obblighino a una gestione sana dell’oro blu, e la mancanza di un controllore dotato di competenze e poteri di intervento per controllare chi ha in mano gli acquedotti e sanzionare disservizi e storture. La riforma varata nel ’94 ha diviso l’Italia in 91 zone grosso modo corrispondenti alle province e affidato questo compito agli «Ato», una sorta di mini-parlamentini formati dai rappresentanti dei comuni della zona. «Altre poltrone per politici locali - spiega Marino - che costano ai cittadini quasi 50 milioni di euro l’anno e si sono dimostrati incapaci di assolvere ai propri compiti. Nei consigli d’amministrazione delle società che avrebbero il compito di controllare ci sono esponenti della stessa maggioranza che nomina (e domina) gli Ato. E infatti, nonostante i disservizi, raramente dagli Ato arrivano serie contestazioni ai gestori».

IL BUCO NERO DELL'ACQUA - Eppure di buchi neri la gestione ne ha tanti: le bollette sono aumentate ma solo la metà degli investimenti sulla rete idrica sono stati realizzati. Dopo 15 anni dalla riforma che mirava a ridurre le perdite, queste sono ancora calcolate tra il 30 e il 40% (a seconda delle stime) considerando la dispersione dai tubi e l'acqua erogata ma non conteggiata per problemi amministrativi. Inoltre, molte aziende hanno accumulato indebitamenti di decine di milioni di euro. E questo vale sia per società pubbliche, come Gaia, che gestisce l’acqua nella zona di Massa Carrara, sia per quelle miste, come Acqualatina, gestore del Basso Lazio. In più si moltiplicano i tentativi di inserire nelle tariffe costi impropri, dallo scarico delle acque piovane a contributi per le comunità montane. E i “controllori” politici? «Avallano tutto o quasi -accusa Marino- come a Frosinone dove sono stati approvati aumenti retroattivi bocciati poi dal Coviri, la commissione di controllo che pure ha scarsi poteri. E così anche l’acqua è diventata di destra o di sinistra, a seconda della maggioranza che controlla l’Ato e ha piazzato i propri rappresentanti e consiglieri d’amministrazione in decine di poltrone. A volte costose come quelle dell’Arra, la siciliana Agenzia regionale rifiuti e acque alla cui guida è stato nominato il burocrate più pagato d’Italia, che percepisce intorno ai 550mila euro l’anno».

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Referendum popolare sulla privatizzazione dell’acqua - di Diego Novelli





Referendum popolare sulla privatizzazione dell’acqua
di Diego Novelli

Il tema dell'acqua è tornato prepotentemente d'attualità dopo la conversione in legge da parte del Parlamento del Decreto Legge del governo n. 135 del 25 settembre 2009, col quale si impone, di fatto, la privatizzazione degli acquedotti municipali. Il provvedimento sarebbe stato praticamente ignorato dalla grande opinione pubblica se non ci fosse stata una puntata della trasmissione televisiva "Presadiretta" magistralmente condotta da Riccardo Iacona, andata in onda domenica 7 febbraio, nel corso della quale si evidenziava, senza possibilità di equivoci, la gravità dell'atto. Infatti è stato dimostrato con gli esempi citati, come nei Comuni dove questo servizio fondamentale è stato privatizzato, il costo dell'acqua per i cittadini è nella migliore delle ipotesi triplicato, senza che venissero risolti i problemi relativi alla fornitura. Il caso più clamoroso è quello del Comune di Agrigento, nel quale praticamente la distribuzione dell'acqua non è garantita con regolarità 24 ore su 24 mentre la bolletta per gli utenti si è sestuplicata. Ma non c'è solo la Sicilia: in Torcana Arezzo, nel Lazio Latina. Il governo Berlusconi ha agito con una determinazione che ha il sapore della prepotenza, senza consultare l'ANCI, l'Associazione dei Comuni Italiani, senza tener conto dei rilievi mossi dall'opposizione, strozzando la discussione, mettendo la sua maggioranza di fronte al solito ricatto: o con me, o contro di me.

I parlamentari della Lega, che hanno approvato come tanti pecoroni, investiti dalle proteste di molti sindaci della loro parte politica, hanno dichiarato di non essersi accorti poiché il provvedimento era inserito in decretone cosiddetto omnibus, dove figuravano altri decreti.

A questo punto non rimane che la strada dell'annullamento di una legge capestro per tutti i Comuni italiani che hanno la gestione diretta dell'approvvigionamento e della distribuzione dell'acqua, attraverso un referendum abrogativo. I sindaci, in primo luogo, come le forze politiche, i movimenti, le associazioni che si battono da anni per difendere questo bene comune, rappresentato dall'acqua, non possono non impegnarsi per mobilitare l'opinione pubblica, per raccogliere le firme necessarie per indire una grande consultazione popolare.

Fonte

L'acqua pubblica di Torino

L'acqua pubblica di Torino

A Torino l'acqua rimane pubblica grazie a una delibera di iniziativa popolare approvata in Consiglio Comunale. La delibera è stata sottoscritta da 12.000 cittadini su iniziativa del Comitato Acqua Pubblica e ha avuto parere favorevole delle 10 circoscrizioni torinesi. E' stato inserito nello Statuto del Comune il testo: "In osservanza della legge, la proprietà delle infrastrutture e delle reti del servizio idrico integrato è pubblica e inalienabile. La Città si impegna per garantire che la gestione del servizio idrico integrato sia effettuata esclusivamente mediante soggetti interamente pubblici". Il Governo delle privatizzazioni è stato sconfitto. Chiamparino in tutto questo non c'entra, anzi. L'approvazione è stata ardua: due votazioni, ma ne sarebbe stata sufficiente una se nella prima avessero detto sì i due terzi dei consiglieri. Mancavano tre voti, uno era del sindaco Chiamparino. Loro non si arrenderanno mai. Noi neppure.

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Appello di Alex Zanotelli: «Mobilitiamoci! Sull'acqua ci giochiamo tutto» - di Alex Zanotelli


Appello di Alex Zanotelli: «Mobilitiamoci!
Sull'acqua ci giochiamo tutto»

di Alex Zanotelli

10 Febbraio 2010

Questo è l’anno dell’acqua, l’anno in cui noi italiani dobbiamo decidere se l’acqua sarà merce o diritto fondamentale umano. Il 19 novembre 2009, il governo Berlusconi ha votato la legge Ronchi, che privatizza i rubinetti d’Italia. E’ la sconfitta della politica, è la vittoria dei potentati economico-finanziari. E’ la vittoria del mercato, la mercificazione della «creatura» più sacra che abbiamo: «sorella acqua». Questo decreto sarà pagato a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese, che, per l’aumento delle tariffe, troveranno sempre più difficile pagare le bollette dell’acqua [avremo così cittadini di serie A e di serie B!]. Ma soprattutto, la privatizzazione dell’acqua sarà pagata dai poveri del Sud del mondo con milioni di morti di sete. Per me è criminale affidare alle multinazionali il bene più prezioso dell’umanità [«l’oro blu»], bene che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici [scioglimento dei ghiacciai e dei nevai] sia per l’incremento demografico.

L’acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestito dai Comuni a totale capitale pubblico, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione per tutti al costo più basso possibile. Purtroppo il nostro governo, con la legge Ronchi, ha scelto un’altra strada, quella della mercificazione dell’acqua. Ma sono convinto che la vittoria dei potentati economico-finanziari si trasformerà in un boomerang.

E’ già oggi notevole la reazione popolare contro questa decisione immorale. Questi anni di impegno e di sensibilizzazione sull’acqua, mi inducono ad affermare che abbiamo ottenuto in Italia una vittoria culturale, che ora deve diventare politica. Ecco perché il Forum italiano dei Movimenti per l’acqua pubblica lancia ora il Referendum abrogativo della Legge Ronchi, che dovrà raccogliere, fra aprile e luglio 2010, circa seicentomila firme. Non sarà un referendum solo abrogativo, ma una vera e propria consultazione popolare su un tema molto chiaro: o la privatizzazione dell’acqua o il suo affidamento ad un soggetto di diritto pubblico. Le date del referendum verranno annunciate in una grande manifestazione nazionale a Roma il 20 marzo, alla vigilia della Giornata mondiale dell’acqua [22marzo].

Nel frattempo chiediamo a tutti di costituirsi in gruppi e comitati in difesa dell’acqua, che siano poi capaci di coordinarsi a livello provinciale e regionale. E’ la difesa del bene più prezioso che abbiamo [aria e acqua sono i due elementi essenziali per la vita!]. Chiediamo a tutti i gruppi e comitati di fare pressione prima di tutto sui propri Comuni affinché convochino consigli monotematici per dichiarare che l’acqua è un bene di non rilevanza economica. Questo apre la possibilità di affidare la gestione dell’acqua ad un soggetto di diritto pubblico. Abbiamo bisogno che migliaia di Comuni si esprimano. Potrebbe essere questo un altro referendum popolare propositivo. Solo un grande movimento popolare trasversale potrà regalarci una grande vittoria per il bene comune. Sull’acqua ci giochiamo tutto, anche la nostra democrazia. Dobbiamo e possiamo vincere. Ce l’ha fatta Parigi [la patria delle grandi multinazionali dell’acqua, Veolia, Ondeo, Saur che stanno mettendo le mani sull’acqua italiana] a ritornare alla gestione pubblica. Ce la possiamo fare anche noi. Mobilitiamoci! E’ l’anno dell’acqua!

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Zanotelli: se l’acqua non sarà più nostra, come in Bolivia

San Benedetto non ce la dà a bere


San Benedetto non ce la dà a bere

La pubblicità “ambientale” dell'azienda veneta è ingannevole: parola dell’Antitrust. Multa all’azienda che non paga i canoni ma fa utili milionari


Settantamila euro di multa per San Benedetto. A “punire” l’azienda veneta è stata l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha pizzicato, e sanzionato, la pubblicità delle bottiglie “eco-friendly” (vedi Ae 100), accompagnate dalla dicitura “- plastica + natura”.
L’Antitrust, nel condannare per “pratiche commerciali scorrette” San Benedetto, contesta i messaggi diffusi dalla primavera 2009 “alla data del 27 ottobre”: l’azienda non ha è stata in grado di produrre nessun riferimento scientifico che comprovasse le affermazioni contenute nei claim ambientali. Non sono provati, né comprovabili, tanto la riduzione del peso delle bottiglie (“almeno il 30%” della plastica utilizzata) quando il risparmio energetico che ne deriverebbe (“una quantità di energia equivalente alla CO2 fissata da 16.000 ettari di nuovo bosco impiantato”).
Al di là della multa di 70mila euro (l’azienda ha già fatto ricorso al Tar), vale la pena leggere con attenzione, e per questo la ricopiamo, la valutazione conclusiva dell’Autorità, perché l’Antitrust riconosce per la prima volta la “deriva ambientalista” dei messaggi pubblicitari e ne definisce i limiti: “L’accresciuta sensibilità ambientale dei consumatori ha indotto i professionisti a conferire sempre maggior risalto, nella pianificazione delle proprie campagne pubblicitarie, alle caratteristiche di compatibilità ambientale dei prodotti o servizi offerti. I cosiddetti claim ambientali […] sono, quindi, diventati un potente strumento di marketing in grado di incidere significativamente sulle scelte di acquisto dei consumatori. […] costituisce onere informativo minimo imprescindibile a carico dei professionisti che intendono utilizzare tali vanti nelle proprie politiche di marketing quello di presentarli in modo chiaro, veritiero, accurato, non ambiguo né ingannevole” (sul sito di Ae il testo integrale estratto dal Bollettino n. 52 dell’Agcm, del 18 gennaio 2010). Un messaggio per il futuro, per San Benedetto e tutti gli altri. Una nota a margine: l’Antitrust ha letto il bilancio di Acqua minerale San Benedetto spa chiuso al 31 dicembre 2008, e ne riporta i dati. Nel 2008, l’azienda ha fatturato circa 564 milioni di euro, registrando “utili per oltre 32.400.000”. Lo stesso gruppo, però, non ha voluto pagare, nel 2008, il canone di concessione per l’acqua emunta e imbottigliata in Veneto, poco più di 2,2 miliardi di litri (cioè 2,2 milioni di metri cubi). Avrebbe dovuto versare nelle casse della Regione “solo” 6,5 milioni di euro. Se anche lo avessero fatto, gli Zoppas non sarebbero finiti in bolletta. Avrebbero dovuto solo rinunciare a una parte del loro guadagno.


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20 Marzo 2010 - Manifestazione nazionale a Roma



20 Marzo 2010
Manifestazione
Nazionale a Roma

Appello per la manifestazione
Per la ripubblicizzazione dell’acqua, per la tutela di beni comuni, biodiversità e clima, per la democrazia partecipativa

Insieme, donne e uomini appartenenti a comitati territoriali e associazioni, forze culturali e religiose, sindacali e politiche, abbiamo contrastato i processi di privatizzazione dell’acqua portati avanti in questi anni dalle politiche governative e in tutti i territori.
Insieme abbiamo costituito il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e raccolto più di 400.000 firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per la tutela, il governo e la gestione pubblica dell’acqua.

Mentre la nostra proposta di legge d’iniziativa popolare giace nei cassetti delle commissioni parlamentari, l’attuale Governo ha impresso un’ulteriore pesante accelerazione, approvando, nonostante l’indignazione generale, leggi che consegnano l’acqua ai privati e alle multinazionali (art. 23bis, integrato dall’ art. 15-decreto Ronchi).

Non abbiamo alcuna intenzione di permetterglielo.

La nostra esperienza collettiva, plurale e partecipativa è il segno più evidente di una realtà vasta e diffusa, di un movimento vero e radicato nei territori, che ha costruito consapevolezza collettiva e capacità di mobilitazione, sensibilizzazione sociale e proposte alternative.

Chiamiamo tutte e tutti ad una manifestazione nazionale a Roma sabato 20 marzo, per bloccare le politiche di privatizzazione dell’acqua, per riaffermarne il valore di bene comune e diritto umano universale, per rivendicarne una gestione pubblica e partecipativa, per chiedere l’approvazione della nostra legge d’iniziativa popolare, per dire tutte e tutti assieme “L’acqua fuori dal mercato!”.

Nella nostra esperienza di movimenti per l’acqua, ci siamo sempre mossi con la consapevolezza che quanto si vuole imporre sull’acqua e in ciascun territorio è solo un tassello di un quadro molto più ampio che riguarda tutti i beni comuni, attraversa l’intero pianeta e vuol mettere sul mercato la vita delle persone.

La perdurante crisi economica, ambientale, alimentare e di democrazia, è la testimonianza dell’insostenibilità dell’attuale modello di produzione, consumi e vita.
Il recente fallimento del summit ONU di Copenaghen è solo l’ultimo esempio dell’inadeguatezza delle politiche liberiste e mercantili, incapaci di rispondere ai diritti e ai bisogni dell’umanità.

Se il mercato ha prodotto l’esasperazione delle diseguaglianze sociali, la cronicità della devastazione ambientale e climatica, la drammaticità di grandi migrazioni di massa, non può essere lo stesso mercato a porvi rimedio.

Analogamente alle battaglie sull’acqua, in questi anni e in moltissimi territori, sono nate decine di altre resistenze in difesa dei beni comuni.

Significative mobilitazioni popolari, capaci di proposte alternative nel segno della democrazia condivisa, stanno tenacemente contrastando la politica delle “grandi opere” devastatrici dei territori, una gestione dei rifiuti legata al business dell’incenerimento, un modello energetico dissipatorio e autoritario, basato su impianti nocivi ed ora anche sul nucleare.

Rappresentano esperienze, culture e storie anche molto diverse fra loro, ma ugualmente accomunate dalla voglia di trasformare questo insostenibile modello sociale, difendendo i beni comuni contro la mercificazione, la salute contro tutte le nocività, i territori contro le devastazioni ambientali.

Chiamiamo tutte queste realtà a costruire assieme la manifestazione nazionale di sabato 20 marzo.

Ciascuna con la propria esperienza e specificità, ciascuna con la propria ricchezza e capacità.

Pensiamo che la manifestazione, oltre ad essere un importante ed unificante momento di lotta, ponga con intelligenza e determinazione la questione della democrazia partecipativa, ovvero l’inalienabile diritto di tutte/i a decidere e a partecipare alla gestione dell’acqua e dei beni comuni, del territorio e dell’energia, della salute e del benessere sociale.

Consapevoli delle nostre differenze, accomunati dal medesimo desiderio di un altro mondo possibile.

FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA

Diritti. La lotta per «sorella acqua» . Carlo Gubitosa e Annalisa Ippolito


Diritti. La lotta per «sorella acqua»
di Carlo Gubitosa e Annalisa Ippolito


Non c’è solo il petrolio: anche l’acqua è da sempre al centro di tensioni e contese in tutto il mondo. Negli ultimi anni poi si sono moltiplicate le spinte che arrivano dal mercato – incoraggiate da Banca mondiale e Fmi – verso una privatizzazione sempre più capillare dei servizi idrici anche nei paesi poveri.

Sin dall’antichità l’uomo ha scelto di uccidere per accaparrarsi risorse che scarseggiavano, anziché mettersi d’accordo con i suoi simili per organizzare meglio l’utilizzo e la distribuzione di queste risorse. Il saccheggio violento è stato utilizzato come una scorciatoia rapida ed efficace per risolvere problemi di approvvigionamento, una soluzione miope che ha sempre danneggiato tutte le popolazioni coinvolte.

Nel 2003, a poche settimane dall’inizio delle azioni militari contro l’Iraq, tonnellate di rifiuti non trattati sono state riversate nei fiumi della Mesopotamia come diretta conseguenza dei bombardamenti. Il risultato è stata una proliferazione del fitoplancton, che ha impoverito di ossigeno le acque, rendendole inadatte alla sopravvivenza della fauna marina.

Quello dell’Iraq non è un caso isolato: molte guerre per il controllo delle materie prime si combattono in zone di grande valore ambientale e naturalistico, caratterizzate dalla loro grande biodiversità e dalla presenza di aree verdi molto estese. Le foreste del Congo, che ospitano elefanti e gorilla, le foreste di mangrovie nel delta del Niger, che costituiscono l’area umida più vasta dell’Africa, le terre fertili del Borneo sono alcuni esempi di paradisi naturali trasformati in campi di battaglia dalla stupida avidità della razza umana.

Tra questi conflitti spiccano le guerre per l’acqua, che hanno una lunga storia alle spalle: già nel 1790 avanti Cristo il «codice» del re babilonese Hammurabi, una fra le più antiche raccolte di leggi conosciute nella storia dell’umanità, cercava di regolare i conflitti per le risorse idriche attraverso disposizioni sull’irrigazione.

Per venire a tempi più recenti, nel 1503, durante lo scontro tra Pisa e Firenze, Leonardo da Vinci e Machiavelli avevano elaborato un piano per deviare le acque dell’Arno in modo che non raggiungessero Pisa; e anche la storia contemporanea è costellata di conflitti tra popoli che usano lo stesso fiume pur appartenendo a nazioni differenti.

In tutto il mondo i fiumi e i laghi sono un duro terreno di scontro geopolitico: il sistema idrico formato dal Nilo e dal Lago Vittoria è condiviso da nove tra i paesi più poveri del mondo: Egitto, Etiopia, Sudan, Tanzania, Kenya, Uganda, Burundi, Rwanda e Repubblica Democratica del Congo.

Da più di venti anni l’India e il Bangladesh si contendono le acque del fiume Gange, e il Mekong è al centro di tensioni che coinvolgono Cina, Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam, l’ultima nazione a ricevere le acque del Mekong nel suo tortuoso percorso. Cosa accadrà alla popolazione vietnamita quando questo fiume verrà strozzato dalle dighe? Esistono più di cento progetti relativi a dighe, deviazioni di flussi idrici e sistemi di irrigazione per il Mekong, e ognuno è stato redatto come se gli altri novantanove non esistessero.

Nel gestire l’utilizzo dei fiumi e delle acque, i governi scelgono spesso di applicare tacitamente la legge del più forte o del primo arrivato, senza curarsi delle conseguenze e delle possibili reazioni (anche militari) dei paesi «a valle» espropriati dai paesi «a monte» delle loro risorse idriche.

Le dighe non producono acqua, perché non possono generarla dal nulla: possono solo accumularla o dirottarla altrove, sottraendola alle popolazioni che si trovano a valle della diga. È per questo motivo che l’accaparramento delle risorse idriche da parte di nazioni che condividono lo stesso fiume con altri paesi non genera solo siccità e sete, ma innesca processi di migrazione forzata che costringono intere comunità locali e popolazioni indigene a fuggire dai territori che hanno abitato da sempre.

Anche paesi come la Cina e gli Stati Uniti, ricchi di fiumi e bacini che scorrono interamente sul territorio nazionale, non sono immuni dalle conseguenze di uno sfruttamento insensato delle risorse idriche. Le pompe moderne permettono di raggiungere falde acquifere sempre più profonde, estraendo acqua ad un ritmo ben più rapido di quello necessario alla natura per riempire nuovamente le falde attraverso la pioggia.

Negli ultimi anni il livello delle acque si è inesorabilmente abbassato nella pianura cinese del nord; negli Stati Uniti il fiume Colorado è spesso in secca e non arriva a sfociare nell’oceano, e in Asia centrale (tra Turkmenistan e Uzbekistan) il fiume Amu Darya non riesce più ad alimentare a sufficienza il lago d’Aral, sfruttato oltre ogni capacità di rigenerazione, e la cui lenta scomparsa dalle carte geografiche è una delle catastrofi ecologiche più gravi del pianeta.

L’elenco potrebbe continuare a lungo: i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente come Algeria, Egitto, Iran e Marocco, ma anche lo Yemen, il lago Ciad, la regione indiana del Punjab, il Bangladesh e il lago Baikal (in Siberia) sono tutte zone colpite dalla siccità, e dove il consumo di risorse idriche è superiore alla naturale capacità di rigenerazione delle falde acquifere.

L’acqua è una risorsa sempre più scarsa e contesa tra le nazioni, dal momento che i fiumi non rispettano le suddivisioni geopolitiche: almeno venti stati nel mondo ricevono più del 50% dell’acqua che consumano da fiumi che attraversano i confini nazionali, e quattordici paesi ricevono almeno il 70% delle loro acque di superficie da fiumi che si trovano in altri stati.

Oggi questi conflitti non sono più regolati dal codice di Hammurabi, ma da oltre tremilaottocento dichiarazioni, convenzioni o trattati sull’acqua sottoscritti da singole nazioni o da gruppi di paesi. Ciò nonostante, il mondo è ancora ben lontano dal gestire l’acqua nel modo migliore.
Questa risorsa è più rara, preziosa e ambita di quel che potremmo pensare guardando gli oceani: solo il 2,5% dell’acqua presente sul pianeta rientra nella categoria delle acque dolci potenzialmente utilizzabili dall’uomo, e a sua volta solo una minima frazione delle acque dolci è disponibile in superficie e nell’atmosfera.

Lo spreco di risorse idriche, la difficoltà di accesso all’acqua e le tensioni che ne derivano sono complicati dalla dimensione economica e dalle spinte che arrivano dal mercato verso una privatizzazione sempre più capillare dei servizi idrici. Un percorso avviato già alla fine degli anni Novanta dal governo britannico con una massiccia campagna di privatizzazione dell’acqua.

Le istituzioni internazionali come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno incoraggiato la vendita dell’acqua pubblica alle compagnie private da parte dei governi come soluzione di breve periodo per ridurre il debito pubblico, ma questo rimedio si è rivelato peggiore del male.

A Cochabamba, in Bolivia, il costo dell’acqua si è triplicato dopo la privatizzazione senza nessun miglioramento del servizio, innescando quella che è stata definita come la «prima guerra dell’acqua» boliviana, un duro conflitto sociale che nel 2000 ha visto contrapporsi i cittadini di Cochabamba alla compagnia che aveva ottenuto il controllo delle acque locali.

Il risultato di quelle mobilitazioni fu la decisione unilaterale del governo boliviano di rescindere i contratti stipulati con le compagnie multinazionali ai quali era stato affidato il controllo dell’acqua, e nel 2005 una «seconda guerra dell’acqua» è riuscita a bloccare nuovi contratti che avrebbero generato profitti per pochi dalle risorse idriche di tutti.

Ma il problema non è stato risolto definitivamente, e ancora oggi nel Sud del mondo la corsa alla privatizzazione delle acque nazionali minaccia la sicurezza idrica di paesi come Argentina, Cile, Messico, Malesia e Nigeria, dove i più poveri rischiano di essere penalizzati dalle leggi di mercato anche nell’accesso all’elemento fondamentale per la sopravvivenza della razza umana. In Ghana, ad esempio, la vendita regolata dal mercato ha obbligato la fascia più povera della popolazione a spendere fino al 50% del guadagno mensile per l’acquisto dell’acqua.

Il tema dell’acqua pubblica non è più un problema limitato al Sud del mondo, e inizia a toccare da vicino anche il Nord, e in esso anche il nostro paese. Se in Bolivia si è riusciti a fare una parziale marcia indietro sulle privatizzazioni idriche, in Italia la tendenza è totalmente opposta. Il 19 novembre scorso, infatti, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge già approvato dal Senato che contiene le norme sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali e sulla privatizzazione dell’acqua.

Quali che siano le conseguenze di questa decisione, quello che è certo è che ricadranno anche sulle generazioni future e saranno difficilmente reversibili.

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