Il grande business dell’acqua privata Una torta da 8 miliardi - di Roberto Rossi

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Il grande business dell’acqua privata
Una torta da 8 miliardi

di Roberto Rossi

6 - 11 - 2009

Il nodo della questione è tutto lì, nel titolo dell’articolo 15 del decreto legge n.135, o decreto Ronchi, tramutato in legge al Senato appena un giorno fa. È lungo solo una riga ma vale miliardi. Soldi che usciranno dalle tasche dei consumatori e che arriveranno in quelle di pochi grandi gruppi. Il titolo, dunque, recita: «Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica». Che vuol dire?Che l'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali avverrà, in via ordinaria, attraverso gare ad evidenza pubblica. Quali sono i servizi indicati? Diversi (gas o trasporto, ad esempio). Ma tra questi uno in particolare: l’acqua. Che con il decreto ha cambiato status. Non più bene pubblico, ma merce. Di «proprietà» dello Stato, dopo una emendamento inserito all’ultimo minuto dal Pd, ma gestita da privati. Un business colossale. Quanto grande? Forse otto miliardi nei prossimi dieci anni. Ma è un calcolo in difetto. E solo parametrato sulla semplice gestione. Senza contare gli investimenti pubblici ed europei. Attualmente in Italia la rete idrica è coperta da circa 110 gestori. Divisi tra i 91 Ato (ambito territoriale ottimale) esistenti. Grosso modo ad ogni Ato corrisponde una provincia. A crearli fu la Legge Galli del 1994. Che per la prima volta aprì anche ai privati. Oggi 64 gestori sono a totale capitale pubblico e servono oltre la metà della popolazione. Il resto è a capitale misto o privato.

Questo fino a mercoledì. Perché nel giro di un anno o al massimo entro il 2012 l'affidamento dei servizi pubblici locali passerà in mano a «imprenditori o società in qualunque forma costituite». Anche con capitale misto dunque, purché «l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio» sia nelle mani del privato che non può «avere una quota inferiore al 40%» della società. Il pubblico può rimanere ma è il privato che decide quanto o come investire. E il privato deve fare profitti. E i profitti si fanno abbassando gli investimenti e alzando le tariffe. In Italia dal 1994 (anno della Galli) al 2005 sono stati investiti 700 milioni di euro l'anno nella rete. Nei dieci anni precedenti oltre 2 miliardi di euro. Nel 2008, secondo l’ultimo rapporto del Co.Vi.RI. relativo a 54 Ato, risultavano realizzati solo il 56% degli investimenti previsti (sei miliardi). Questo, scrive Cittadinanzattiva, a fronte di un’impennata delle tariffe di oltre il 47% negli ultimi 10 anni. Seconde solo al petrolio. In Toscana, ad esempio, dove è più forte la presenza di privati, ogni famiglia spende in media per l’acqua 330 euro all’anno a fronte di una dispersione del 34%. I privati, se non regolamentati, non portano efficienza. NelnostroPaesele società più importanti, per capacità e fatturato, sono sei: la romana Acea, la bolognese Hera, la ligure-piemontese Irenia, la triestina Acegas-Aps, la lombarda A2A e Acquedotto Pugliese. Le prime cinque sono quotate. Sono multiutility a capitale misto dove però è il privato che detta le regole. Questo perché ha i soldi necessari e spesso anche il know how. E con la nuova norma avranno un peso ancora maggiore visto che gli enti locali non potranno avere oltre il 40% del capitale delle società in questione.

L’Italia diventeràun terreno fertile per le multinazionali estere, come le francesi Veolia e Suez, che tra gestione e incroci azionari, si stanno mangiando fette di territorio. Per l’acqua «si assiste - per usare le parole dell’Antitrust - alla sostituzione di monopoli pubblici conmonopoli privati». Si prenda l’esempio di Acea. La società serve il Lazio, una parte della Campania, l’ Umbria, e 4 Ato su sei della Toscana. È il primo operatore nazionale del circuito idrico (ha il 10% del mercato). È controllata al 51%dalComunedi Roma, al10%circa dalla francese GdF-Suez e al 5% dal costruttore Caltagirone. Ma presto il comune di Roma dovrà cedere a privati l’11% della società per unvalore di circa 200 milioni. Lo stesso dovranno fare i comuni emiliani per Hera o quelli di Genova e Torino per la futura Irenia. In totale sul mercato finiranno oltre un miliardo di euro in azioni. Cha andrà ai privati. I quali investiranno per avere un ritorno. E se i piani industriali di 87 Ato mostrano un incremento medio dei consumi di acqua, da qui al 2023, del 17-20%, vuol dire che la privatizzazione dell' acqua la pagheremo noi.

Guerra dell'acqua in Parlamento "Deve restare un bene comune - di Paolo Rumiz

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giornale
la Repubblica

Guerra dell'acqua in Parlamento
"Deve restare un bene comune"

Compromesso al Senato: gestione privata, proprietà pubblica
di Paolo Rumiz


I lavori necessari ammontano a 62 miliardi di euro: una cifra enorme, come dieci ponti sullo Stretto, Questo mentre 8 milioni di cittadini lieti hanno accesso all'acqua potabile, 18 milioni bevono acqua non depurata e le perdite del sistema sono salite al 37%, con punte apocalittiche al Sud. Sono più di vent'anni che si investe allumicino, non si costruiscono acquedotti e la manutenzione di quelli esistenti è quasi scomparsa dai bilanci. Un quadro da Terzo Mondo.

Il rischio è di lasciare in eredità ai nostri figli un patrimonio di acqua inquinata da industrie, residui fognari, chimica, arsenico o metalli pesanti. Di fronte a questo allarme concreto sembra sollevarsi nient'altro che il solito polverone. Uno scontro di "teologie: con una maggioranza che crede nell'efficacia salvifica della gara d'appalto e della quotazione in Borsa, e una minoranza che invoca il principio assoluto dell'acqua "bene comune". In mezzo a tutto questo, schiacciata fra le scorrerie dei partiti e gli appetiti finanziari dei privati, una miriade di Comuni virtuosi che finora hanno gestito i servizi a basso costo e in modo eccellente, cuori intendono alienare "l'acqua del sindaco ", intesa come ultima trincea del governo pubblico del territorio.

Nell'agosto 2007 Tremonti aveva già sparato un decreto per la privatizzazione, ma si era rivelato cos? carente che non era stato possibile emanare i regolamenti. Oggi si tenta il bis, con una spinta io pi ù verso i privati. Stavolta è d'accordo anche la Lega: la quota della mano pubblica dovrà scendere al 30%.

Insomma, che i Comuni in bolletta vendano tutto quello che possono, Facciano cassa, subito. E non fa niente se qualcuno grida al furto e il Contratto mondiale peri l'acqua - ultima trincea del pubblico servizio minaccia fuoco e fiamme. «In nessun’altra parte d'Europa - attacca il presidente Emilio Molinari - si vieta alla mano pubblica di conservare la maggioranza azionaria. Il rischio è che tutto finisca in mano delle grandi Spa e alle multinazionali. E se il servizio non funziona, invece che al tuo sindaco dovrai rivolgerti a un call center».

Contro il provvedimento s'è scatenata una guerra di resistenza. In Puglia il presidente della regione Niki Vendola s'è messo in collisione con gli alleati del Pd, ed ha non ha solo annunciato di voler far ricorso contro la privatizzazione, ma ha deciso di ripubblicizzare l'acquedotto pugliese, il più grande e malfamato d'Europa (si dice che abbia dato più da… mangiare che da bere ai pugliesi). Al grido di "l'acqua è una cosa pubblica" ora si tenta la storica marcia indietro, anche se non si ha la più palli da idea di chi (la Regione?) pagherà i debiti del carrozzone.

Intanto si moltiplicano le assemblee: Verona, Bari, Udine, Savona, Potenza, Rieti, Da Milano arrivano segnali di preoccupazione, a difesa di un'azienda comunale totalmente pubblica clic finora ha mantenuto tariffe tra le più basse d'Italia. Il malumore cresce nei Comuni di montagna. In Carnia anche quelli della Lega sono ai ferri corti con la giunta regionale di centrodestra. Già hanno dovuto affidare i loro servizi a una Spa-carrozzone che fa acqua da tutte le parti e alzale tariffe senza fare investimenti; ora noti vogliono che questo preluda al passaggio a un'azienda con sede a Milano, Roma o magari all'estero. A Mezzana Montaldo (Biella) dove si gestiscono loro rete in mondo ineccepibile da oltre un secolo, non ci pensano nemmeno a mollare l'acqua ad altri.

«? la fine del federalismo e dei valori del territorio persino nelle regioni a sta tutu speciale» osserva Marco job del C.m.a di Udine. «Facevaino tutto da soli-ghigna il carnico Francescluno Barazzutti dalle mie parti l sindaco guidava il trattore, e se necessario aggiustava lui stesso la conduttura tra il paese e la sorgente. Oggi devi chiamare i tecnici a Udine, coli tempi maggiori e costi più alti. E se devi segnalare un disservizio, devi andare a Tolmezzo o Udine, mentre prima era tutto sotto casa. È tutto chiaro: hanno fatto una Spa pubblica solo per poi passare la mano ai privati».

Privatizzare è l'ultima speranza di adeguarci all'Europa, puntualizza il governo. Ma qui viene il bello.? proprio l'enormità dei costi di questo adeguamento a falsare la gara. «Senza certezza sul futuro del servizio e con simili costi fissi nessuna banca al inondo finanziera le piccole imprese, e cos? finiranno per vincere le grandi aziende quotate, capaci di autofinanziarsi e di imporsi semplice-mente con la forza del nome», spiega Antonio Massarutto dell'università di Udine. Altra cosa che pu? falsare i giochi è la mancanza di garanzie sul rispetto delle regole. «Siamo in Italia», brontola Roberto Passino, presidente del Coviri, Comitato vigilanza risorse idriche: «Prima si lamentavano perché non funzionavamo, e ora che abbiamo rimesso le cose a posto, tutti si lamentiamo perché funzioniamo». Un problema di comportamento, insomma. Di cultura e responsabilità.

Pubblico o privati)? «Non importa che i gatti siano bianchi o neri-scherza Passino citando Marx-l'importante è che mangino i topi». Quello che conta è il controllo. In Inghilterra l'azienda pubblica è stata privatizzata al cento percen-to, ma la Spa che ha vinto la gara ora ha sul collo il fiato di un'authority ventiquattrore su ventiquat-tro. Le modifiche del contratto sono impossibili. Ogni cinque aiuti le tariffe vanno discusse daccapo.

Massarutto: «L'anomalia italiana è che ci si illude che la gara basti a lavare più bianco. Non è vero niente. Serve uno strumento di controllo e garanzia che impedisca turbate o fughe speculative». Figurarsi se poi l'azienda firma un contratto che include non solo la gestione, ma anche gli investimenti immensi che il settore richiede.

Altra anomalia: abbiamo le, tariffe più basse d'Europa. Questo perché - a differenza di Francia o Germania - finora nessuno ha osato scaricare sulle tariffe il costo di questo immenso arretrato di lavori. Viviamo in uno strano Paese, dove si protesta perle bollette dell'acqua, ma non si osa dir nulla su quelle del gas e dell'elettricità, che invece sono - udite - le più alti del Continente, Dire che gli acquedotti si debbano pagare conte tasse è quantomeno spericolato, osserva Giuseppe Altamore autore di grandi libri sulla questione idrica in Italia: «Non vedo cosa ci sia di giusto nel fatto clic io debba pagare il servizio idrico anche per gli evasori fiscali». Nell'incertezza sul futuro, il ritardo alimenta, e sulle nostre spalle cresce la previsione di una batosta stimata per ora sui 15 euro pro-capite l'anno.