Acqua pubblica si o no? - LEGAMBIENTE LOMBARDIA

Acqua pubblica si o no?

Vi avevamo già parlato della proposta di Acquabenecomune per il no alla privatizzazione dell'acqua.
Veniamo ora a conoscenza della posizione di Legambiente, che non farà parte del comitato promotore del progetto di legge di iniziativa popolare.
Questo perchè, "pur sentendosi parte del movimento di attenzione al tema, ritiene necessaria e urgente, in questo campo, una innovazione che si traduca in maggior efficacia, minori sprechi, miglior gestione della risorsa idrica, evitando di ripercorrere una strada, quella della privatizzazione della gestione dei servizi di erogazione idrica, che nell'esperienza italiana si è rivelata una risposta sbagliata al problema".
Su continua il testo integrale del comunicato che ci è arrivato via email. Voi cosa ne pensate?



LEGAMBIENTE LOMBARDIA
'Ripubblicizzare' l'acqua?

Questioni di priorità!

Se da un lato fa piacere vedere come, attorno ad una risorsa scarsa (l'acqua dolce) si aggreghi una così ampia espressione di cittadinanze e sensibilità – dall'Arci al WWF, dai Cobas alle Acli, a qualche circolo Legambiente – dall'altro corre l'obbligo di andare a leggere la proposta e di spenderci qualche riflessione.
La proposta di legge comprende stimoli condivisibili, accanto a elementi più connotati ideologicamente, che non sempre aiutano a muoversi all'interno di una materia complessa che richiede qualche dose di laicità.
Tanto per iniziare, il problema dell'accesso all'acqua in Italia e in gran parte del mondo occidentale si pone con modalità fortemente diverse rispetto ai paesi dell'America Latina e del continente africano. Usare l'argomento dell'aumento delle tariffe d'accesso all'acqua come elemento di esclusione di una parte della popolazione suona un tantino populistico in Italia (mentre è una questione molto seria e grave in molti luoghi del mondo). Da noi le tariffe per l'accesso all'acqua potabile sono ridicolmente basse, una famiglia media spende per l'accesso 'ad libitum' all'acqua potabile, per tutti i suoi usi, meno di un terzo della spesa media in acqua minerale: questo è il vero scandalo. Se negli ultimi anni sono state introdotte innovazioni significative (l'integrazione del ciclo idrico dal prelievo allo scarico, che ha portato giustamente ad includere nella tariffa d'uso anche i costi di depurazione), ciò non toglie che oggi le tariffe coprono solo in parte i costi di 'produzione' dell'acqua, rimanendo infatti esclusa la enorme voce di costo che si riferisce alla gestione e al risanamento dei bacini idrografici (i costi per la sicurezza delle fonti idriche, che comprendono le bonifiche dei suoli contaminati, le azioni contro l'inquinamento da nitrati e almeno una quota parte delle misure di buona programmazione territoriale), che resta tutta a carico della fiscalità generale. Inoltre le prestazioni depurative degli impianti di trattamento degli scarichi sono inadeguate, occorrono investimenti per l'efficientizzazione delle reti di fornitura e di evacuazione, per il risparmio di acque pregiate (doppie reti di fornitura), per la miglior gestione delle acque di scarico che evitino, ad esempio, di inviare a depurazione le acque di pioggia che troverebbero recapito ideale nel suolo. Insomma, se volessimo davvero che la gestione delle acque destinate ad usi civili facesse il tanto auspicato 'salto di qualità', sarebbe davvero inevitabile ripensare il sistema delle tariffe, introducendovi una tassazione di scopo, modulabile in funzione di una politica di riduzione degli sprechi. Le tariffe aumenterebbero, in cambio di un miglioramento della sicurezza, della continuità e della qualità degli approvvigionamenti tale da rendere il ricorso all'acqua in bottiglia un consumo superfluo (come in gran parte d'Italia è già oggi), e consentendo quindi ai bilanci delle famiglie di alleggerirsi in modo sensibile. Sul fronte delle tariffe, il PdL contiene alcuni spunti positivi (ad esempio la fornitura a titolo di servizio gratuito di un 'minimo vitale' quale diritto di cittadinanza, oppure l'obbligo di una contabilizzazione dei consumi per singola utenza, anzichè, come avviene oggi, per interi condomini, che ovviamente non incentiva le scelte individuali di risparmio), ma altri aspetti ben più sostanziali non vi trovano riscontro.
Anche parlare di ripubblicizzazione in Italia è sicuramente opportuno, ma non per ragioni di principio. In Italia il quadro legislativo sull'acqua è estremamente esplicito sul fatto che essa è un bene pubblico e rigorosamente sottoposto a controllo pubblico. Questo è il cardine della legge 'Galli', che noi abbiamo sostenuto come una delle migliori del nostro ordinamento, principio che l'attuale processo di riforma non intacca. Il nostro quadro legislativo sulle acque, con legge Galli e legge 183/89, è uno dei più avanzati e garantisti d'Europa (per molti aspetti più avanzato persino della direttiva quadro 2000/60), e quindi non sono giustificate ansie sul versante della proprietà dell'acqua: altre sono le priorità. La gestione del servizio idrico, che in diversi casi è passata a società miste o - raramente - private, non è mai stata messa in condizione di scalfire i principi della proprietà e del controllo pubblico dell'acqua. Il passaggio a società di diritto privato della gestione idrica è stato voluto e previsto per tentare di ridurre le disfunzioni e le inefficienze, sulla base di un principio di sussidiarietà. Purtroppo oggi possiamo dire che questo processo non ha prodotto i risultati attesi, è giusto rimetterlo in discussione, ma per sperimentare una modalità più efficace, non per ragioni ideologiche.
Infine, sul fronte più propriamente ambientalista, portare tutta l'attenzione dei movimenti sul tema dell'acqua potabile, nella situazione italiana, rischia di essere una eccessiva leggerezza. L'acqua potabile è una quota minima dell'acqua che viene captata e utilizzata a scopi industriali e - soprattutto - agricoli: dal punto di vista ambientale la vera priorità non è la gestione dell'acqua potabile, ma nuove regole per un settore, quello dell'irrigazione e degli usi energetici, che consuma a seconda delle regioni dal 70 al 90% dei prelievi idrici, gestendoli di fatto privatisticamente secondo le esigenze di specifici gruppi di interesse, per quanto allargati. Sono questi utilizzatori che mandano a secco i fiumi (come è successo la scorsa estate per Ticino e Po), non certo gli acquedotti!
Questi temi non sono affatto nuovi nella discussione all'interno di Legambiente. Alla vigilia delle ultime elezioni politiche, ad esempio, scrivemmo che "nel settore dell'acqua, pur in presenza di una buona legge che, mentre sanciva solennemente il carattere di bene pubblico delle risorse idriche, rendeva possibile attribuire al privato a gara la gestione del servizio, i risultati dell'apertura ai privati non sono stati certo positivi; fallimento dei pochi casi di privatizzazione concretamente
realizzati, assenza di soggetti privati nazionali credibili, inerzia delle pubbliche amministrazioni interessate a mantenere lo status quo: tutto ciò ha contribuito allo stallo della legge del '94, mentre nel contempo aumentavano le tariffe senza che migliorasse il servizio. Mentre ribadiamo che la privatizzazione dei servizi di fornitura dei beni comuni, e in particolare dell'acqua, è una via inaccettabile su scala globale, se applicata a Paesi dove il problema è garantire a tutti acqua potabile e sufficiente e dove mancano sistemi di controllo democratico consolidati e trasparenti, nel caso dell'Italia osserviamo che la memoria degli aspetti fortemente negativi che caratterizzavano la precedente situazione di gestione pubblica di energia e acqua rende improponibile una
ripubblicizzazione tout court per la gestione di questi settori. Di più, riteniamo che concentrarsi unicamente sul problema degli assetti societari trascuri il nodo centrale dell'uso razionale delle risorse - tra i problemi più vistosi lo spreco di risorse idriche in settori come l'agricoltura – e della lotta alle varie forme di inquinamento. D'altra parte è del pari inevitabile la riflessione critica sui provvedimenti di privatizzazione adottati, alla luce della esperienza di questi anni."
Salutiamo come benefica la discussione sui temi dell'accesso all'acqua, e siamo fortemente motivati ad interloquire con questo movimento, perchè le questioni che pone alla scala globale sono emergenze serie e attengono ai temi dei diritti di cittadinanza per molti abitanti delle aree meno fortunate del pianeta. Ma pensiamo che gli assetti societari dei soggetti gestori del servizio idropotabile non rappresentino in Italia una questione che motivi una battaglia civile, ma un percorso di riforma e miglioramento della gestione del ciclo idrico
Per questa ragione Legambiente non fa parte del comitato promotore del progetto di legge di iniziativa popolare, pur sentendosi parte del movimento di attenzione al tema, poiché riteniamo necessaria e urgente, in questo campo, una innovazione che si traduca in maggior efficacia, minori sprechi, miglior gestione della risorsa idrica, evitando di ripercorrere una strada, quella della privatizzazione della gestione dei servizi di erogazione idrica, che nell'esperienza italiana si è rivelata una risposta sbagliata al problema.