L'acqua del rubinetto? È vietata ai minori di 14 anni (ma con le deroghe...) - di Giorgia Nardelli


27/05/10

Un'interessante inchiesta del Salvagente (oggi in edicola, in vendita anche on line).
In alcuni comuni d’Italia l’acqua del rubinetto è vietata ai minori di 14 anni, quasi fosse un medicinale. Fortunati, quei cittadini, visto che altri devono correre ogni giorno a comprare l’acqua in bottiglia, perché è scattato per tutti il divieto di potabilità.
Ma questi sono i meno.
Moltissimi altri, in molte parti dell’evoluta Italia ingoiano ignari quel che esce dai rubinetti, e che tutti i requisiti per essere bevuto non li ha.
Eppure, come spiega il Salvagente in un'inchiesta che sarà in edicola da oggi (in vendita a 1 euro anche nel nostro negozio on line), in tutti questi casi - a volte senza che neppure i cittadini ne siano informati - l'acqua è perfettamente legale, grazie a deroghe concesse da anni agli enti locali che non riescono a rientrare nei limiti di legge sulla potabilità.

L'Italia è il paese delle deroghe
Da quando nel 2001 è entrata in vigore la norma che impone regole più stringenti sulla presenza di inquinanti e metalli pesanti, 13 Regioni su 20 hanno fatto richiesta al ministero della Salute di consentire a questo o a quel Comune di dichiarare bevibile la sua acqua, nonostante gli sforamenti.
Tra i paesi europei l'Italia è quello che, per stessa denuncia della Ue, ha approvato più richieste di deroga. Arsenico, boro, fluoro, nitrati, vanadio e trialometani le sostanze i cui livelli più spesso “eccedono”. Colpa soprattutto dell'origine vulcanica del nostro territorio, e dell'orografia complessa, che rende le nostre acque naturalmente ricche di metalli pesanti. Ma anche la mano umana ha fatto la sua parte, e lo si nota rilevando residui di sostanze usate in agricoltura, o sottoprodotti dei processi di potabilizzazione.

Una scappatoia perfettamente "legale" per rimediare
Per rimediare c'è la scappatoia. Lo prevede la stessa legge 31/01, adeguamento di una direttiva europea: i Comuni che si rendono conto di avere parametri non in regola possono fare richiesta di deroga alla Regione, che a sua volta la gira al ministero della Salute, che, sentito il Consiglio superiore di sanità, concede che l'acqua venga comunque destinata “a uso umano” e bevuta, ma a certe condizioni. Tra queste, la presentazione di un piano di interventi per bonificare le acque, e l'impegno a informare la cittadinanza del problema.
Fino a oggi non è mai successo che il ministero rifiutasse una deroga. D'altro canto, difficilmente si è visto un Comune o una società distributrice “pubblicizzare” questi problemi. Quanto agli interventi, 9 anni non sono stati sufficienti a eliminare le criticità, specie in alcuni territori. Lo testimoniano i report annuali di Cittadinanzattiva, che da anni monitora la “purezza” delle acque italiane. Dall'ultimo dossier sul servizio idrico integrato, pubblicato a ottobre 2009, emerge la situazione in tutta la sua assurdità.

C'è pure il federalismo del rubinetto

Il primato va alla Campania, in deroga permanente da 7 anni, perché dal 2002 non riesce a fare rientrare i livelli di fluoro. Ma l'elenco è lungo: il Lazio vi compare dal 2006 (fluoro, arsenico, e vanadio oltre i limiti), la Toscana dal 2003 (prima magnesio e solfati, poi arsenico, boro, e trialometani, cui si sono aggiunti i cloriti), la Lombardia dal 2004 (arsenico) come il Piemonte (arsenico e nichel, rientrato nel 2008) e la Puglia (cloriti fino al 2006 e trialometani). Nel 2009 in 8 hanno rinnovato la richiesta. Ma anche in questo caso la situazione non si è di molto modificata.
Per il 2010 sono in attesa di un responso Lazio, Toscana, Trentino, Lombardia, e Campania, ma le cose si vanno facendo più difficili. Da quest'anno dovranno attendere la valutazione del comitato scientifico Scher dell'Unione europea, che si esprimerà sulla validità dei piani di intervento. E dal 2012 non avranno più scappatoie: niente più deroghe. Intanto hanno tre anni di tempo, anche se il primo pronunciamento del comitato non fa presagire molta tolleranza. Constatando che in alcuni territori i livelli di inquinanti superano di ben cinque volte i valori massimi ammissibili, lo Scher ha dichiarato che l'acqua italiana arriva in alcuni casi a mettere a rischio la salute di bambini e adolescenti, specie se le sostanze fuori legge sono arsenico, boro e fluoruro.

“Colpa di Bruxelles, molti Comuni messi in crisi dalla burocrazia”
Non consola, saperlo. Anche se qualcuno fa vedere l'altra faccia della medaglia.
Il numero effettivo dei comuni dove l'acqua servita è “non a norma” infatti è diminuito molto. Lo afferma Renato Drusiani, responsabile Acqua per Federutility, la federazione delle imprese energetiche e idriche.
“A dispetto delle apparenze, in alcune zone d'Italia si è lavorato molto in questi anni, e si è investito tanto sulla qualità dell'acqua”.E poi, dice, “l'Italia non è messa peggio di altri paesi. Il problema delle deroghe per lo più è stato originato dal fatto che, con il recepimento della direttiva europea, sono stati abbassati drasticamente i limiti ammissibili delle sostanze indesiderate, e di colpo molti Comuni si sono trovati non in regola.

L'esempio della Toscana e del Lazio e la strana sparizione dei cloriti
Faccio un esempio: l'Oms ha ridotto di cinque volte i livelli consentiti di arsenico, eppure l'arsenico è stato bevuto per millenni dagli abitanti della Toscana e del Lazio, perché presente naturalmente nelle acque. Diversamente, negli stessi anni è 'sparito' il problema dei cloriti, derivati dall'uso di disinfettanti, perché a livello internazionale è stata stabilita una soglia più alta”.
Insomma, molti Comuni sarebbero stati messi in crisi dalla burocrazia.
Ma mentre qualcuno è riuscito a mettersi in regola, altri hanno continuato a servire ai propri cittadini acque non proprio limpide.


Le schede: in questi Comuni l'acqua è potabile "per deroga"


LAZIO - PROVINCIA DI ROMA

Niente acqua per i bambini e divieto di fabbricare alimenti

La triste conta arriva nel Lazio a 92. Tanti erano nel 2009 i comuni “non a norma”, sparsi tra Viterbo (62, una provincia infestata), Roma e Latina. L’ultimo decreto del ministero della Salute che concede le deroghe è datato marzo 2010 e conferma anche per quest’anno tolleranza per vanadio, clorito e trialometani. Non è specificato per quali territori (solo “per i comuni per cui è stata fatta richiesta”), e non fornisce un quadro completo, perché l’emergenza si chiama anche fluoro, arsenico, boro.
Nulla di così scandaloso per una zona vulcanica. Scandaloso, semmai, è che dal 2001 fino a oggi si sia intervenuto poco.
Prendiamo la provincia di Roma. Le deroghe si susseguono di anno in anno e in attesa che l’Acea realizzi gli impianti per la bonifica sono 12 i comuni interessati (non la Capitale che non soffre di questi problemi). Sarà bene riportare l’elenco per i nostri lettori.
Si tratta di Albano laziale, Ariccia, Castelgandolfo, Castelnovo di Porto, Cerveteri, Ciampino, Genzano, Lanuvio, Lariano, Tolfa, Trevignano e Velletri. Mentre si attendono gli interventi del “piano di rientro”, i comuni dell'hinterland, e la Asl Roma hanno inviato messaggi chiari alla cittadinanza: niente dentifrici al fluoro per bambini, niente integratori e alimenti con elevato contenuto di fluoro, e soprattutto, niente acqua del rubinetto fino ai 14 anni. Ben più rivelatrici sono però le prescrizioni verso le aziende che producono alimenti in zona. “In base alle prescrizioni di Regione e ministero”, spiega Fernando Maurizi, segretario dell’Ordine nazionale dei chimici e a capo di una società di consulenza nel settore ambientale e alimentare, “queste aziende non possono commercializzare fuori dal territorio alimenti prodotti con l’acqua ‘potabile’ della zona”. Le imprese hanno dovuto di corsa dotarsi di un impianto proprio di potabilizzazione, ma questo, certo, non tranquillizza chi quell’acqua la beve tutti i giorni.
L’elenco dei comuni (la lista è per il 2009. Per i comuni dell’Ambito territoriale 2, provincia di Roma, i dati sono aggiornati al 2010):
Per l’arsenico: Anzio, Nettuno, Lariano (Rm), Latina, Aprilia, Cisterna, Cori, Sermoneta, Pontinia, Sabaudia, San Felice Circeo, Sezze, Privernio, (Lt).
Per i trialometani: Civitavecchia e Santa Marinella (Rm).
Per arsenico, fluoruro, vanadio e selenio: tutti i comuni appartenenti all’Ambito territoriale 1 (la provincia di Viterbo), Civitavecchia, Santa Marinella (Rm), Magliano Sabina (Ri).
Per arsenico, fluoruro e vanadio: Ciampino, Albano Laziale, Lanuvio, Castel Gandolfo, Genzano, Velletri, Ariccia (Rm).
Per arsenico e fluoruro: Trevignano Romano, Tolfa, Cerveteri (Rm).


LAZIO - LAGO DI VICO
Acqua minerale per tutti. Ci sono le tossine cancerogene

È nulla una deroga sull’arsenico (vige in tantissimi comuni in provincia di Viterbo) in confronto alla storia dei piccoli centri di Caprarola e Ronciglione, dove l’acqua arriva in acquedotto dal lago di Vico. Oltre all’arsenico qui c’è da fare i conti con qualcosa di peggiore.
Nel 2008 la Asl di Viterbo ha proposto per la prima volta ai due Comuni di emettere ordinanza di non potabilità. Le acque del lago, oltre a essere ricche di arsenico, presentavano periodiche fioriture di alga rossa, che a sua volta produce una microcistina cancerogena.
La contaminazione che ha provocato il disastro potrebbe arrivare da più fonti: “scarichi fognari di insediamenti residenziali non a norma, fitofarmaci derivanti dalle coltivazioni limitrofe, composti azotati e fosfati”, spiega Antonietta Litta dell’associazione medici per l’ambiente di Viterbo.
Oggi una nuova fioritura di alga rossa ha messo in allerta le autorità sanitarie, e la Asl di Viterbo ha nuovamente consigliato ai due Comuni di emettere l’ordinanza. Eppure in tre anni, nonostante i tentativi dell’associazione, nulla si è mosso. “Le alghe sono state ritrovate anche in acquedotto, segno che gli impianti di potabilizzazione non funzionavano a dovere”, dice la Litta. “In più (cosa confermata da funzionari della Asl, ndr.), gli esami fatti fino a oggi non sono in grado di rilevare la presenza della dannosa microcistina nelle acque in erogazione, rivelando però elevate quantità di alghe”. Per cui, per paradosso, l’acqua è “in regola”.


LOMBARDIA
Dalla maglia nera alla promozione del rubinetto. Tranne qualche eccezione

È un po’ che la Lombardia promuove “il rubinetto”. L’ultima iniziativa risale a qualche giorno fa, quando a Milano è partita la campagna in borraccia, per convincere cittadini e turisti a circolare con borracce riempite con acqua delle fontanelle. “L'acqua di rete a Milano è sicura”, ha dichiarato Paolo Massari, assessore all’ambiente del Comune di Milano.
Una sorpresa? Quella della Lombardia è stata in realtà una vera metamorfosi. Pur essendo in deroga permanente dal 2004, la regione compare tra coloro che hanno “lavorato”. Sei anni fa i comuni con problematiche erano 100, oggi sono 10, “a cui se ne aggiungono tre nella provincia di Pavia, i cui interventi di sanificazione dovrebbero concludersi entro giugno”, spiega Maurizio Salamana dalla direzione regionale Sanità.
Gli sforamenti riguardano sempre l’arsenico, ma la Regione è stata molto severa, e l’anno scorso ha minacciato i Comuni non in regola che non avrebbe trasmesso la richiesta di deroga al ministero se i piani di riordino non fossero stati convincenti.
A Mantova per esempio, “la rete è stata adeguata con interventi di potabilizzazione sui pozzi, in altri casi, quando i pozzi risultavano troppo ricchi di metallo, sono stati esclusi dalla rete”, dice il direttore generale dell’Ato Francesco Peri (gli Ato sono gli enti che si occupano della gestione delle risorse idriche nei territori).
Ma neanche qui è tutto rose fiori e il vero cruccio resta la presenza di nitrati nei territori dell’alto mantovano. Stavolta le caratteristiche del suolo non c’entrano, i nitrati sono “l’effetto collaterale” dell’uso agricolo dei suoli. “Siamo in emergenza”, dice Peri, “si cerca di migliorare la situazione disinfettando i pozzi, ma non sempre è sufficiente, e qualche volta siamo stati molto vicini a dichiarare lo stato di non potabilità”.
L’elenco dei comuni (tutti in deroga per l’arsenico):
Bassano Bresciano, San Gervasio Bresciano (Bs), Sueglio(Lc),
Marcaria, Roncoferraro, Viadana (Mn), Valdidentro,
Valfurva (So), Maccagno, Sesto Calende (Va), Alagna, Cava Manara, Gambolò (Pv).


TOSCANA
Arsenico da record

Boro, arsenico, clorito e trialometani. Sono le bestie nere che fanno della Toscana tra le regioni più problematiche d’Italia. Territorio di origine vulcanica e residui di processi di potabilizzazione hanno messo fuori legge, al 2009, 41 comuni.
Nel chiedere le deroghe al ministero della Salute e alla Commissione europea la Regione ha presentato un piano di intervento che prevede la regolarizzazione di 10 di questi entro la fine del 2010, ma per gli altri, interessati dalla presenza di boro e arsenico, “vista la complessità degli interventi da mettere in atto, si rende necessaria un’ulteriore richiesta di deroga per il prossimo triennio”, si legge nella relazione inviata dalla Direzione generale politiche ambientali.
33 zone - per lo più sulla costa - restano dunque non a norma, per valori che superano i limiti da 2 fino a 5 volte, nel peggiore dei casi, quelli stabiliti per legge, e sono, in quest’ultimo caso, pericolosamente vicini a quella che è la quantità considerata off-limits, oltre la quale, cioè, ci sono rischi per la salute umana.

L’elenco dei comuni:
Per il clorito: Figline, Incisa, Reggello (Fi), Chiusi (Si).
Per il boro: Montevarchi, Bucine (Ar), Cecina, Piombino Rio, San Vincenzo (Li), Montecatini (Pt).
Per i trialometani: Cortona, Marciano, Foiano Chiana (Ar).
Per l’arsenico: Foiano della Chiana, Marciano della Chiana (Ar), Castelnuovo Val di Cecina, Pomarance (Pi).
Per boro e arsenico: Monterotondo marittimo (Gr), Campiglia Marittima, Campo Elba, Capoliveri, Marciana, Marciana Marittima, Piombino, Porto Azzurro, Porto Ferraio, Rio Elba, Rio Marina, Suvereto (Li), Castelnuovo Val di Cecina (Pi), Radicondoli, (Si).


CALABRIA
Finta virtuosa

Potrebbe essere definita “finta virtuosa”, la Calabria. È tra le poche a non avere mai fatto richiesta di deroghe per “normalizzare” la sua acqua. Ma è anche, forse, l’unica regione in cui non è un paesino, ma un importante capoluogo di provincia, Reggio Calabria, a non avere acqua potabile.
Lo scorso dicembre il Comune ha emesso una delibera in cui si impegna a rimborsare i cittadini del 50% di quanto versato per il canone acqua dal 2002 al 2007. Erano anni che gli abitanti (gli interessati sono i residenti nel centro storico) e le associazioni intentavano cause dinanzi al giudice di pace per ottenere un risarcimento.
La presenza eccessiva di cloruri, rende infatti l’acqua non destinabile “all’uso umano”. Potrebbe essere tutto risolto, ma pur avendo collaudato l’impianto di desalinizzazione (per bonificare l’acqua delle condotte comunali), il Comune ha scoperto la penetrazione di acqua marina nelle falde acquifere.
Quindi, a oggi, non è possibile usare quell’acqua nemmeno per farci il caffè. 2010, punto a capo.


PUGLIA
Tre province intere a rischio cloriti

In questo caso la differenza la fa il numero degli abitanti interessati. A stare sopra le righe non sono comuni di poche migliaia di anime ma le tre intere province di Foggia, Lecce e Taranto.
Tre province su un totale di sei. Il parametro che non torna è quello di trialometani, “sottoprodotti delle attività di clorazione delle acque negli impianti di potabilizzazione”, chiarisce l’ultima comunicazione della Regione Puglia destinata ai cittadini interessati.
La deroga ammette un valore massimo pari a 80 microgrammi per litro, (il limite Ue è pari a 30). Come da protocollo, la Regione, “informa la cittadinanza che la presenza di trialometani nell’acqua potabile distribuita dall'Aqp nelle province di Foggia, Lecce e Taranto, non costituisce un rischio specifico per la popolazione”.
E che “le acque potabili distribuite sono, comunque, sempre e costantemente monitorate dalle Asl al fine di garantire la qualità dell’acqua e la salute pubblica”.
Del piano di intervento non si parla. Chissà cosa ne pensano gli interessati.L’elenco comprende tutti i comuni in provincia di Foggia, Lecce e Taranto (tutti in deroga per i trialometani).


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