L'acqua deve rimanere pubblica - di Paolo Brutti

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Itali dei Valori


L'acqua deve rimanere pubblica
di Paolo Brutti



Rispondiamo a Padre Alex Zanotelli

Sull'acqua e sulla gestione dei sistemi idrici la posizione dell'Italia dei Valori è che essa deve rimanere pubblica, come si addice ad un bene essenziale, che non può essere ridotto ad una merce. Questo senza se e senza ma.

Per questo è necessario sollevare la più ferma protesta e adoperarsi per far crescere la mobilitazione popolare, avverso la conclusione della discussione in Commissione al Senato della conversione in legge del decreto 135 del 2009, che suona come una campana a a morto per la gestione pubblica dell'acqua. Il 3 novembre la legge di conversione del decreto sarà in aula e, se lo approveranno, la gestione di tutto il sistema idrico, in poco più di un anno sarà in mano ai privati.

Già oggi, infatti, la pubblicità della gestione dell'acqua è molto compromessa, a conseguenza della legge 133 del 2008, che fu uno dei primi provvedimenti e tra i più sciagurati del governo Berlusconi. Da allora la gestione dell'acqua può essere affidata al mercato, come se si trattasse non di un bene pubblico ma di servizio con rilevanza economica. Pur tutta via era data facoltà alle amministrazioni locali e ai loro consorzi di poter esercitare questa gestione attraverso società interamente pubbliche e sulle quali l'ente locale o il consorzio esercitasse, però, un indirizzo e un controllo come se si trattasse di un suo ufficio interno o una municipalizzata.

Era una situazione precaria e sempre in bilico verso la caduta del servizio idrico nelle mani dei privati, ma attraverso questa facoltà molte amministrazioni, nel nord e nel centro dell'Italia, hanno potuto mantenere la gestione pubblica dell'acqua. Si erano distinti in questa “resistenza” alla privatizzazione del servizio idrico anche molti comuni amministrati dalla Lega.

Ora, nel testo approvato in commissione, questi affidamenti a società interamente pubbliche vengono fatti decadere improrogabilmente nel 2011 a meno che l'amministrazione locale non ceda il 40% delle sue quote nella società a soggetti privati, che ne prendono in mano la gestione. Come dire che si salvano le gestioni pubbliche a patto che esse finiscano in mano ad un privato, magari molto ben ammanicato con gli amministratori compiacenti.

Dove erano i parlamentari della Lega, mentre prima alla Camera o adesso al Senato il loro Governo eliminava ogni possibile sopravvivenza di gestione pubblica dell'acqua? Festeggiavano alle sorgenti del Po' mentre l'acqua delle loro valli diventava un lucroso affare e un ulteriore pesante aggravio dei bilanci delle famiglie?

L'acqua in Puglia torna bene pubblico - di Monica Maro

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L'acqua in Puglia torna bene pubblico
di Monica Maro

22 ottobre 2009

Dopo Parigi e l'Urugay, anche in Puglia stop al fondamentalismo liberista. La regione Puglia si era già segnalata rompendo il contratto con gli 'spacciatori di derivati' all'acquedotto pugliese e denunciandoli per truffa al tribunale di Bari. Un bel colpo che vale più di cento verbose mozioni. Tra l'alto, sotto il profilo europeo, se un ente locale decide per la gestione diretta di un bene pubblico che si intende sottrarre al mercato (e quindi non viene affidato a una spa) non è più soggetto agli 'ukase' liberisti della UE.

La giunta regionale pugliese ha deciso di impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale l'art.15 del decreto legge 139 del 25 settembre 2009 ("Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi locali di rilevanza economica"), in riferimento alla competenza sulla gestione delle risorse idriche. L'Avvocatura regionale, alla quale è stato affidato l'incarico, ha tempo per l'impugnazione sino al 24 novembre, data entro la quale il decreto dovrà essere convertito in legge.
Nichi Vendola ha deciso di voltare pagina sul tema dell'acqua bene pubblico, impegnando la giunta regionale a promulgare entro dicembre un disegno di legge ad hoc e affidando all'avvocatura l'impugnazione dinanzi alla Corte Costituzionale del decreto legge 135 del 2009 con cui il governo ha legiferato sui servizi pubblici locali, accusandolo di conflitto d'attribuzione su una materia - quella del servizio idrico integrato - di esclusiva competenza delle Regioni: Tariffe non più basate sui consumi, ma sui redditi dei consumatori. E poi, addio alla società per azioni Acquedotto pugliese, che deve invece diventare soggetto giuridico di diritto pubblico ben prima della fatidica data (2018) entro la quale si concluderà per legge la concessione della gestione del servizio idrico, aprendo di fatto ai privati il settore.
In pratica, il governo guidato da Vendola si appresta a licenziare un disegno di legge che punta a tramutare l'Aqp da società per azioni (attuale configurazione, con capitale in mano alla Regione) in "soggetto giuridico di diritto pubblico". Il proposito è contenuto in una delibera di indirizzo, presentata dall'assessore Fabiano Amati, e approvata a conclusione di una lunga discussione, in cui si sancisce il principio che l'acqua è "un bene comune dell'umanità".

Una decisione che apre un ampio fronte politico con il governo e, prevedibilmente, con una parte della stessa maggioranza di centrosinistra: tornare al soggetto pubblico confligge infatti con il proposito di "privatizzazione dolce" che la componente ex diessina del Pd ha sostenuto strenuamente fino a giungere a polemiche pubbliche contro Vendola e l'attuale management di Aqp fedele al governatore. Non a caso nel parlamento regionale l'unica voce discorde è arrivata dall'ex ds Mario Loizzo.
Anche se il Centrodestra pugliese si è espresso a favore (il consigliere regionale Donato Salinari, infatti, sottolinea "la leggerezza con la quale l'Aqp ha proceduto ad innalzare il costo dell'acqua in Puglia: l'acqua, in quanto bene primario, non può essere utilizzata per rastrellare denaro con cui ripianare il buco di bilancio), chiaro e incontrovertibile sarà il contrasto col governo nazionale. Per due ragioni: per l'inversione a 360 gradi sull'Aqp (trasferito con legge alla Regione perché lo privatizzasse) e perché la stessa delibera propone di ricorrere alla Corte costituzionale contro il governo. La Regione, infatti, ritiene che "il servizio idrico integrato è un servizio pubblico essenziale, privo di rilevanza economica e come tale non soggetto alla disciplina della concorrenza". "Per questa ragione - dichiara Amati - rientra nelle competenze della Regione e non dello Stato".

Con la delibera inoltre viene istituito un gruppo di lavoro che entro il 31 dicembre 2009 dovrà proporre alla giunta regionale un disegno di legge "con il quale introdurre il principio dell'acqua bene comune dell'umanità, il riconoscimento del Servizio idrico integrato quale servizio pubblico essenziale, di interesse generale e privo di rilevanza economica, il tutto nell'ambito del concreto riorientamento del sistema di tariffazione in base alle condizioni reddituali, pur nell'assicurazione di una dotazione minima pari per tutti i cittadini".
Il punto di vista della Regione è chiaro: la competenza sull'acqua è della Regione e solo un Aqp che sia soggetto pubblico potrebbe consentire una gestione del servizio idrico orientato "a criteri di equità e solidarietà", con tariffazione che tenga conto delle esigenze delle fasce meno abbienti.
La Puglia si candida anche quale sede Onu per l'organizzazione di una "conferenza internazionale per la formalizzazione del riconoscimento del diritto universale all'acqua per tutti".
Principio, questo, che andrebbe inserito nello Statuto regionale e per il quale si è mobilitato un ampio movimento di cittadini e associazioni: solo in Puglia in 30mila (sui 400mila complessivi) hanno firmato a favore di una proposta di legge di iniziativa popolare a favore della ripubblicizzazione dell'acqua.