Acqua - NADiRinforma incontra p. Alex Zanotelli

Fomte



NADiRinforma incontra p. Alex Zanotelli


Il 5 novembre 2008 presso la Casa dei Comboniani a Bologna abbiamo scambiato due chiacchiere con p. Alex Zanotelli partendo dalla spinosa questione “acqua libera di essere privatizzata” in quanto il Parlamento ha votato, il 5 Agosto del 2008 l'articolo 23 bis del decreto legge numero 112 con il quale scatta la privatizzazione dell'acqua. La follia collettiva sapientemente indotta e condotta che nutre un sistema globale completamente staccato dall'essere umano dove ci sta portando? ... e se provassimo a leggere il Vangelo? Un libro scritto più di 2000 anni fa stranamente ed inspiegabilmente attuale ... ascoltiamo p. Alex ... e se ci venisse in mente qualche idea orientata alla salvaguardia di noi stessi e del pianeta ove viviamo ?!

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data: 13/12/2008 - fonte: NADiRinforma - lunghezza: 56,18 min.

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Acqua - Turchia, la diga della discordia è anche italiana

Fonte
rivist@

Turchia, la diga della discordia è anche italiana
Cara acqua

di Christian Elia

15/12/2008

Peacereporter

"Tutto è cominciato a Londra, quando ho incontrato gli avvocati del Kurdish Human Rights Project (Khrp), un'associazione che si occupa principalmente di tutela legale dei curdi, in primo luogo presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Ho offerto la mia collaborazione, ma loro mi hanno chiesto subito di mettere la mia professionalità a disposizione per la vicenda del coinvolgimento della Unicredit nel finanziamento del progetto per la diga di Ilisu''.

Una questione di diritti. Questo è il racconto di Luca Saltalamacchia, avvocato napoletano, e del suo incontro con la causa curda. "Mi hanno parlato dell'impegno di una serie di associazioni in Italia che si battevano contro la costruzione della diga di Ilisu", racconta Saltalamacchia. "Grazie al mio lavoro di avvocato mi chiedevano di studiare il caso per valutare la possibilità di citare in giudizio la Unicredit che finanzia un progetto che viola i diritti di migliaia di persone, almeno come ulteriore strumento di pressione sull'opinione pubblica". I media ne parlano poco, ma Ilisu è un dramma per migliaia di persone. Fin dai tempi di Ataturk, la Turchia ha in cantiere un mega progetto di dighe che sommergeranno villaggi curdi. Un enorme bacino idrico, che però sconvolgerà la vita delle comunità locali, dell'ecosistema e dei rapporti con i paesi confinanti, che finiranno coinvolti dalle scelte dell'esecutivo di Ankara. Dopo anni, il progetto della diga di Ilisu sembra pronto a essere realizzato, con il contributo di uno dei più noti istituti di credito italiano. Ma proprio in Italia i curdi hanno trovato chi li sostiene nella loro lotta. "Ho preso contatto con attivisti e associazioni che mi hanno fornito il materiale sul quale lavorare - continua l'avvocato napoletano - Dal punto di vista tecnico mi sono interfacciato con attivisti curdi che coordinano la campagna europea contro la diga, compreso un ingegnere. Messe in ordine le idee, a giugno di quest'anno, io e l'avvocato Laura Laureti abbiamo stilato il parere legale che secondo noi permette di fare causa, in Italia, all'Unicredit". Ma come? "E questo è un elemento interessante, perché non ci sono precendenti. E' possibile citare un grande gruppo finanziario che ha sede in Italia per violazione dei diritti umani commessi anche in una paese terzo da cittadini italiani ma nessuno fino ad ora l'ha mai fatto. Sul tema mi sono confrontato con docenti universitari che studiano questa materia. In pratica, il finanziamento è stato concesso dalla Bank of Austria Creditanstalt, austriaca, ma questo istituto è controllato da Unicredit". - Leggi tutto

Synergy - Bugiardi e irresponsabili

Fonte



La risposta del sindaco alle opposizioni che hanno chiesto le sue dimissioni
«Bugiardi e irresponsabili»
Pomo della discordia il progetto Synergy sul quale si è abbattuta la bufera politica
di Vittoria Maria Passera


12 - dicembre - 2008

VENEGONO SUPERIORE - L'opposizione presenta la sfiducia nei confronti del sindaco e il primo cittadino grida all'incoerenza. Il casus belli è i progetto Synergy che, da una decina d'anni, tiene banco scalda gli animi. «Trovo che dietro alla scelta dell'opposizione ci sia una grande incoerenza - chiarisce Mariolina Ciantia -. Hanno voluto la commissione e l'hanno avuta, assoggettandomi in tutte le loro richieste. E ho sempre partecipato; adesso se ne vanno loro». Poi chiarisce come, a suo dire, anche la tempistica non sia stata fra le più azzeccate. «Decidono di andarsene proprio nel momento in cui ci sono l'accordo con Aler e la data di consegna dei lavori fissata per il mese di marzo del prossimo anno. Ogni quindici giorni c'era un aggiornamento e, proprio per questo, persino Bruno Zoccola (Presidente della commissione Synergy eletto nella fila de Il polo per Venegono, seduto fra i banchi dell'opposizione e firmatario delle dimissioni, ndr) ha dovuto ammettere di quanto stessero lavorando alacremente. Presentare la mozione di sfiducia per un'opera che sta per essere consegnata alla collettività è a dir poco da irresponsabili». Alle accuse legate alle modifiche, la Ciantia ribatte con decisione. «E' vero che abbiamo sostituito il ristorante con l'asilo - ammette - ma lo abbiamo fatto in un'ottica di miglioramento pensando alle esigenze della collettività. Sono i firmatari della mozione che hanno fornito solo informazioni in modo bugiardo. Se il progetto fosse stato snaturato non avremmo mai ottenuto i finanziamenti da parte delle Regione che, a quanto mi risulti, non mi pare sia governata da gente di estrema sinistra. Per cui non si trovano in linea neppure con chi li rappresenta al Pirellone?». Fra le accuse addotte da chi ha preso le distanze da Synergy c'è la posizione della costruzione, decentrata rispetto al fulcro venegonese. «Forse non si sono accorti che abbiamo anche dei trasporti - chiarisce il sindaco -. La posizione è ad hoc, è immersa nel verde, in un'area tranquilla e lontana dal chiasso del centro cittadino. Però c'è chi preferisce fare polemica sterile anche su questo». Poi si toglie qualche altro sassolino dalla scarpa. «Mi hanno accusato dicendomi che non avremmo mai ultimato grandi opere, ma abbiamo restituito il municipio riqualificato, le grosse arterie cittadine sono state messe a nuovo, stiamo mettendo mano a rotonde e al sottopasso e tutto ciò è sotto agli occhi di tutti».

Synergy - Chiesta la testa del sindaco

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Come Cassandra hanno assistito al concretizzarsi delle profezie su Synergy
Chiesta la testa del sindaco
Si dimettono dalla commissione Bruno Zoccola, Francesca Brianza, Massimo Tafi e Franco Bonacci
di Vittoria Maria Passera

5 dicembre 2008

VENEGONO SUPERIORE - Poker di dimissioni dalla commissione Synergy. A non voler dare una «copertura istituzionale alla commissione», come loro stessi precisano, sono il presidente Bruno Zoccola (Il polo per Venegono) Francesca Brianza (Lega nord), Massimo Tafi (Venegono democratica) e Franco Bonacci (indipendente). Ma non è tutto: chiedono anche la testa del sindaco, Mariolina Ciantia, e dell'assessore ai Servizi sociali, Luigia Adamoli. «La commissione voluta dalla minoranza resta senza l'opposizione», taglia corto Tafi mentre appone la firma sulle dimissioni consegnate giovedì pomeriggio in municipio. Il malcontento serpeggiava già da parecchio e i «quattro moschettieri» hanno più volte sguainato le loro spade contro Synergy. Anche se ora si sentono un po' come Cassandra avendo visto verificarsi tutte le loro profezie attorno alla struttura studiata per gli anziani. In questi due mandati Ciantia la struttura localizzata nell'ex colonia elioterapica è sempre stata al centro della polemica, ma qualche goccia di troppo ha fatto traboccare il vaso della sopportazione delle opposizioni. Tant'è che il transfugo Bonacci non si era più riconosciuto nella maggioranza nelle cui fila era stato eletto.

«Siamo sempre stati contrari al Synergy - chiariscono -, abbiamo raccolto oltre un migliaio di firme e abbiamo chiesto un tavolo di incontro per cercare di chiarire almeno i mille dubbi che avevamo a riguardo. Con il passare del tempo abbiamo visto che il progetto è stato persino snaturato rispetto al progetto originale, sono sparite le "case canguro", la fine dei lavori viene, allontanato sempre di più, nessuno applica penali e il tanto decantato costo zero per l'Amministrazione si traduce con una mancanza di introiti di oltre un milione di euro. I 22 alloggi sono diventati 25, la mensa è diventata un nido e il progetto rischia di essere pagato dai venegonesi e usato dagli altri.

Tant'è che è arrivata una diffida dall'utilizzo del termine Synergy». Dati alla mano mostrano come «Il melo» sia sparito dalla gestione, i canoni abitativi abbiano subito modifiche e il principio di assegnazione delle abitazioni non sia ben chiaro. «Non vogliamo più avvallare questo progetto - ribadiscono - soprattutto ora che è stato censurato persino da chi l'ha progettato». Un disappunto durato nove anni e che ora si traduce in una dimissione da parte dell'opposizione che farà vacillare la commissione stessa. Una bufera annunciata che, alle porte delle elezioni di primavera, potrebbe ridefinire i giochi e ridisegnare lo scenario politico.

Ex progetto Sinergy: “Sarà terminato a marzo 2009”

Fonte



Mariolina Ciantia non reputa un problema le dimissioni dei membri
della commissione che vigilava sul progetto: “Idea non stravolta, ma migliorata”

Ex progetto Sinergy:
“Sarà terminato a marzo 2009”

M.S.

Martedi 9 Dicembre 2008

Venegono Superiore - Il progetto ex Sinergy non è stato stravolto, ma migliorato. Lo garantisce il sindaco Maria Ciantia, dopo le polemiche sollevate dall’opposizione che nei giorni scorsi ha presentato in blocco le dimissioni dalla commissione Sinergy, chiedendo inoltre le dimissioni del primo cittadino e dell’assessore competente. “Sono state dette tante falsità sul progetto della struttura per anziani – spiega il sindaco -. Questa decisione della minoranza mi lascia senza reazioni. Non era una commissione nata per lavorare insieme, ma per creare problemi. Era nata male ed ora ha trovato la sua giusta fine”.
Entrando nel merito del progetto, che non si chiama più Sinergy dopo l’uscita del Melo di Gallarate dalla gestione della struttura, la Ciantia rifiuta anche le accuse di stravolgimento del progetto: “Se fosse stato davvero stravolto, la Regione ci avrebbe tolto il finanziamento. La struttura sarà consegnata al Comune nel marzo del 2009, secondo un protocollo firmato da Aler a cui abbiamo assegnato i lavori. E non ci saranno ritardi”.
Il primo cittadino rigetta anche le accuse sul “tradimento” della filosofia della struttura. Secondo l’idea iniziale, infatti, l’idea fondamentale del progetto Sinergy era quella di offrire un canone di affitto agevolato a quelle famiglie che daranno la propria disponibilità a prendersi cura di un anziano. “Questa filosofia è sicuramente rimasta, è una delle idee portanti del progetto – prosegue il sindaco -. È rimasta anche la palestra, l’assistenza, e molto altro. L’unica cosa che è cambiata è che il ristorante, che è stato trasformato in un asilo nido. Ancora di più nella direzione dell’idea di raccogliere più generazioni nella stessa struttura, come anche scegliere di realizzare altri tre appartamenti dedicati alle giovani coppie”.
”Confermo inoltre che tutto il progetto – conclude la Ciantia – non è costato nulla ai venegonesi. Le critiche sono davvero tutte infondate. Anche per la gestione stiamo risolvendo il problema: faremo una regolare gara, chi avrà i requisiti necessari potrà partecipare”.



Il progetto Sinergy è un fallimento. Il sindaco deve dimettersi

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I quattro componenti della commissione dedicata al progetto innovativo che aveva come obiettivo anche una diversa gestione degli anziani, si sono dimessi dalla carica
“Il progetto Sinergy è un fallimento.
Il sindaco deve dimettersi”


4 Dicembre 2008

Venegono Superiore - “Il progetto Sinergy non esiste più come era stato concepito, per questo rassegniamo le nostre dimissioni”. Sono i componenti della commissione Sinergy, il grande progetto che il Comune di Venegono Superiore, sta realizzando con Aler e che era nato come progetto all’avanguardia, capace di abbinare l’edilizia residenziale a una nuova e innovative gestione degli anziani autosufficienti, tramite l’abbattimento di canoni di affitto per chi si prendeva cura di un anziano. “Questo progetto negli anni è stato stravolto – spiega Bruno Zoccola di Forza Italia, uno dei dimissionari della commissione che hanno ufficializzato la decisione in Municipio giovedì sera -. Doveva essere gestito dal Melo di Gallarate, ma di questi non si è più saputo nulla. Doveva essere maggiormente rivolto all’assistenza agli anziani, ma sono state prese decisioni diverse in cui non è mai stata coinvolta la commissione. Il bando regionale, inoltre, non prevede contributi per la gestione degli anziani. Alla fine sembra essere diventato un progetto da case di semplice edilizia popolare. Senza contare i ritardi di quasi due anni per la consegna della struttura”.
E così, oltre a Zoccola, hanno presentato le dimissioni dalla commissione anche Francesca Brianza (Lega Nord), Massimo Tafi (Venegono Democratica), Franco Bonacci (in maggioranza ma da tempo indipendente). “Questa nostra protesta non si ferma qui – prosegue Zoccola -, tutta la situazione del progetto Sinergy, che nel tempo ha anche cambiato nome, è stata condotta con enorme dilettantismo. Provocando anche un enorme danno alla città. Per questo presenteremo per il prossimo consiglio comunale una mozione in cui chiederemo ufficialmente le dimissioni del sindaco Ciantia e dell’assessore Adamoli”.

Acqua - “Possiamo chiedere il rimborso per la tassa sul depuratore”

Fomte


Basandosi su una sentenza della corte costituzionale,
il gruppo Progetto Vedano propone ai cittadini di compilare
moduli per ottenere il rimborso di oltre 400 euro


“Possiamo chiedere
il rimborso per la tassa sul depuratore”


Vedano Olona -“S’imponeva ai cittadini il pagamento della quota per la depurazione anche se il servizio in questione non era fornito”. Il gruppo consigliare Progetto Vedano si scaglia contro la gestione idrica della città degli ultimi dieci anni, basandosi su una recente sentenza della corte costituzionale che dichiara illegittima la norma che regolamenta il servizio idrico “nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi»”.
“Ricordiamo che con la legge in questione – spiegano dal gruppo Progetto Vedano -, s’imponeva ai cittadini il pagamento della quota per la depurazione anche se il servizio in questione non era fornito. Come i Vedanesi sanno bene la riscossione, da parte del Comune, è da sempre avvenuta con la bolletta dell’acqua. Il gruppo consigliare Progetto Vedano, avvisa che ciascun utente avrebbe il diritto di richiedere la restituzione delle quote versate negli ultimi otto anni. La tariffa applicata è di circa 0,25 centesimi per metro cubo d’acqua consumata. Ipotizzando che il consumo medio annuale di una famiglia sia di 200 metri cubi, il rimborso ammonterebbe a €.50,00 annuo, che moltiplicati per gli otto anni per i quali si può richiedere il rimborso , ammonterebbe ad un totale di €. 400,00 +Iva 10%”.
“Progetto Vedano, mette a disposizione gratuita di tutti i Vedanesi, il modulo completo per la richiesta del rimborso – chiudono dal Gruppo -. Basta scrivere a info@progettovedano.org , o chiamare i Consiglieri Luciano Battistella e Andrea Vallino per richiedere il modulo.
Potete telefonare a Battistella 335/63.84.227 e Vallino 335/68.74.342”.

L'ASSOCIAZIONE POLITICA “VENEGONO ATTIVA” CHIEDE IL COMMISSARIAMENTO DEL COMUNE

Fonte
Forum-Venegno.it

L'ASSOCIAZIONE POLITICA “VENEGONO ATTIVA”
CHIEDE IL COMMISSARIAMENTO DEL COMUNE

19/10/2008

L'Associazione “Venegono Attiva” non è parte del Consiglio comunale e come più volte ribadito non si sente rappresentata da nessuna delle forze politiche attualmente in opposizione, quindi, non possiede i mezzi necessari per procedere alla presentazione di una mozione di sfiducia nei confronti maggioranza (che di fatto non esiste più).Tuttavia, chiediamo che la Giunta si dimetta e il commissariamento del Comune di Venegono Superiore. Le dichiarazioni del Sindaco, in risposta alle nostre accuse e pubblicate dalla stampa (in particolare da “La settimana” del 26 settembre), contengono un'esplicita ammissione del fatto che la Giunta è spaccata in più correnti diverse fra di loro e di conseguenza del fatto che a Venegono Superiore non esiste più una maggioranza in grado di governare serenamente il paese. La lettera da noi inviata sosteneva l'apparente compattezza della giunta e il fatto che, dalla stessa giunta, stanno nascendo due liste in vista delle prossime elezioni amministrative. Inoltre, abbiamo denunciato che diversi componenti della maggioranza quando si trovano in mezzo alla gente non lesinano critiche sull'operato dell'amministrazione e accuse ai propri “colleghi” con l'intento di lavarsene le mani. Nella sua risposta, il Sindaco ha dichiarato che in democrazia può accadere che ci possano essere “molteplici correnti in maggioranza”, certo! Ricordiamo però al Sindaco che in democrazia accade anche che quando non si ha più una maggioranza limpida per governare si fanno le valige e si torna a casa! E' vero che fino a quando i componenti della sua giunta continueranno a fornirgli i voti necessari in occasione dei Consigli comunali per continuare a campare il gioco può continuare, ma ammettere pubblicamente che esistono pensieri diversi equivale ad ammettere che la maggioranza non segue più un'unica linea e quindi non è più tale. Spiace constatare ancora una volta che le minoranze (tutte) assistono passive al “potere bulgaro” del nostro Sindaco e delle due o tre persone che ancora lo sostengono. Invitiamo i cittadini a ricordare i nomi dei componenti di questa anomala giunta quando, fra meno di un anno, dovranno decidere chi sostenere alle elezioni amministrative.

Nella risposta alla nostra lettera pubblicata da “La settimana”, la signora Ciantia ci invita a partecipare alle commissioni e a dialogare con lei. Ricordiamo al Sindaco che per partecipare alle commissioni bisogna farne parte e per farne parte bisogna essere eletti. Nessuno dei Componenti di “Venegono attiva” è stato eletto e quindi è normale che non ci possa essere nessun nostro rappresentante alle commissioni. Non ci sorprende comunque l'affermazione del Sindaco che evidentemente non rispetta queste regole, avendo in passato mandato suo marito a sostituirla in occasione di una riunione di Giunta. Per quanto riguarda il dialogo diretto fra noi e il Sindaco, la nostra associazione in passato ha già dialogato con lei pagandone le conseguenze, siamo aperti al dialogo con chiunque voglia ascoltarci ma non con chi abbia il solo fine di tenerci buoni e se possibile usarci, come ha fatto con noi la Signora Ciantia.


Riguardo i cantieri che disturbano il paese, anche “Venegono Attiva” sostiene che si tratta di lavori che andavano fatti ma in un modo diverso! Anzitutto con tempi diversi e non concentrati nello stesso periodo, poi con un diverso concetto progettuale; le aiuole con i fiorellini di Via Giulio Cesare sono inopportune oltre che dispendiose, meglio sarebbe stato realizzare una pista ciclabile fino al cimitero. Evidentemente, della sicurezza di chi pedala e in particolar modo degli anziani che frequentano il cimitero, non importa a nessuno. Meglio “abbagliare” la gente con costosi fiorellini che richiederanno un costoso mantenimento gestito dai “vari gruppi” esterni al Comune (ma vicini alla Giunta) che si spartiranno appalti e soldi dei contribuenti.

In conclusione, rinnoviamo la nostra solidarietà ad Alpini e anziani; i primi “scippati” della loro casa e costretti ad “ospitare” in modo permanente i secondi. Facile per il Sindaco sostenere che la “casa alpina” sia di tutti, anche noi la pensiamo cosi, peccato che la convenzione stipulata fra Comune e Alpini sulla gestione dica altro. Il fatto che ora gli anziani, per usufruire dei servizi offerti dalla “casa alpina”, dovranno iscriversi all'associazione Alpini creerà un inevitabile scompiglio e siamo convinti che questa convivenza forzata non mancherà dal creare numerosi problemi. Siamo dell'idea che sarebbe invece opportuno eliminare l'inutile C.A.G destinando gli spazi occupati dal “Leoncavallo venegonese” all'associazione “Trasparenza” e quindi agli anziani. Ne trarrebbero beneficio tutti; anziani, Alpini e, visto le cifre sborsate ogni anno per mantenere il C.A.G., anche i fondi cassa comunale.

Riccardo Pellegrini
Associazione “Venegono Attiva”

Nel silenzio generale, Berlusconi privatizza l'acqua

Fonte



Nel silenzio generale, Berlusconi privatizza l'acqua
di Alessio Marri
26/11/08

“Ferma restando la proprietà pubblica delle reti (idriche ndr), la loro gestione può essere affidata a soggetti privati”. È il 6 agosto 2008, il governo Berlusconi, approvando la legge di conversione n°133 “recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, sancisce di fatto la privatizzazione dell'acqua pubblica. O meglio ancora, introduce la possibilità per gli enti privati, che ne assumeranno l'incarico, di gestire e controllare beni primari di servizio pubblico. L'acqua su tutte.


Cambiano le parole, si nascondono i significati, ma la sostanza non cambia: l'acqua in Italia è stata privatizzata. Da diritto acquisito diventa merce, prodotto commerciale soggetto alle regole del mercato. Lo stesso sistema che solo nell'ultimo anno si è dimostrato pronto a implodere su sé stesso, con fallimenti a catena di banche e assicurazioni.
Il decreto legge n°133, voluto fortemente dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti, parla chiaro: si interviene “al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni”.
Eppure, dopo un rapido sguardo alle esperienze cosiddette “pilota” della provincia di Latina, sorgono non pochi dubbi proprio sulle garanzie di accesso al servizio.
In città come Aprilia, comune che ha sposato il progetto di privatizzazione dell'acqua già da diversi anni, si è assistito a un processo rapido e febbrile di innalzamento vertiginoso dei costi delle tariffe (+ 300%).
E non solo.
Si è instaurata infatti una nuova procedura per tutti coloro che, per necessità o per scelta, non possono permettersi i costi aggiuntivi imposti da AcquaLatina, società ormai sotto il controllo della multinazionale Veolia, che ne possiede il 46,5% delle azioni. Esattamente come nel terzo mondo, vigilantes e forze dell'ordine sono assoldati per rimuovere contatori e bloccare rubinetti. Ma non basta. Nel territorio pontino, oltre agli aumenti sconsiderati delle bollette, si è registrato un drammatico scadimento della qualità dell'acqua: nel 2005, ad esempio, a Cisterna sono stati riscontrati tassi di arsenico pari a 200 microgrammi per litro, oltre il 70% del volume idrico disperso o non giunto a fatturazione.
Nella storia recente un caso limite sul fronte della privatizzazione dell'acqua è avvenuto in Bolivia nei primi anni del nuovo millennio. A seguito dei debiti contratti dai prestiti-killer della Banca Mondiale per lo Sviluppo, il governo boliviano fu costretto a svendere nelle mani di corporation americane le risorse petrolifere, la compagnia aerea di bandiera, le ferrovie e la gestione dell'energia elettrica. Le risorse idriche vennero date in concessione alla Bechtel Corporation di San Francisco. Il contratto prevedeva la proibizione di far propria l'acqua piovana, anch'essa per assurdo era divenuta proprietà e patrimonio della multinazionale californiana. Per i debitori era persino contemplata la confisca dell'abitazione. Nell'aprile del 2000 la popolazione locale sfiancata dall'impossibilità di sopportare le nuove tariffe imposte, si ribellò. Nonostante una repressione violentissima che costò la vita a sei persone, tra cui due bambini, e centinaia di feriti provocati dal governo schierato a difesa degli interessi della corporation, l'esercito e la polizia rientrarono nelle caserme e il popolo boliviano riuscì a riprendere il controllo dell'acqua.
In Italia è solo questione di tempo. Nei giorni scorsi, tra l'indifferenza generalizzata dei media italiani, un secondo forum dei movimenti dell'acqua è stato organizzato per ridare vigore alla battaglia di questo fondamentale bene comune.
Nel 2006 più di quattrocento mila firme furono raccolte a sostegno della legge d'iniziativa popolare che vede come primo punto il riconoscimento dell'acqua come “diritto inalienabile ed inviolabile della persona”. Ma la sensazione forte è che la straordinaria raccolta firme sia già stata oscurata. Con un semplice colpo di spugna. Seguendo il manuale del “buon governo” che approva leggi impopolari e antidemocratiche proprio quando imperversa l'afa estiva e l'attenzione della stampa è rivolta altrove.

Cochabamba - Storia vera sulla privatizzazione dell'acqua




Acqua s.p.a. La rivolta dei sindaci

Fonte
Repubblica — 14 novembre 2008 pagina 49 sezione: R2

Acqua s.p.a. La rivolta dei sindaci
di PAOLO RUMIZ
14 novembre 2008

Cologno Monzese - Giù le mani dall' acqua del sindaco. Dal Piemonte alla Sicilia, nell' Italia bastonata dalla crisi è nata una nuova resistenza, contro la privatizzazione dei servizi idrici. Una resistenza che parte dal basso e contesta non solo il Governo, ma il Parlamento, che il 6 agosto, mentre il Paese era in vacanza, ha approvato una norma-bomba (unica in Europa) con il "sì" dell' opposizione. Non se n' è accorto quasi nessuno: quel pezzo di carta obbliga i Comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010, e ciò anche quando i servizi funzionano perfettamente e i conti tornano. Articolo 23 bis, legge 133, firmata Tremonti. La stessa che privatizza mezza Italia e ha provocato la rivolta della scuola. Leggere per credere. Ora i sindaci hanno letto. Quelli di destra e quelli di sinistra. E subito hanno mangiato la foglia. «Ci avete già tolto l' Ici. Se ci togliete anche questo - dicono - che ci rimane?» La partita è chiara: non è solo una guerra per l' acqua, ma per la democrazia. Col 23 bis essi perdono contemporaneamente una fonte di entrate e la sorveglianza sul territorio. Il federalismo si svuota di senso. Il rapporto con gli elettori diventa una burla. Lo scenario è inquietante: bollette fuori controllo, e i cittadini con solo un distante "call center" cui segnalare soprusi o disservizi. Insomma, l' acqua come i telefonini: quando il credito si esaurisce, il collegamento cade. La storia parte da lontano, nel 2002, con una legge che obbliga i carrozzoni delle municipalizzate a snellirsi, diventare S.p.a. e lavorare con rigore. L' Italia viene divisa in bacini idrici, i Comuni sono obbligati a consorziarsi e le bollette a includere tutti i costi, che non possono più scaricarsi sul resto delle tasse. Anche se i Comuni hanno mantenuto la maggioranza azionaria, nelle ex municipalizzate son potute entrare banche, industrie e società multinazionali. Ma quella che doveva essere una rivoluzione verso il meglio si è rivelata una delusione. Nessuno rifà gli acquedotti, le reti restano un colabrodo. Il privato funziona peggio del pubblico, parola di Mediobanca, che in un' indagine recente dimostra che le due aziende pubbliche milanesi, Cap ed Mm hanno le reti migliori d' Italia e tariffe tra le più basse d' Europa. Col voto del 6 agosto si rompe l' ultima diga. L' acqua cessa di essere diritto collettivo e diventa bisogno individuale, merce che ciascuno deve pagarsi. Questo spalanca scenari tutti italiani: per esempio i contatori regalati ai privati (banca, industria o chicchessia che incassano le bollette), e le reti idriche che restano in mano pubblica, con i costi del rifacimento a carico dei contribuenti. Insomma, la polpa ai primi e l' osso ai secondi. Il peggio del peggio. È contro questo che si stanno muovendo i sindaci d' Italia; a partire da quelli della Lombardia, che la guerra l' hanno cominciata prima degli altri. È successo che centoquarantaquattro Comuni attorno a Milano han fatto muro contro la giunta Formigoni, la quale già nel 2006 aveva anticipato il 23 bis con una legge che separava erogazione e gestione del servizio. Quasi sempre all' unanimità - destra, sinistra e Lega unite - i consigli comunali hanno chiesto un referendum per cancellare l' aberrazione; e proprio ieri, dopo una lotta infinita e incommensurabili malumori del Palazzo, davanti al muro di gomma della giunta che apponeva alla legge solo ritocchi di facciata, hanno dichiarato di non recedere in alcun modo dalla richiesta di una consultazione popolare lombarda. "Si va allo scontro, non abbiamo scelta" spiega Giovanni Cocciro, iperattivo assessore del Comuni-capofila di Cologno Monzese, e delinea il futuro della rete in mano privata. "Metti che i contatori passino a una banca, e questa stacchi l' acqua a un condominio che non paga. Il sindaco, per questioni sanitarie, deve garantire il servizio minimo ma, non potendo più ordinare la riapertura del rubinetto, può solo intervenire con autobotti, con acqua che costa tremila volte di più~ Per non parlare dei problemi di ordine pubblico che ricadono sul Comune se la gente perde la pazienza". Nei bar di Cologno, per ripicca, hanno messo l' etichetta all' acqua di rubinetto e ti dicono che le analisi l' hanno dichiarata all' altezza delle più blasonate minerali. Al banco la gente chiede "acqua del sindaco" rivendicandola come diritto, non come merce. E un po' dappertutto, attorno a Milano, crescono le "case dell' acqua", dove il bene più universale viene distribuito gratis, rinfrescato e con bollicine, in confortevoli spazi alberati dove la gente può sedersi e chiacchierare. Un "water pride" in salsa lombarda, che ora sta contagiando anche il Piemonte. Premane in Valsassina, in provincia di Lecco, è un comune di montagna a maggioranza leghista già assediato da privati in cerca di nuove centraline idroelettriche, e sul tema dell' acqua ha i nervi scoperti. "Nel servizio idrico solo la gestione pubblica può garantire equità all' utente" sottolinea con forza Pietro Caverio, che ha firmato la protesta dei 144 Comuni. Segnali di insofferenza arrivano da tutto il Paese; situazioni paradossali si moltiplicano. Sentite cos' è accaduto a Firenze. Il Comune ha accettato di fare una campagna per il risparmio idrico e un anno dopo, di fronte a una diminuzione dei consumi, ecco che la "Publiacqua" manda agli utenti una lettera dove spiega che, causa della diminuita erogazione, si vede costretta ad alzare le tariffe per far quadrare i conti. Ovvio: il privato lo premia lo spreco, non il risparmio. L' unica cosa certa sono i rincari: ad Aprilia in Lazio sono scattati aumenti del trecento per cento e un conseguente sciopero delle bollette che dura tuttora contro la società "Acqualatina". Stessa cosa a Leonforte, provincia di Enna, paese di pensionati in bolletta. A Nola e Portici, nel retroterra napoletano, la società "Gori" ha quasi azzerato la pressione in alcuni condomini insolventi, senza avvertire il sindaco; e lavoratori della ditta hanno impedito ai partigiani dell' acqua pubblica di tenere la loro assemblea. A Frosinone gli aumenti sono stati tali che il Comitato di vigilanza è dovuto intervenire e alzare la voce per ottenere la documentazione nei tempi previsti. Più o meno lo stesso a La Spezia, che ha le bollette più care d' Italia. Per non parlare di Arezzo, dove la privatizzazione si sta rivelando un fallimento. L' Acquedotto pugliese, dopo la privatizzazione, si è indebitato con banche estere finite nelle tempeste finanziarie globali. A Pescara, da quando è scattato il regime di S.p.a., s' è scoperto un grave inquinamento industriale della falda e la magistratura ha fatto chiudere l' impianto. A Ferrara il regime di privatizzazione è coinciso col trasferimento a Bologna del laboratorio di analisi, con conseguente allentamento dei controlli in una delle zone più a rischio d' Italia, causa la falda avvelenata del Po. Ma se già ora la situazione è così grave, ci si chiede, cosa accadrà col "23 bis"? Sessantaquattro ambiti idrici territoriali - sui 90 in cui è compartimentata l' Italia - tengono duro, rimangono pubblici, e organizzano laddove possibile la difesa contro i compratori dell' acqua italiana. Ma è battaglia tosta: l' acqua è il business del futuro. Consumi in aumento e disponibilità in calo, quindi prezzi destinati infallibilmente a salire. Conseguenza: nelle rimanenti 26 S.p.a. miste le pressioni sulla politica sono enormi, tanto più che nei consigli di amministrazione il pubblico è rappresentato da malleabili politici in pensione, e il privato da vecchie volpi capaci di far prevalere il profitto sulla bontà del servizio. Dai 26 ambiti che hanno accettato la privatizzazione sono cresciuti intanto quattro colossi: l' Acea di Roma che ha comprato l' acqua toscana; l' Amga di Genova che s' è alleata con la Smat di Torino e ha dato vita all' Iride; la Hera di Bologna che cresce in tutta la Padania; la A2A nata dalla fusione dell' Aem milanese e dell' Asm bresciana. In tutte, una forte presenza di multinazionali come Veolia e Suez, banche, imprenditori italiani d' assalto, e una gran voglia di crescere sul mercato. "Ormai il sistema idrico non segue più la geografia delle montagne ma quella dei pacchetti azionari" dice Emilio Molinari, leader nazionale dei comitati per il contratto mondiale per l' acqua. Il che porta sorprese a non finire. Del tipo: il Fondo pensioni delle Giubbe Rosse canadesi che entra nella Hera e quello delle vedove scozzesi che trova spazio all' interno dell' Iride. E colpi di scena politici: l' Acea guidata a suo tempo dal sindaco Veltroni mette le mani sull' acqua toscana, costruendo nel Centro Italia un potentissimo polo dell' acqua "rossa", ma poi ti arriva Alemanno a sparigliare i giochi, e l' acqua di una regione di sinistra oggi è in mano alla destra. Anni fa a Firenze sarebbe successo il putiferio. Oggi tutto tace. Motivo? Lo spiega la Commissione Antitrust, che già nel 2007 ha individuato nei quattro attori forti i pilastri di una situazione di oligopolio. C' è un cartello, che ora è pronto a comprarsi tutto il mercato proprio grazie al "23 bis". Dietro alle Quattro Sorelle esiste lo stesso intreccio finanziario e lo stesso collegamento - rigorosamente bipartisan - con i partiti. I quali, difatti, il 6 agosto hanno votato in perfetta unanimità. Per questo i sindaci si sentono truffati. "L' acqua è il nuovo luogo dell' inciucio" ti dicono al bar di Cologno Monzese. Quando i comitati per l' acqua pubblica, sparsi in tutt' Italia, hanno raccolto 400 mila firme e depositato in parlamento nel luglio 2007 una proposta di legge di iniziativa popolare, sia sotto il governo Prodi che sotto quello di Berlusconi non s' è trovato uno straccio di relatore, nemmeno d' opposizione, capace di esaminare e illustrare la volontà dei cittadini così massicciamente espressa. La melina del palazzo sul tema dell' acqua è trasparente, cristallina. Con l' acqua che diventa un pacchetto azionario, c' è anche il rischio che un bene primario della nazione passi in mani altrui, nel gioco di scatole cinesi della finanza. In Inghilterra è accaduto: le bollette si pagano a una società australiana, che ha triplicato le tariffe. Vuoi protestare per un guasto? Rivolgiti a un operatore agli antipodi. Può capitare anche qui. Ormai niente isola più l' acqua dai fiumi avvelenati delle finanze che affondano l' economia mondiale, e in molti Paesi si sta correndo ai ripari. Persino in Francia, che pure è la sede delle multinazionali Suez e Veolia che comprano l' acqua italiana. "Torniamo all' acqua pubblica", proclama il sindaco di Parigi Delanoe, che impernia su questo la campagna elettorale per la riconferma. Anche lì si rivuole l' acqua del sindaco. E che dire della Svizzera e degli Stati Uniti, i Paesi della Nestlé e della Coca-Cola che imbottigliano fonti italiane. Non sono mica scemi: l' acqua è protetta come fattore strategico e tenuta ben fuori dal mercato. Ormai si stanno muovendo tutti, anche la Chiesa. I vescovi di Brescia e Milano sono intervenuti proclamando il concetto del pubblico bene. La conferenza episcopale abruzzese ha messo per iscritto che l' accesso all' acqua "è un diritto fondamentale e inalienabile". In Campania è battaglia dura e la difesa dell' acqua si intreccia nel modo più perverso con gli interessi della camorra e l' affare della monnezza. Al Nord, in piena zona leghista, sindaci come Domenico Sella (Mezzane, nella pedemontana veronese) deliberano che l' acqua è cosa loro, ed è il perno del rapporto con i cittadini. "Se xe una perdita, la gente me ciama, e mi fasso subito riparar". Più chiaro di così. Sul territorio sinistra e destra parlano ormai la stessa lingua. Nelle Marche il presidente della provincia di Ascoli Massimo Rossi (Rifondazione) spiega che "non si può imporre la privatizzazione". E sempre ad Ascoli Paolo Nigrotti, An, presidente della società di gestione (tutta pubblica), una delle migliori del Paese, osserva che "la privatizzazione non è stata gran che in Italia" e va applicata solo là dove serve. La qualità costa, ma la può garantire anche un pubblico responsabile. Nel Friuli-Venezia Giulia, l' ex presidente della provincia di Gorizia Giorgio Brandolin - uno che ha resistito alle pressioni privatrizzatrici della Regione e ha messo insieme una S.p.a pubblica tutta goriziana che da due anni e mezzo gestisce la rete in modo impeccabile - ora si ritrova capofila dei movimenti anti "23 bis". In Puglia, 38 Comuni e due Province (Bari e Lecce) hanno formato un robusto pacchetto di mischia per la ripubblicizzazione e chiedono a Niki Vendola una legge regionale che definisca l' acqua "bene privo di rilevanza economica". Ragusa e Messina battono la stessa strada. A Parma è scesa in piazza pure la gioventù italiana della Destra di Storace. Succede che di fronte alla bolletta, la gente - toccata nel portafoglio - sta ripescando un concetto passato di moda, quello di bene comune. Nell' acqua il cattolico vede la vita e il battesimo; il nazionalista un bene non alienabile agli stranieri; il leghista l' autogoverno del territorio. Altri vi trovano il benessere, il dono ospitale, la pulizia e la sanità. "Tutti sentono l' acqua come l' ultima trincea" ammette Rosario Lembo, segretario del Contratto per l' acqua. Tutti vi scoprono un simbolo potente, e quel simbolo è capace di rompere i giochi del Palazzo con nuove alleanze. Giuseppe Altamore - autore di bei libri-inchiesta sul tema, come "Acqua S.p.a." - osserva che "il vero dramma è la mancanza di un' authority capace di affrontare l' emergenza di un Paese dove un abitante su tre non ha accesso all' acqua potabile". Quattro ministri se ne occupano, ma intanto nessuno pone rimedio a perdite spaventose e nessuno mette in sicurezza le falde avvelenate. Per esempio l' arsenico oltre il limite a Grosseto e Velletri. E poi il fluoro, i cloriti, i trialometani~ Servono formidabili investimenti, o la rete va al collasso". (1-continua) -

21 Giugno - per l’acqua pubblica


21 Giugno - Giornata nazionale di iniziativa, mobilitazione e comunicazione sociale
Cento territori per l’acqua pubblica e i beni comuni!




CENTO TERRITORI PER L’ACQUA PUBBLICA E I BENI COMUNI !

IL FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA
LANCIA PER IL
21 GIUGNO 2008

UNA GIORNATA NAZIONALE DI INIZIATIVA, MOBILITAZIONE E COMUNICAZIONE SOCIALE

PERCHE’ SI SCRIVE ACQUA, MA SI LEGGE DEMOCRAZIA


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Tutte le iniziative in programma


L’informazione è noi. - di Paolo Barnard

L’informazione è noi.
di Paolo Barnard

18/05/2008

Di chi è colpa? Non è colpa di Silvio Berlusconi, di Romano Prodi, di Cicchitto, di Casini, di Caltagirone, e soci. Non è colpa della Casta, né di quella dei giornali coi milioni di euro di prebende, e non è stata colpa di Ingrao, Forlani o Craxi. Non è la Mafia, non sono le logge dei venerabili, né l’Opus Dei, non è Confindustria o la lobby bancaria. La colpa è nostra. Punto. L’informazione che abbiamo è quella che noi italiani vogliamo.

Qui si potrebbe concludere il mio saggio sullo stato dell’informazione in Italia. Non ho altro da dire, in sostanza. Quello che posso aggiungere nelle righe che seguono sono solo riflessioni a sostegno della mia tesi, per chi avesse voglia di leggere un poco di più. E inizio di nuovo da noi italiani.

Sono le nostre ombre sul muro.

Ciò che la gente vuole. Lo scadimento dell’informazione in questo Paese riflette ciò che noi siamo, in tv particolarmente. Nulla meglio si adatta al caso Italia del sagace commento di Barnes Clive, nota firma del New York Post, che sull’odierne tendenze dei palinsesti televisivi ebbe a dire: “La televisione è la prima cultura genuinamente democratica, la prima cultura disponibile a tutti e retta da ciò che la gente vuole. La cosa più terribile è ciò che la gente vuole”. E in effetti si rimane perplessi, se non un tantino delusi, dal semplicismo delle analisi di personaggi come Beppe Grillo e altri quando tuonano contro la legge Gasparri come il costrutto infernale che strozza il nostro diritto a essere decorosamente informati. Ci si chiede: c’è la Gasparri nei salotti di milioni di italiani di varie età che ogni sera, pomeriggio o mattina scelgono col loro telecomando le peggiori fregnacce televisive? E’ la Gasparri che impedisce a noi italiani di portare La Storia Siamo Noi di Giovanni Minoli a uno share visibile ad occhio nudo invece che al microscopio? O di portare Report al 25% invece di condannarlo a un cronico annaspamento per non affogare sotto il 10? Eppure il contenitore di Milena Gabanelli è in prima serata, mica occorre perdere il sonno, basterebbe un click del telecomando. E state certi che Report o C’era una Volta oltre il 20% di share avrebbero prodotto una mischia degli inserzionisti per piazzare lì gli spot, garantendoci di conseguenza una certa qualità in più nelle nostre case tutto l’anno. Potete immaginare quanto ci metterebbero a sparire i prodotti-spazzatura come Porta a Porta o Amici, oppure le ragliate di Sgarbi o altra robaccia del genere, se agonizzassero nella pigrizia dei nostri telecomandi? Meno di un minuto, Gasparri o non Gasparri.
Illuminante fu un episodio da me vissuto in Gran Bretagna nel corso di un reportage sull’Auditel inglese che svolgevo a fine anni ’90 per conto proprio di Report. Nel corso dell’intervista al responsabile dei palinsesti della maggior Tv commerciale britannica, ITV, mi fu rivelato che la prima serata di quel network era riservata in maggioranza a programmi di alta qualità informativa. Com’era possibile? “Perché il miglior consumatore di questo Paese” spiegò il funzionario, “è l’inglese della classe media, e quel tipo di ascoltatore premia immancabilmente con il telecomando la tv di qualità. Ed è lì che ovviamente si fiondano i nostri inserzionisti”. Semplice. Sono inglesi, tutto qui. Non per nulla la sera della vigilia di Natale del 1999 la BBC 2 trasmise in prime time e per un’ora e mezza uno special dedicato al suo cameraman Mohamed Amin, l’uomo che nel 1984 ebbe lo straordinario merito di noleggiare un bimotore privato a sue spese ( e nei tempi delle sue ferie) per volare in Etiopia a filmare l’immane tragedia della devastante carestia che stava decimando quel popolo, e che divenne grazie a quelle scioccanti immagini una causa celebre con l’intervento di Bob Geldof e della sua Live Aid l’anno successivo. Ve l’immaginate voi una prima serata natalizia di quel tipo alla RAI? Che share farebbe?
Ma poi, perdonate, c’è la legge Gasparri in edicola o su Internet? Lì l’informazione c’è, ma al chiosco dei giornali Sorrisi e Canzoni TV o CHI vendono cento volte Micromega o Limes. Su Youtube le pregnanti interviste a Giancarlo Caselli catturano poche centinaia di visitatori, mentre cinque minuti di bava alla bocca con Sgarbi e Mike Bongiorno ne registrano quasi mezzo milione.
Mi direte: tutto questo è proprio il frutto del bombardamento mediatico dell’uomo di Arcore e dei suoi vent’anni e più di avvelenamento dei nostri cervelli. E io rispondo: e se a partire dal 1979 cliccavate altro sul vostro telecomando, come fanno gli inglesi, dove finivano il Biscione e relativi scherani? Era semplice, perché non lo abbiamo fatto? Lo si vuole capire che non è lui che ha fatto noi ma noi che abbiamo fatto lui? Silvio Berlusconi non ci ha rimbecilliti, ci ha semplicemente rispecchiati. E allo specchio ci siamo perduti in noi stessi.

(Ultima ora: poco prima di divulgare questo articolo mi imbatto nel sito www.corriere.it e leggo sulla colonna di destra la classifica dei servizi più letti del Corriere online: al primo posto “L’invasione dei ragni giganti”, al secondo “Basta volgarità, non sono una pin up”, al terzo “Che fine ha fatto Boy George?Vende magliette in un mercato di Londra”. Come volevasi dimostrare…)

Rimanendo con la vituperata figura dell’attuale presidente del Consiglio, è di questi giorni l’intervento di Marco Travaglio in chiusura del V2-day di Torino, dove il giornalista ha perentoriamente affermato che il Cavaliere trionfa oggi alle urne poiché proprio le devianti leggi dell’assetto radio-televisivo italiano gli hanno dato i mezzi per obnubilare la mente degli elettori in quindici anni di strapotere mediatico: “Prima non eravamo così”, ha sentenziato poi il noto cronista. Forse Travaglio è troppo giovane, e non ricorda, ma si vorrebbe chiedergli: chi aveva lavato il cervello dei nostri connazionali quando in massa premiavano alle urne ceffi ignobili della posta di Cossiga, Gava, Cirino Pomicino, De Michelis, De Lorenzo, Andreotti, De Mita, e la loro accolita di vassalli laidi o criminali? Berlusconi a quei tempi era ancora alle prese con la sua Tv condominiale via cavo a Milano 2, non c’entra. Era un’Italia migliore quella? Per caso il Corriere o la RAI erano il Times e la BBC a quei tempi? L’Idra di Tangentopoli, col suo ventre molle di corruzioni endemiche in ogni anfratto del Paese, non fu il parto di “quindici anni berlusconiani”, ahimè no, non risulta. Le stragi, la svendita dei sindacati, dei servizi pubblici, della certezza del lavoro, e ancora l’Irpinia, l’IRI e le sue voragini, le devianze del sistema giudiziario, l’omertà a vuoto pneumatico di tutto il Sistema-potere pre e post P2 e cinquant’anni di cronica evasione a tappeto, dimostrano che obnubilati nel cervello e nel senso civico lo siamo sempre stati, prima di Berlusconi, durante, e lo saremo dopo purtroppo. E anzi: la cosa più onesta che possiamo fare è di affermare una volta per tutte che la famigerata Casta e le sue grottesche comparse sono solo un’ombra sul muro di ciò che noi italiani siamo e siamo sempre stati. Nulla di più.


I nuovi ‘paladini’ della controinformazione: poco utili, dannosi.

Ma purtroppo professionisti stimati e un po’ troppo acriticamente seguiti come appunto Marco Travaglio, Gianantonio Stella, Lorenzo Fazio o Gianni Barbacetto e molti altri, e capipopolo come Grillo o Piero Ricca hanno banalmente invertito l’ordine dei fattori, e sostengono che l’Italia è oggi vittima della Casta, quando è la Casta a essere il prodotto degli italiani.

Devo a questo punto della narrazione precisare un passaggio fondamentale, e invito il lettore a porvi attenzione. I nuovi ‘paladini’ della controinformazione che vanta l’Italia, di cui ho citato alcuni nomi qui sopra, denunciano cose sacrosante (quasi sempre): inciuci, corruttele, grottesche raccomandazioni, sprechi osceni, mafiosità e collusioni, decadenze del sistema democratico eccetra, perpetrate da parte soprattutto della cosiddetta Casta. Loro lo fanno, ma il fatto straordinario è che oggi in questo Paese il solo fatto di averlo fatto gli garantisce un plauso appassionato e febbricitante da parte di masse crescenti di cittadini. Un plauso cieco, ovvero un assegno in bianco di imperitura giustezza ed eroismo. Divengono degli intoccabili, incriticabili, e infatti Beppe Grillo tuona “I giornalisti che ancora danno dignità a questo Paese con la loro voce vanno protetti dagli sciaccalli di regime, dai killer della parola. Nessuno tocchi il soldato Travaglio…” (1), e Michele Santoro si scaglia contro il Corriere e Repubblica per “aver aperto una campagna critica contro Anno Zero e contro lo stesso Travaglio” (2) – una campagna di critica, la più democratica delle iniziative, eppure. Chiunque osi infilare mezza osservazione nel loro agire viene immediatamente travolto dall’ira dei loro fans, il cui ragionamento è immancabilmente questo: ma come si fa a rompere le scatole a quei pochi ancora rimasti a dirci la verità in questo regime? E in effetti di fronte alla nauseabonda natura delle pratiche del ‘regime’ verrebbe proprio da gettarsi ciecamente dietro ai sopraccitati ‘paladini’. Ma la vita richiede saggezza, e in questi tumulti ne rimane ben poca. Infatti, la salute in democrazia impone che nessuno divenga intoccabile, neppure per il più sacrosanto dei motivi, proprio perché si corre il rischio che costui possa commettere malefatte o errori di grosso calibro protetto dal suo scudo di venerabilità, e che quelle malefatte o errori finiscano poi per far più danno del beneficio che il medesimo individuo procura alla società. E’ il caso proprio di Travaglio e compagni.

Sono oggi inutili. Hanno fondato negli ultimi anni un’Industria della Denuncia e della Indignazione che, come ho già avuto occasione di scrivere, “denuncia i misfatti politici a mezzo stampa o editoria a un ritmo incessante, nella incomprensibile convinzione che aggiungere la cinquecentesima denuncia alla quattrocentonovantanove in un martellamento ossessivo di libri fotocopia, blog e serate televisive serva a cambiare l’Italia. Eppure, che la politica italiana fosse laida, ladra e corrotta, milioni di italiani lo sapevano benissimo già prima che molti di questi industriali dell’indignazione nascessero, e assai poco è cambiato” (3). Infatti. Il loro lavoro, per quanto efficiente nello svelare il malaffare, è del tutto inutile se si spera che da esso derivi un miglioramento. Le prove sono davanti agli occhi di tutti, e sono incontestabili: oggi l’Italia non è un Paese più civile, né più onesto, né più libero di quanto lo fosse sedici o trent’anni fa, in barba all’offensiva della sopraccitata industria nel denunciare compulsivamente il marcio. Gomez, Travaglio e Barbacetto lo hanno persino confermato nel loro libro Mani Sporche, la cui tesi centrale è proprio il recidivo peggioramento di ogni indicatore civico, politico e morale in Italia da Tangentopoli ad oggi, cioè precisamente nel periodo della massima attività della loro Industria della Denuncia e della Indignazione. Notate: hanno scritto di loro pugno che ciò che fanno non serve quasi a nulla, ma non se ne sono resi conto, meno che meno sono disposti a porsi qualche domanda difficile ma vitale, del tipo: e se fosse altro quello che si deve fare?
Le smentite che vengono loro dalla realtà dei fatti sono clamorose, ma non li smuovono dalla compulsività di ciò che fanno: hanno visto coi loro occhi Beppe Grillo celebrare un suo autoproclamato “successo pazzesco” di consenso l’8 settembre del 2007 per le 300.000 firme raccolte dal suo primo Vday, e quindi proclamare roboante che questi politici “non esistono più”. Ma con gli stessi occhi hanno visto poche settimane dopo 3.517.370 italiani fioccare entusiati al parto dell’ennesimo carrozzone della più rancida politica riciclata, il PD di Veltroni. Mettiamola così: l’Italia della Casta batte Grillo 10 a 1, e questo avvenne quando le sue ultime grida quasi ancora riecheggiavano in piazza Maggiore a Bologna, e all’apice del successo di libri come La Casta o Regime. Non suggerisce nulla questo?

E poi c’è il risultato elettorale dell’aprile scorso, che li ha travolti come mai nella storia republicana.

Possibile che a fronte di questa desolate Caporetto dell’Industria della Denuncia e della Indignazione a nessuno sorga il dubbio che forse è ben altro quello che si deve fare? Possibilissimo, infatti la reazione dei ‘paladini’ della controinformazione proprio in questi giorni è di rincarare la dose della loro inutilissima medicina. Questa recidività mi ricorda la vicenda della vegetariana inglese e delle sue carote, un fatto realmente avvenuto a metà degli anni ’90 a Londra e riportato dal quotidiano The Guardian: ella si era convinta che per proteggersi dai tumori era necessario divorare grandi quantità di carote, ma ne ingurgitò così tante da finire in ospedale con serissimi guai al fegato. Messa di fronte all’evidenza della sua patologia, la signora concluse quanto segue: se sto male è perché evidentemente non ho mangiato abbastanza carote. Si dimise e corse a rincarare la dose della sua verdura salvifica. Cosa fu di lei non si sa, ma non si fatica a immaginarlo.

E sono dannosi. In realtà, e tristemente, il modo di agire dei sopraccitati ‘paladini’ serve a giustificare (oltre agli incassi degli autori e la loro ipertrofica fama) l’auto assoluzione di masse enormi di italiani, noi italiani come sempre entusiasti di incolpare qualcun altro, e mai noi stessi e la nostra becera inerzia, per ciò che ci accade. Questo è il motivo per cui il nostro Paese rimane perennemente al palo della civiltà. La colpa non è mai nostra, ce lo confermano incessantemente quegli sventurati ‘paladini’ della controinformazione coi loro martellanti scritti e interventi, e questo è il danno tremendo che ci fanno. Assolti da ogni peccato, fervidamente impegnati a fustigare le nostre ombre sui muri, finiamo per non crescere mai, e le uniche speranze di ripulire questo Paese vanno perdute.
E allora, codesti ‘paladini’ piuttosto che celebrare processi in Tv, invece di fare i PR fanatizzanti di alcuni magistrati violando così le più basilari regole dei checks and balances della nostra professione, e invece di ossessionarci con i dettagli della mafiosità o corruttela del politico numero 847, dopo averci raccontato quelli del numero 846 e dopo che per le precedenti 846 volte nulla è cambiato, dovrebbero aiutarci a processare noi stessi, a metterci tutti davanti allo specchio per dirci: l’Italia siamo noi, i ladri siamo noi, i moralmente decomposti siamo tutti noi, coi nostri 270 miliardi di euro di evasione di sola IVA, con l’omertà endemica che ci tappa la bocca ovunque vediamo del marcio - al lavoro, per strada o nei pubblici uffici, con la nostra adulazione del potere, e col nostro amore per l’abuso del potere appena ne abbiamo un briciolo in pugno, dagli insegnanti ai vigili urbani, dai medici agli ispettori delle pubbliche amministrazioni. Noi italiani con il nostro individualismo ammalato che al massimo si espande in parrocchialismo, ma mai in capacità di fare gruppo civico aperto alla critica, e ciò neppure quando ci proclamiamo antagonisti. Questa Italietta sudicia, ipocrita, fregona e anche violenta siamo noi.
E allora cari ‘paladini’ è con noi che ve la dovete prendere per cambiare l’Italia, è su di noi che dovete scrivere fiumi di libri o articoli, perché lo ripeto: gli Schifani, Berlusconi o Ricucci sono le nostre ombre sul muro. E a che serve prendersela ossessivamente con delle ombre?

Il giornalismo investigativo in Italia deve esplodere, perché come ho appena dimostrato è un mito, poco utile e dannoso. Esso è certamente utile altrove, in Paesi come gli USA o la Francia o la Gran Bretagna, ma solo perché esso cade a pioggia su una società civile del tutto diversa dalla nostra. E allora di nuovo: la variabile determinante non è la denuncia, ma chi la recepisce. Se prima non educhiamo gli italiani a essere civici, cioè a partecipare, inutile denunciare compulsivamente.

Incomprensioni. Quando Beppe Grillo nel ricordarci le malefatte della Casta grida dal palco del V2 day di Torino che i manigoldi saranno annientati perché “noi li pigliamo per il culo”, io mi dispero. Lo stesso faccio quando Piero Ricca si arma di coraggio e telecamera e attende il momento buono per gridare a Silvio Berlusconi “buffone!”. E mi dispero ancor più se possibile quando vedo così tanta gente esultare sia nel primo che nel secondo caso. Perché entrambe quelle affermazioni sono messaggi (cioè informazione) falsi e pericolosissimi.
Grillo ignora (o vuole ignorare) cosa sia realmente il Sistema-potere, e cosa occorra per abbatterlo. Se la prende con una classe politica nazionale che “avendo abdicato tutti i suoi poteri ad organi sovranazionali come la Bce, la Commissione Europea, il WTO, la Banca Mondiale”, e io aggiungo alle lobby come il Trans Atlantic Business Dialogue (TABD), il Liberalization of Trade in Services (LOTIS), l’Investmente Network (IN) o la International Chamber of Commerce (ICC), “non può fare assolutamente niente se non l’ordinaria amministrazione” (4). Egli non comprende che i grandi mali che affliggono l’Italia, dalla disoccupazione alla precarietà, dal rilancio finanziario delle mafie all’informazione plastificata, e poi gli equilibri economici in disfacimento, il degrado ambientale e la pessima qualità dei servizi ecc., derivano ormai interamente da decisioni prese altrove. Da chi? Dai sopraccitati poteri, che in soli 35 anni hanno saputo ribaltare due secoli e mezzo di Storia, che hanno reso di nuovo plausibile l’inimmaginabile nella vita quotidiana di 800 milioni di cittadini occidentali, che muovono più di 1,5 trilioni di dollari di capitale al giorno, e che tengono ben salde nelle loro mani tutte le leve della nostra Esistenza Commerciale (inclusa quella di Grillo, moglie e figli). Costoro non stanno perdendo neppure un singolo minuto di sonno per lui e per i suoi colleghi ‘paladini’ dell’Antisistema italiano. Ma ha un’idea Grillo di come lavorano questi? Dovrebbe smettere di sbraitare e capire, proprio visualizzare, il potere di chi è riuscito in un attimo della Storia a compattare migliaia di destre economiche eterogenee sotto un’unica egida e sotto un pugno di semplicissime ma ferree regole, per poi travolgere il pianeta ribaltandolo da cima a fondo: il Potere è ed è stato coeso, annullando ogni individualismo fra i potenti; è ed è stato disciplinato all’inverosimile, ossessivamente preciso in ogni analisi, immensamente competente, sempre silenzioso, al lavoro 24 ore su 24 senza mai un respiro di pausa, comunicatore raffinato, con a disposizione i cervelli più abili del pianeta e mezzi colossali. Crede Grillo che questa immensa macchina planetaria che regola ogni sospiro della vita italiana si preoccupi delle sue sceneggiate di piazza, o dell’incedere di un nugolo di personaggi e istrioni più o meno credibili con al seguito una minoranza di adepti/fans persi nell’ingenua buona fede? E allora: cosa mai risolveranno i referendum di Beppe Grillo fanaticamente concentrato in una guerra contro una Casta nostrana che nella stanza dei bottoni ha a malapena il controllo del pulsante del citofono?

Silvio Berlusconi sarà tante cose spiacevoli, ma di sicuro una non lo è: un buffone. E’ invece uno dei più geniali interpreti del carattere nazionale che sia mai esistito, e certamente il più geniale in epoca contemporanea. La sua abilità sia come manager che come politico incute soggezione. Lasciate perdere per un attimo che il suo percorso sia intriso di corruttele e malaffare, lo è quello di ogni singolo magnate del pianeta; ciò che ci interessa qui, è capire che questo uomo tiene saldamente le leve di una macchina sofisticatissima e multimiliardaria di creazione del consenso, che per essere combattuta va presa estremamente sul serio, altro che buffone e prese per il sedere. E arrivo a dire che la cosa più demenziale e infausta che l’opposizione intellettuale e movimentista al Cavaliere potesse immaginare di fare in questi anni è quello che ha invece sempre fatto: sbeffeggiarlo, insultarlo, ridicolizzarlo, chiamarlo psiconano, e insistere compulsivamente nel denunciarne le malefatte già ultranote a ogni singolo italiano attraverso la cronaca quotidiana e il lavoro dei giudici, mentre lui intanto si mangiava il Paese col consenso. Andava invece attentamente studiato, andavano comprese e individuate le sinapsi della mentalità italiana su cui la sua comunicazione si allacciava con spaventosa efficacia, ed esclusivamente su quelle sinapsi bisognava lavorare, con una macchia comunicativa altrettanto fruibile e martellante quanto la sua, anche se portatrice di valori opposti, e che la sinistra intellettuale (snob) non ha saputo costruire. Altro che buffone e pernacchie.


Mafie, ‘parrocchie’ e informazione.

Guardiamoci. Siamo un popolo che si divide inesorabilmente in ‘parrocchie’ o ‘mafie’. Se non siamo mafiosi, siamo parrocchiali, una delle due, non si fugge. Cioè, se non ci aggreghiamo per colludere in affari criminosi di vario grado, col loro corredo di atrocità, truffe, omertà, insensibilità per la sofferenza altrui, adulazione del potente, piacere nell’abuso del potere (dall’associazione per delinquere di stampo narcomafioso o bancario, alla cordata assicurazione-pretura-avvocati-grande policlinico per tacitare un’operata di cancro nella mammella sbagliata; dal patto trasversale ipermercati-grossisti per fare cartello sui prezzi truffando i cittadini, al consapevole risucchio dei pensionati in difficoltà nelle più ignobili spirali di indebitamento da parte di finanziarie da galera ecc.), noi italiani ci raggruppiamo in parrocchiette di ‘compagni di merende’, litigiose, esclusive proprio nel senso di escludenti, solo formalmente aperte ma in realtà a strettissimo raggio, nemiche giurate della libertà di pensiero, insomma consociative ma sempre travestite da qualcos’altro (e questo dal Corriere della Sera al periodico universitario, passando per le redazioni televisive, per i centri sociali, ONG, blog più o meno noti, gruppi online, comitati civici, ONLUS ecc.). Come si può facilmente immaginare, il pensare liberamente e la facoltà di criticare a 360 gradi non sono compatibili con gli interessi né delle mafie né delle ‘parrocchie’. Ma sono proprio il libero pensiero e la critica senza barriere le componenti fondamentali della libera informazione al sevizio dei cittadini. E allora?
In altre parole, noi italiani la libertà di informare non la vogliamo, e quando si affaccia sulla soglia della nostra ‘mafia’ o ‘parrocchia’ la odiamo e la cacciamo con singolare ferocia.

E come fa un popolo così ad avere una libera informazione?

Già posso già udire la levata di scudi di quelli che “Io? Io proprio no! Io compro il Manifesto… io leggo Libero… io sono Padano mica italiano… io sono con Beppe, vaffa te Barnard… io sono stato in Afghanistan con Gino, figuriamoci… io dico viva Travaglio, che c’entro io?...” . E invece c’entrate, c’entriamo tutti, e soprattutto proprio quelli di noi che sono confluiti negli ultimi anni nel cortile dei nuovi antagonisti, altra ‘parrocchia’ che sta ahimè replicando molti dei tratti più meschini dei più trazionali conglomerati mediatici italiani.
In questo mio scritto dedicato all’informazione mi concentro proprio su questo cortile antagonista per una serissima ragione: perché esso dovrebbe essere la fucina delle uniche speranze rimaste in Italia di ottenere un’informazione libera, e se dunque al suo interno si replicano le meschinità del Sistema-potere, se anch’esso è divenuto ‘parrocchia’, è veramente una tragedia immane per tutti. Dell’altro cortile, quello del giornalismo regimentato, non dico nulla qui, tutto è già stato scritto fino alla nausea.

Vi snocciolo ora alcuni esempi a riprova di ciò che sostengo, fra i tantissimi possibili. Sono tutti frutto della mia esperienza personale, e non per protagonismo ma solo per la certezza di ciò che posso descrivere, avendoli vissuti in prima persona.

Nella primavera del 2007 inviavo agli amici di Peacereporter, sito portavoce dell’ONG Emergency, una critica all’operato di Gino Strada, che da settimane si scagliava con crescente acrimonia contro il governo Karzai in Afghanistan, reo, secondo il chirurgo e un ampio stuolo di intellettuali italiani, di violare tutte le più elementari regole del garantismo giuridico con la detenzione di Ramatullah Hanefi, manager dell’ospedale di Emergency a Lashkargah e mediatore per l’Italia nel noto rapimento di Daniele Mastrogiacomo. Un appello per la liberazione di Hanefi venne scritto e divulgato, con firme della posta di Claudio Magris, Enzo Biagi, Gherado Colombo e Maurizio Costanzo fra gli altri. Il testo cominciava con le parole “La Costituzione afghana…”. Ma quale Costituzione? Quella esportata laggiù a colpi di bombe cluster e di migliaia di morti? Quella solennemente varata a Kabul nel 2003 da Hamid Karzai e dalla sua Lloya Jirga, e cioè da un pupazzo del Dipartimento di Stato americano ex consulente del gigante pertrolifero USA UNOCAL, tenuto sotto la mira dei B52 della US Airforce, e in combutta con la peggior masnada di criminali di guerra e stupratori noti con l’appellativo di Alleanza del Nord? Quella contemplata con stupore dagli afghani nella speranza che qualunque cosa (anche un testo marziano venuto da chissà dove) fermasse le stragi della NATO e le inaudite violenze dei ceffi dell’Alleanza del Nord –responsabili di oltre 50.000 morti civili dal 1993 al 1998 di cui 24.000 solo nel 1994, e poi stupri, mutilazioni, spaccio di eroina? (5) Cioè la più classica “Constitution at gunpoint” per promuovere la “Democracy at gunpoint”? Quella? Sì, proprio quella. E il testo degli intellettuali italiani continuava così: “Il prolungarsi della detenzione di Rahmatullah Hanefi, in spregio ai diritti universali e alla più elementare dignità umana, avviene in palese violazione della Costituzione afgana… L’attuale sistema giuridico afgano è stato costruito con la collaborazione e l’importante sostegno finanziario per cinquanta milioni di dollari dell’Italia”.
Diritti universali, dignità umana, e leggi eufemisticamente nate dalla collaborazione e dal denaro italiano. Risulta a qualcuno che i pastori tagiki, che i commercianti pashtun, o che le donne hazara se li siano mai scelti quei diritti? Sappiamo almeno se li condividono? Ha un senso per loro la nostra dignità? Si sono mai espressi su quella? Cosa hanno da spartire le regole delle democrazie parlamentari europee con duemila anni di relazioni tribali centroasiatiche? Con che diritto l’Italia, Gino Strada e l’intellighenzia al suo seguito pretendono il rispetto di regole e di diritti che con secoli di vita afghana c’entrano come un intervento di laparoscopia robotica con le pratiche curative sciamaniche? Importa qualcosa che a magistrati, medici e giornalisti cresciuti su un altro pianeta certe regole afghane creino sgomento e riprovazione? Sono afghane, sono le loro regole. E il mio ragionamento continuava: se si sancisce il diritto di una potenza conquistatrice di imporre ad un altro Paese le sue regole di “democrazia e giustizia occidentale ora, subito!” a suon di proteste (di insulti, di ricatti commerciali e di missili), allora sanciamo fin da ora il diritto degli afghani, dei talebani, o dei cinesi o di chiunque al mondo di gridare “tortura e pena di morte ora, subito!” se mai capiterà che un giorno siano loro ad avere abbastanza bombe per offrirci la loro Costituzione. E tornando dunque alla ferrea determinazione di Gino Strada e soci nell’avanzare quelle perentorie richieste, quale differenza c’è fra il loro modo di pretendere “democrazia e giustizia occidentale ora, subito!” in Afghanistan e quello tipico dell’imperialismo culturale dei neocons americani capitanati da Samuel Huntington con il loro “democrazia all’americana ora, subito!” esportato in mezzo mondo? L’uso delle bombe invece che una petizione scritta a Milano? I sordidi fini di sfruttamento degli americani invece del sentimento di giustizia dei nostri intellettuali? Davvero? Credete voi che la lettera di Strada, Colombo e soci sarebbe mai giunta a Kabul senza quel dettaglio degli 8.000 morti civili di questa orribile invasione, della coventrizzazione di interi villaggi, e della nova resa in schiavitù delle donne afghane che oggi si danno fuoco con disperazione senza precedenti? (6) Credete che le consulenze giuridiche discese da Roma su Kabul non servano proprio a spianare la strada agli avvocati delle solite note corporazioni o agli infausti ‘cooperatori’ internazionali?
La realtà, per chi vuole vederla, è che Gino Strada, proprio lui, si era accodato al più classico imperialismo culturale, e questo era sbagliato. Terribilmente sbagliato.
Scrissi tutto ciò a Peacereporter, li invitai a una riflessione fondamentale, che va al cuore dell’intercultura, che è oggi di drammatica attualità. Sostenevo che non è in quel modo che si ottiene un avanzamento dei valori fondamentali dei popoli (ciascuno i suoi). Lo pubblicarono? Macché. Concessero ai loro lettori il beneficio del dissenso? Macché. La ‘parrocchia’ si chiuse a riccio, e fine del libero dibattito. Infatti su Peacereporter un libero dibattito su Emergency e sulle sue tante controversie è impossibile.
Se questa parrocchialità accade fra i ‘nuovi’, fra quelli che non hanno Confindustria o il Vaticano che gli soffia sul collo, immaginate al Corriere o al TG1 di Gianni Riotta.

E di seguito: si chiuse a riccio la ‘parrocchia’ del Manifesto quando, dopo vent’anni di collaborazione, mi negarono la pubblicazione di un editoriale dove gli chiedevo: “Se Calipari fosse morto nelle stesse identiche circostanze, ma per salvare Agliana, Quattrocchi, o Cupertino, voi cosa avreste scritto di lui? Avreste celebrato la morte di un eroe, o avreste scritto di uno ‘sbirro’ al servizio sciagurato dei contractors imperialisti?”. In altre parole, l’onestà intellettuale non andrebbe posta in cima al lavoro della storica testata senza padroni? Se non si fa chiarezza su questo punto in via Bargoni, come si procede? Si può procedere? Silenzio.

Spettacolare la parrocchialità di un gruppo No Tav della Val di Susa, e sto sempre nell’ambito dei cosiddetti ‘liberi battitori’, per gli essenziali motivi citati in precedenza. Il 14 febbraio 2008 ricevo da una loro attivista un invito a tenere un dibattito in valle: “Sia come associazione che come comitati No Tav saremmo felici di averti ospite a qualcuna delle serate informative che organizziamo, oppure di organizzarti alcune serate (nei vari paesi della Val di Susa e Sangone) sul tema della censura sull’informazione in Italia.” Notate che il fulcro della cosa è la censura. Rispondo il 27 dello stesso mese e fra le altre cose scrivo: “Possiamo parlare di informazione, società civile organizzata, cosa fare e come. Sappi che dico cose molto impopolari per i fans di Grillo, Travaglio ecc.”. La solerte signora cinque giorni dopo specifica: “Nella riunione di comitato di giovedì scorso ho portato il nostro scambio di mail e ci siamo chiesti cosa intendi con ‘cose molto impopolari per i fans di Grillo, Travaglio ecc’… vorremmo capire meglio, anche per non creare confusione fra la gente a cui ci rivolgiamo, visto che martedì avremo, per l’appunto, Marco Travaglio che presenterà il suo libro Mani sporche… Se riesci a mandarci uno spunto per fargli magari qualche domanda specifica che ci faccia capire te ne saremmo grati.”. La indirizzo alla lettura del mio Considerazioni sul V-day (7) e allego una precisa serie di domande critiche per Travaglio, poi attendo. Attendo, attendo. Dopo divesi giorni sollecito, e a metà marzo mi arriva una mail di centosette righe fitte, dove l’attivista No Tav si dilunga eternamente sulle sue lotte sociali, sul coraggio, sugli alti ideali. Poi, in fondo: “… Devo dirti in tutta onestà che non abbiamo sfidato Travaglio… gli siamo riconoscenti per essere venuto… grazie a questo fatto sono arrivati tantissimi cittadadini (uno stadio zeppo come da foto allegata, nda)”. Ed ecco la stoccata finale: “Tu sei un grande e coraggioso giornalista… all’interno del nostro comitato il dibattito è al punto che ci piacerebbe avere prima un incontro-confronto con te, per capire…”.
Ah sì?, rispondo. Lo avete fatto “l’incontro-confronto per capire” con Travaglio? Con Imposimato? Con Diego Novelli? Cioè con tutti gli altri ospiti delle vostre serate? E vi siete preoccupati anche con loro di “non creare confusione fra la gente a cui ci rivolgiamo”? Da quando si fanno i pre-esami agli intellettuali che si invitano a parlare alle serate? Risulta a qualcuno che questa sia la prassi? Non commento oltre, non credo ce ne sia bisogno. Censura, altro che libero dibattito in quel No Tav. La ‘parrocchia’ è chiusa in Val di Susa, e perdonate la rima.

La medesima cosa mi accade in un centro sociale di Bologna, l’XM24, forse ancora peggio. Questi sono gli antagonisti arrabbiati, i giovanissimi irriducibili, gli sfasciaSistema per eccellenza. Bene. L’invito che ricevo è a parlare di informazione, e tutti sanno che sono nel mezzo di un’aspra polemica con Report di Milena Gabanelli, che accuso di essere collusa con la RAI in Censura Legale (8) e impegnata in un’opera di censura a tappeto del dissenso nel forum della sua trasmissione (9). Tre giorni prima dell’incontro, un rappresentante del collettivo si presenta a casa mia: ha parlato con Bernardo Iovene, collaboratore stretto di Gabanelli ma soprattutto amico intimo del leader di XM24. Iovene sostiene che io vado raccontanto balle e diffamazioni sia su Censura Legale che sulla censura nel forum di Report, è vero? In via del tutto eccezionale, data la giovanissima età del ragazzo, gli perdono quello che non ho perdonato ai No Tav, e mi sottopongo a verifica preventiva. Mostro al giovane tutti i documenti processuali, le prove nero su bianco, rispondo a ogni domanda. Lui è soddisfatto. L’incontro si fa. Dopo 48 ore mi arriva una chiamata: Iovene è stato di nuovo al collettivo, c’è stata discussione, e allora “Barnard lei può venire, può parlare di informazione, ma non può parlare di Report (sic)”. Avete letto giusto: i giovani antagonisti, gli antiSistema duri e puri, vietano preventivamente all’ospite di parlare, gli mettono un guinzaglio affinché più in là di qualche metro non vada. Non credo sia mai capitato a Porta a Porta, non così spudoratamente. ‘Parrocchia’ anche qui.

E poi i meet up di Beppe Grillo, e Grillo in persona. Qui la ‘parrocchia’ ha veramente funzionato, soffocando un pezzo di informazione con la stessa efficienza di un Tg di Emilio Fede. Spiego i fatti. La eco della mia pubblica denuncia della collusione di Milena Gabanelli con RAI in Censura Legale ha toccato gli angoli più disparati della Rete, e naturalmente è approdata ai meet up. Alcuni membri di quei gruppi hanno d’istinto portato la vicenda nella pagine del blog di Grillo, visto che si parlava di censura e a pochi giorni dal V2 day sull’informazione. Ma a quel punto un fatto curioso ha iniziato ad accadere: i loro messaggi indirizzati al comico genovese sparivano. Strano. Vi lascio alla spettacolare sequenza di eventi così come sono accaduti al meet up di Napoli, per comprendere di cosa sto parlando:

“Posted mar 27, 2008 at 11:32 AM
Qualche giorno fa mi hanno passato questi due link: http://www.arcoiris.t... e http://www.arcoiris.t... Questi video non sono altro che l'intervista a Paolo Barnard: uno dei migliori giornalisti...scusatemi... EX giornalista di Report, la famosa trasmissione televisiva di rai tre condotta da Milena Gabanelli. Dovete - per favore - vedere i video perchè DOVETE aprire gli occhi. Milena Gabanelli come Pozio Pilanto se ne è lavata le mani, sul forum di Report sono stati bannati (censurati) tutti gli interventi su questo argomento (CESURA LEGALE).
Sul sito di Beppe Grillo è stata fatta la stessa cosa... Apriamo gli occhi.

Vittorio Emanuele”

“Posted mar 28, 2008 at 3:38 PM
Io scrivo sul forum di annozero e qualche volta su quello di report. Ho partecipato solo all'inizio alla lunghissima discussione che c'è stata e che poi è sparita. Conosco le persone bannate, sono persone civili, educate, acute, con un senso civico altissimo. Non hanno mai sforato nell'offesa o nella volgarità, ma hanno dato fastidio chiedendo, pretendendo chiarimenti.
Tutto questo può diventare improvvisamente non interessante perchè barnard ha fatto il nome di grillo?
Grillo sta organizzando un V-day sulla informazione, perchè non affrontare anche questa questione? E' importante o no per la democrazia, per il sistema informazione in italia....la gabanelli non ne parla.
Maria Gabriella”

“Posted mar 28, 2008 at 9:51 PM
Ho bisogno di una risposta a questo quesito: io e altri abbiamo ripetutamente postato la lettera aperta (su Censura Legale di Barnard, nda) sul blog di Grillo. Non è mai stata postata. Come mai? Qualcuno sa darmi una spiegazione? Grazie.
Maria Gabriella”

“Posted mar 28, 2008 at 10:03 PM
Prova a spezzettarla, il blog accetta 2000 caratteri per volta.
Mariano.”

“Posted mar 28, 2008 at 10:37 PM
...cmq è vero è da piu di mezzora che cerco di postare su blog di Grillo la lettera aperta su Censura Legale (di Barnard, nda), non riuscendoci... Non mi postano neanche le mie proteste in merito.........
non capisco...........
Mariano.”

“Posted mar 29, 2008 at 1:17 AM
non potevo, non volevo crederci... mi chiedo che senso abbia il v2day sull' INFORMAZIONE se Grillo sul suo blog applica la censura nei cfr. di determinati argomenti.... sono confuso....deluso...
pretendo chiarimenti...chiedo a Roberto Fico, Marco Savarese e Vittorio, e a tutti gli amici del meetup di napoli di pretendere altrettanto.... di chiedere chiarimenti a Grillo.... che questa discussione venga puntinata.”

La notizia che anche Grillo stia censurando sul suo blog rimbalza allarmante a diversi altri snodi italiani dove si raggruppano i seguaci del comico, come Milano, Roma, Bologna, Ladispoli, Carbonia, o Messina:

“Posted apr 13, 2008 at 5:07 PM
Sul BLOG di Grillo i post che contengono il nome di BARNARD vengono censurati. Provate voi stessi e vedrete. Io ho fatto alcune prove, anche camuffando il nome. Niente. Mi pare una questione molto seria. Ne vogliamo discutere?”

“Posted apr 9, 2008 at 9:09 PM
Se ci tappiamo gli occhi di fronte a questa vicenda; se non siamo in grado di rompere quelle che assomigliano alle vecchie regole di omertà e fedeltà alla linea di partito; se non facciamo questo, ora e subito, credo dobbiamo rinunciare ad ogni speranza di cambiamento e di battaglia per la verità. Voglio poter andare al prossimo V-Day con l'animo in pace e con la coscienza pulita
Stefano.”

“Fabio bergonzoni (cipputi) Commentatore certificato 01.04.08 11:09 |
quando mi capita di scrivere un commento non troppo "consono" al blog viene censurato... dio mio c'è del marcio anche qui? ho visto che non capita solo a me. è triste. è sconfortante. non si sa più dove girarsi... non c'è piu niente di pulito.”

Io stesso ricevo diverse mail che confermano puntualmente la censura sul blog di Grillo e di cui offro solo alcuni esempi:

Date: Mon, 07 Apr 2008 15:32:29 +0200
From: Stefano
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Di nuovo su censura legale

“Ho provato a spedire un messaggio nel blog di Beppe Grillo, le cui uniche parole riconducibili al tuo caso erano RAI, Gabanelli, Report e Barnard: niente, il messaggio non è arrivato.
Ultimo tentativo, questa volta con le parole camuffate… Ne ho spediti un paio e sono rimasti là almeno una mezz'ora/un'ora (probabilmente erano un po' distratti). Stamattina i miei post erano spariti. Questa vicenda mi disgusta...”

Date: Tue, 11 Mar 2008 12:17:03 +0100
From: mariapiapil@****
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Re: Report e Anno Zero

“Ho scritto quanto segue nel blog di Grillo. Non ne ho trovato traccia... Mp.
‘Vorrei esprimere il più totale rifiuto e indignazione verso la Censura Legale di cui è oggetto Paolo Barnard e tutte le persone che in diversi blog e forum....’”

Date: Fri, 21 Mar 2008 18:21:08 +0100
From: sapesci@****
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Grillo censura...

“Avevo già segnalato il tuo caso sul sito di Beppe Grillo. Una delle due segnalazioni che ho inviato, quella nel commento più votato, è stata bannata!.... La Gabanelli anche lì evidentemente non si tocca! ma tu resisti... non sei solo!”

Tutto questo accade a meno di un mese dal V2 day di Torino. In sostanza: Beppe Grillo, che sta lanciando la più imponente crociata popolare contro l’informazione “di regime” della storia contemporanea, usa la censura nel suo stesso blog, da lui sventolato ai quattro venti come il futuro della libertà di espressione, come il salvagente della libertà di parola in Italia. Lo fa, aggiungo, perché notoriamente amico intimo di Milena Gabanelli, e fra compagni di ‘parrocchia’… Ma ciò che sarà ancor peggio, è come l'ondata di indignazione di tanti membri dei meet up si spegnerà docilmente al sopraggiungere dell’adrenalinica giornata del 25 aprile, con la sua cornucopia di emozioni, protagonismo per un giorno e trascinamento acritico di tanti da parte dell’istrionico genovese. Eppure non sarebbe stato difficile capire che in gioco vi era un fatto gravissimo, e cioè la scoperta che il grande inquisitore aveva replicato lo stesso odioso comportamento che si accingeva a castigare con feroce intransigenza in tanti altri. E se una frazione di rigore intellettuale e morale fosse riuscita a sopravvivere a quella festa di piazza, i seguaci di Beppe Grillo avrebbero dovuto imporre una riflessione all’intero evento: quella replica ipocrita lo aveva già corrotto fin nelle fondamenta prima ancora di iniziare, inaccettabile continuarlo così.
Ahimè rimane un fatto che da quella data è calato il silenzio su questo caso. Di nuovo, la ‘parrocchia’ dei meet up ha chiuso i portoni, e un libero dibattito sulla gravità del comportamento di Beppe Grillo è rimasto fuori.


Il caso Gabanelli. Il ‘litmus test’.

Quando il parroco chiama a raccolta. E sempre in tema, mi soffermo sulla reazione di alcuni dei più noti rapppresentanti dell’Antisistema italiano a quella parte della mia denuncia su Censura Legale che inevitabilmente ha gettato ombre sulla conduttrice di Report Milena Gabanelli. Essa si è rivelata un litmus test, per dirla all’inglese, e cioè un vero banco di prova. Infatti, nella ‘parrocchia’ che si è chiusa a riccio a protezione della nota giornalista si sono infilati alcuni dei nomi più celebri della compagine dell’informazione antagonista italiana. Non è loro bastata la schiacciante mole di prove documentali che inchiodavano Gabanelli e la RAI; non gli sono bastate le proteste per iscritto con nomi e cognomi dei tanti cittadini censurati brutalmente dalla Gabanelli per aver osato dissentire e chiedere spiegazioni; non è stato sufficiente spiegargli accoratamente che la replica al loro interno dei metodi del Sistema-potere è una bomba a orologeria moralmente inaccettabile e che finirà per delegittimarli danneggiando irreparabilmente tutti gli attivisti italiani. Nulla di tutto questo è servito, e così Marco Travaglio, Aldo Grasso, Lorenzo Fazio, Sabina Guzzanti, Beppe Grillo e persino Piero Ricca si sono schierati in difesa della propria ‘parrocchia’, ciascuno a modo suo.

Prima di continuare preciso e sottolineo: il fatto che il caso Gabanelli sia ricorrente lungo diverse parti di questa narrazione non è segno di un mio accanimento rancoroso, di una malcelata velleità vendicativa, di squilibrio professionale. Le ragioni sono quelle appena citate, e solo quelle: si è trattato di un punto di svolta clamoroso, un episodio che ha per la prima volta squarciato il velo su una dibattito soffocato anche se di fondamentale interesse pubblico: sono veramente diversi dal Sistema-potere i nuovi ‘paladini’ italiani della libertà di parola? Come reagiscono quando sono loro a essere colti in fallo? Possono centinaia di migliaia di italiani fidarsi ciecamente di loro? E in ogni caso, è giusto affidarsi?
Ecco perché quell’affaire ricorre così spesso qui. Mi ha scritto una lettrice: “Gent.le Dr. Barnard, sono rimasta colpita sia dalla vicenda in sé, sia dalle relative implicazioni sociali. Ritengo che quanto è avvenuto sia gravissimo: anche i programmi e le rubriche che (apparentemente) prendono posizione a favore di una cultura della legalità e dei diritti sono, dunque, "sepolcri imbiancati" (per usare un'espressione molto forte ma, credo, non fuori luogo)”.


Marco Travaglio.

La prima volta che portai all’attenzione del giovane cronista di giudiziaria le crepe che si stavano aprendo nel gruppo dei ‘paladini’ fu il 14 dicembre del 2006. Le risposte che mi arrivarono furono dei monosillabi inespressivi e seccati. Mai alcunché sui punti specifici. Fu uno dei primi a ricevere la mia denuncia su Censura Legale, di cui lui stesso è vittima fra l’altro, ma nulla. L’ho sollecitato di recente con una lettera aperta, nella quale gli chiedevo di esprimersi sia sul critico rapporto fra fama/potere e libertà d’espressione (Travaglio è un’idolo nazionale e corre seri rischi in questo), sia sul comportamento della collega Gabanelli. Nessuna replica. Poi ricevo da un lettore quello che Travaglio aveva a lui dichiarato in merito a ciò che gli avevo scritto: “Sono tutte balle (vicenda Gabanelli)” e “Non ho tempo da perdere dietro ai delirii di uno squinternato che mi diffama su internet con processi alle intenzioni (le mie considerazioni su fama/potere e libertà)”. Replico a questo livello di tracotanza offensiva e di ignoranza dei fatti (Travaglio, che è un cronista, evidentemente non sa nulla delle prove documentali che ho fornito in Censura Legale) e fra le altre cose scrivo: “Nessun processo alle intenzioni. Travaglio si è già corrotto. Come fa lui, il censore morale, a stare fisso nel salotto Tv di uno che per prima cosa è un arcinoto raccomandato di lunga data della lottizzazione Tv dell’asse PCI-Sandro Curzi, ma che ha poi fatto scempio del mandato elettorale di tanti italiani per scendere da Strasburgo (dove ha soggiornato a spese dei cittadini) a riprendersi il suo ‘giocattolo’ preferito? Cos’è un mandato elettorale? Un parcheggio temporaneo? Una cura ricostituente? E costui, cioè Santoro, oggi sta in televisione a bacchettare il malcostume della politica (sic). Può Marco dire quanto sopra in faccia a Santoro in diretta ad Anno Zero? Eppure sono fatti conclamati. Può? Lo ha fatto?
Può Travaglio dire che la sua casa editrice Chiarelettere è diventata il fans club di un magistrato e di una fetta di magistratura con tanto di striscione e motto sul sito (caso unico in occidente), facendo così a pezzi il più sacro dei principi dei checks and balances nel giornalismo? Può? Lo ha fatto?.
Può Travaglio spiegarci cosa ci stanno facendo lui e Milena Gabanelli in prima serata Tv dopo che lui stesso ha perentoriamente dichiarato nel 2006 quanto segue:
‘In televisione è vietato tutto ciò che è libero, indipendente e autonomo. Perché? Perché non si sa mai cosa può dire uno libero, che non risponde, non si sa mai cosa potrebbe fare, non si sa mai cosa potrebbe raccontare... Se uno è asservito è controllabile, si conoscono le dimensioni del suo guinzaglio, e si sa anche chi lo tiene in mano il guinzaglio. Chi non ha il guinzaglio in televisione in questo momento non lavora e chi ci lavora in un modo o nell’altro un suo guinzaglio ce l’ha.
Si tratta a volte di scoprirlo, per quelli più furbi, che lo nascondono meglio, per altri si tratta di capire quanto è lungo, ma non c’è dubbio che chiunque lavori in televisione nei posti chiave, che si occupano di informazione, di attualità, o che si occupano disettori limitrofi, il guinzaglio c’è e lo tiene in mano qualcuno. Poi ci può essere qualcuno che ha il guinzaglio e pure è bravo (sic, nda), non è mica escluso, è difficile, ma non è escluso; la regola è comunque che ciascuno deve essere controllabile e ciascuno deve essere prevedibile , ciascuno deve avere qualcuno che garantisce per lui altrimenti sulla base delle proprie forze e delle proprie gambe lì dentro non ci si entra’?”

E ora aggiungo: può Travaglio farci capire come è possibile che il direttore di RAI 3 Ruffini sia, secondo le sue lapidarie parole, un censuratore di professione “perché ha cancellato Raiot di Sabina Guzzanti”, quando lo stesso Ruffini lascia Report in prima serata da più di 4 anni? Lo è o non lo è un censuratore? Oppure è la Gabanelli che ha le spalle coperte? O è Travaglio che diffama a casaccio? Può chiarire?
Può questo giornalista dare conto della sua partigianeria manifesta per un partito politico con tanto di indicazione di voto pre elettorale (IDV e Di Pietro) e di come questo suo comportamento deturpi l’abc della nostra deontologia, che pretende una netta separazione del giornalista dalle fonti del potere che dovrebbe severamente monitorare?
Può infine avere la decenza di leggersi le carte processuali che così chiaramente espongono Milena Gabanelli come collusa con la RAI in uno dei più gravi casi di Cesura Legale, e le testimonianze dei cittadini censurati dalla condutrice di Report? E avrà la coerenza di prendere posizione contro quel malaffare nato nel cuore dell’informazione ‘pulita’, così come lo condannerebbe se praticato da chi non è suo amico personale? Insomma, avrà la forza di non finire a erigere muri attorno all’ennesima ‘parrocchia’?

La risposta a ciascuno di questi quesiti è no. Perché fra ‘parrocchiani’ non ci si tocca, e al diavolo la libertà di pensiero, la libertà d’espressione e l’onestà personale.

Lorenzo Fazio e Aldo Grasso.

Editore di provenienza Rizzoli e patròn della casa editrice Chiarelettere – che pubblica Travaglio, Gomez, Corrias, Barbacetto, Beha ecc. – Lorenzo Fazio ha avuto fra le sue firme sia il sottoscritto che Milena Gabanelli. Da notare che questo editore ospita nel suo sito un blog dal titolo Tiro Libero, spazio dedicato al monitoraggio del giornalismo italiano. Sono ancora in attesa che quel ‘monitoraggio’ dedichi a Censura Legale qualcosa di meglio di tre righe vaghe e fuori tema. La Censura Legale non è cosa da poco, è a tutti gli effetti una minaccia serissima alla libertà di stampa italiana, come conferma mirabilmente un saggio di una delle nostre più rispettate giuriste, Giovanna Corrias Lucente, e che così riassume la serietà della questione: “Sulla testa di ogni giornalista pende oggi la spada di Damocle di una querela per diffamazione. Lui – e il suo giornale – rischia la bancarotta, chi querela assolutamente niente. Anche se la denuncia si rivela infondata, infatti, è quasi impossibile ottenere un risarcimento. Risultato: i giornalisti scrivono sempre di meno e sempre più politically correct, le querele per diffamazione non si contano e i danni morali liquidati raggiungono cifre sbalorditive. Con buona pace del pluralismo e della libertà di stampa.”. (10) Ma Lorenzo Fazio è della ‘parrocchia’, ha la conduttrice di Report in prima fila fra le firme Vip dei sostenitori della sua impresa editoriale, e dunque zitto, “con buona pace del pluralismo e della libertà di stampa”.

Aldo Grasso, il critico televisivo più caustico d’Italia, uno spirito libero, così dicono. Lo chiamo in febbraio, gli espongo la questione Censura Legale, e lui: “E’ grave, è capitato anche a me, un editore mi ha lasciato solo in tribunale a sorbirmi tutte le grane di ciò che mi aveva pubblicato...”. Bene, replico, allora sai di cosa parlo, ci scrivi due righe sul Corriere? Grasso: “Ma… sai… io sono amico della Gabanelli, e prima di attaccare un’amica dovrei vedere meglio...”
Notate bene che non ha detto ‘prima di attaccare un cittadino’, che sarebbe stato solo giusto. Ha detto “un’amica”, cioè il critico televisivo è ‘compagno di merende’ di chi dovrebbe scrutinare. Non demordo, gli mando ogni prova documentale, ogni riscontro nero su bianco, tutto. Lo richiamo dopo quasi un mese, e la solfa è la stessa: “Ma sai… io sono amico della Gabanelli, e prima di attaccare un’amica…”.

Piero Ricca.

Il 2 aprile 2008 mi scrive: “Caro Barnard, vorrei capire meglio la vicenda che la riguarda. Vorrei farle un'intervista, magari video, ma non necessariamente, da far girare on line, a partire dal mio blog. Un cordiale saluto, Piero Ricca”. Ne sono felice, accetto. Lui ribadisce: “M’interessa anche il tuo punto di vista su leadership e responsabilità individuale nel campo della società civile ‘progressista’ o ‘antagonista’…”. Perfetto, ancora meglio. E ancora lui: “Confido in video-intervista sugli sviluppi e il signficato del caso non appena possibile per antrambi”.
Nel frattempo lo rendo edotto di ciò che penso dell’Industria della Denuncia e dell’Indignazione, e glielo dico chiaro, lui c’è dentro fino al collo. Parliamone. Inoltre gli manifesto il mio disagio di fronte a certi suoi, chiamiamoli, eccessi di provocatorietà nel corso dei suoi arrembaggi a Vip politici o finanziari. Il rischio, suggerisco, è proprio quello di replicare metodi violenti nel nome di una autoreferenziale giustezza civica. Piero si risente un poco, me lo comunica. Il tempo però passa, e dell’intervista che mi voleva fare si sono perse le tracce.

Sabina Guzzanti.

Stessa trafila di Ricca, anche lei mi contatta per una intervista, l’11 di febbraio: “Caro Paolo Barnard, dato che sto lavorando a un film documentario sull’informazione vorrei intervistarti e raccogliere la tua testimonianza (sperando che la parola non ti ricordi troppo i tribunali)”. Scottato come sono dall’effetto ‘parrocchia’, decido di mettere le mani avanti: cara Sabina, leggi prima quello che ho scritto di voi Vip alternativi e di ciò che state facendo, poi se ancora vorrai sentirmi… Lei replica: “Caro Paolo, grazie della risposta. Ho letto il tuo articolo e non mi è passata la voglia di intervistarti. Ti chiamerò un giorno di questi per prendere un appuntamento”. Sono ammirato, forse qui si respira aria nuova. Nelle settimane seguenti le mando via mail i dettagli della vicenda Censura Legale, e con essi una sintetica cronaca in diretta della censura che sta calando implacabile su molti utenti del forum di Report man mano che la cosa monta. Le segnalo anche quella del blog di Grillo. Sabina inizia a mandarmi messaggi interlocutori: “Su Grillo mi sono arrivate voci che sul blog ci sia censura, mi pare che la voce si stia spargendo, d’altra parte è pure una sua scelta parlare di quello che vuole…” Le rispondo: “No, scusa, ma hai preso un granchio. Non si tratta del suo diritto di postare ciò che lui vuole. Qui parliamo dei cittadini, i cui contributi lui non deve filtrare, se non in casi di palesi volgarità o illegalità. I post dei cittadini sul suo blog sono liberi, e lo sono sempre stati. Lui cancella quelli scomodi, li censura”.
Sabina di nuovo: “Mi sembra che il senso della tua battaglia debba essere protezione legale da parte degli editori per i giornalisti che si espongono, più che una guerra contro la Gabanelli”. Comprendo subito il pericolo del fraintendimento che talvolta mi accompagna, e cioè la convinzione di alcuni che io mi stia accanendo per un rancore personale contro una giornalista, piuttosto che sui principi di una battaglia per la libera informazione. Replico con fermezza: “Il senso della battaglia è sia contro gli editori che ci abbandonano sia contro chiunque censuri, se mi permetti. Gabanelli sta censurando a man bassa e partecipa a Censura Legale. Cosa devo fare? Il solito ‘compagno di merende’ alla Aldo Grasso o Grillo che con la censura di Mimun sbraitano furibondi ma con la loro amica no? Fammi capire Sabina, la censura puzza di meno se la fa una amica tua o mia? Dimmi come ti posizioni tu, perché qui veramente si fa fatica a capire. La guerra la si fa contro chiunque censuri e se si chiama Gabanelli chissenefrega. O sbaglio?”.
La Guzzanti non si convince, lo scoglio Gabanelli rimane nel mezzo. Poi, quando scrivo di Marco Travaglio ciò che avete letto sopra, Sabina cambia tono, ahimè. Mi premuro di ricapitolarle tutti i punti spinosi, le gravi contraddizioni e i rischi che accompagnano la celeberrima figura del cronista, e concludo: “Sabina, quando si diventa Star non si è più liberi. Perché la fama dà potere, e il potere diventa prioritario rispetto alla libertà. Rileggi i nomi che ho citato (Ivan Illich, Noam Chomsky, Howard Zinn, John Pilger, Rachel Corrie… Giovanni Ruggeri, Giorgio Ambrosoli, Corrado Staiano, Ilaria Alpi, Peppino Impastato, nda), quelli non furono e non saranno mai in prima serata Tv. Va fatto altro, e l’ho scritto e credo che tu l’abbia letto”. Lei: “Caro Paolo, condivido la battaglia perché i giornalisti siano protetti legalmente dalle testate per cui lavorano, non condivido la battaglia anti Gabanelli. Non condivido la battaglia anti Travaglio di cui ho stima.” E di seguito, a proposito dell’impianto generale delle mie critiche ai ‘paladini’ antisistema, la Guzzanti sentenzia: “Francamente mi sembra un’analisi che nasconde frustrazione e rivalsa mal indirizzate”. Dunque, sarei in fondo proprio un rancoroso frustrato che fa battaglie anti qualcuno per rivalsa personale e invidia. Ci risiamo. La mia ultima replica alla Guzzanti sarà dura, le scrivo che in fondo anche lei, messa di fronte all’evidenza scritta nero su bianco della replica fra i suoi colleghi antagonisti della censura e dell’arroganza tipiche del Sistema-potere, sceglie di non prendere posizione, di non vedere. E’ facile, le dico, e soprattutto fruttuoso scendere in campo quando c’è da difendere i censurati Vip, dà visibilità mediatica; ma non vedo in lei lo stesso fervore di giustizia di fronte alla censura degli anonimi Marisetta, Salvo, Silvia, Francesco…, o di fronte alla palese violazione della coerenza morale da parte dei suoi amici Marco, Beppe, Milena, con il pericolo per tanti che ne consegue. Così, amica mia, si sceglie la propria appartenenza alla ‘parrocchia’, non l’interesse comune.
(Non mi ha più risposto. Anche l’intervista con la Guzzanti credo si andata a farsi benedire, ma tant’è)

Beppe Grillo.

Del suo essere ‘’compagno di merende’ della Gabanelli (ma anche di molti altri), e della censura che questa condizione ha generato nel suo blog ho già detto. Vi rivelo solo un ulteriore aneddoto assai significativo: una sua cara amica, di nome Valentina, ex studentessa dell’amico Carlo Belli dell’università di Perugia e attiva nel meet up di Losanna, si interessò a Censura Legale, di cui postò il testo integralmente. Ne seguì uno scambio di mail col sottoscritto e la sua iniziativa di sensibilizzare Grillo con una interpellanza personale. Il comico le rispose: “Dì a Barnard che faremo il V2 day anche per lui”. Di questa risposta faccio notare una sola parola: per piuttosto che con. Non con i temi che Barnard porta allo scoperto. In altre parole: se ne stiano a distanza Barnard e ciò che denuncia, che noi lavoriamo anche per lui (sic).

In conclusione, quanto sopra dovrebbe in un pubblico sano destare una profondissima preoccupazione e molte domande. Ma tornando al punto di partenza, ne rimane una fondamentale: come fa un Paese così intriso nel Sistema e anche nell’Antisistema dalla perenne tendenza alla parrocchialità a difendere la libera espressione e ad esprimere una libera informazione?*

Inutile proporre riforme, leggi, invocare esempi esteri di trasparenza. Fra questi ultimi, per citarne uno, la britannica BBC è perennemente menzionata. E allora diamo una breve occhiata a come è gestita la BBC e da chi. Il suo CDA si chiama BBC Trust; la sua dirigenza è la Executive Board. Il BBC Trust è nominato dalla Regina su consiglio dei ministri del governo. La Executive Board (16 direttori e direttore generale) è interamente nominata o approvata dal BBC Trust. Riflettiamo: tutta l’emittente pubblica britannica, esempio mondiale di indipendenza e qualità, è gestita a cascata da un monarca e dai suoi ministri, attraverso lo strumento del BBC Trust che di fatto controlla tutto quanto è sotto di lui. Un monarca, e dei politici oltre tutto neppure di maggioranza e opposizione, ma solo di maggioranza. E dov’è dunque il tanto celebrato sbarramento alla potenziale lottizzazione e manipolazione della Tv pubblica inglese? Non c’è, o meglio, c’è e si chiama ‘sono inglesi’, tutto qui. Infatti, basta immaginare il trasferimento di un simile sistema di controllo nel sottobosco corrotto e bizantino della nostra Italia e capite benissimo perché in queste righe io insisto sul punto imprescindibile: non va cambiata l’informazione, vanno cambiati gli italiani.

* (e cosa sarà di Canale Zero di Giulietto Chiesa se prima non affronteranno il pericolo ‘parrocchia’?)


Cos’è informare. Cosa fa un giornalista.

Ve lo diciamo noi. Ogni pomeriggio dell’anno i direttori di testata, i caporedattori e giornalisti assortiti si riuniscono e decidono cosa raccontarci il giorno seguente (quotidiani), la settimana entrante (periodici), la sera stessa (Tg). Sul tavolo delle redazioni giacciono pile di notizie, principlamente sotto forma delle cosiddette ‘agenzie’ (dispacci delle agenzie di stampa), ma anche fatti raccolti in ogni modo immaginabile, gossip, segnalazioni, e di rado qualche inchiesta. Dopo alcune ore l’80% di tutta quella roba viene scartato, e il rimanente 20% viene eticchettato in ordine di importanza: titolo d’apertura per questo… questo in evidenza… quello meno… quell’altro solo un accenno, e così via. I criteri di questa selezione e attribuzione di visibilità li sapete bene, sono spessissimo vergognosi, inutile qui ricordarli o ricordare chi li detta (dall’esterno delle redazioni). Ma ciò che è assurdo in tutto questo non è tanto la vergogna dei criteri sopraccitati, quanto il fatto che si dia per scontato nel giornalismo attuale che informare significhi selezionare notizie e offrirle ai cittadini. Questo non è informare. Informare correttamente è invece solo questo: pubblicare, nei limiti degli spazi fisici delle testate, tutte le notizie possibili, il maggior numero possibile. Punto. La selezione di ciò che è importante, e dunque a cosa dare il titolo in evidenza, la farà il cittadino nella sua testa leggendo o guardando le notizie. Ciascuna persona, nella sua libertà di pensiero e facoltà di discernimento, cioè protagonista dell’informazione, farà i propri titoli a caratteri cubitali sul giornale o i propri titoli di apertura del Tg, che di conseguenza nei quotidiani e nei telegiornali dovrebbero scomparire. Ma per potere fare ciò, le persone devono poter avere tutte le notizie che è possibile dare nei limiti delle 24 ore, e non una striminzita cernita precotta e opportunamente enfatizzata rifilatagli ogni santo giorno come l’omogeinizzato al bambino.
I direttori e le redazioni dovrebbero solo verificare l’attendibilità delle fonti delle notizie, e scartare solo ciò che palesemente incita alla violenza, palesemente diffama o palesemente falsifica la realtà. E sottolineo palesemente. Lo spazio per le idee del direttore, delle firme di prestigio, o dell’editore (e dei loro refrerenti inevitabili) dovrebbe essere quello della pagina delle opinioni, o degli editoriali Tv. Parimenti, uno spazio va riservato alle inchieste, saggi ecc. Ma oltre a ciò, la discrezionalità dei giornalisti non dovrebbe esistere. Questi dovrebbero essere i limiti del mestiere di chi pubblica notizie.

Utopia? Mi interessa poco. Di fatto informare dovrebbe essere questo, cioè raccontare al cittadino quello che lui/lei non può conoscere, tutto quello che lui/lei non può conoscere. Non vedo l’alternativa.

Compagni di merende. Il mestiere del giornalista, in Italia più che altrove, è anch’esso male interpretato. La più bella definizione di cosa significhi fare il nostro mestiere l’ho sentita anni fa da una giornalista straordinaria, l’israeliana ebrea Amira Hass. Disse: “Il nostro compito principale è di monitorare le fonti del potere”. Semplice e cristallino.
Monitorare le fonti del potere significa scandagliarne quattro primariamente: le tre della notissima suddivisione di Montesquieu – esecutivo, legislativo e giudiziario – e l’ultimo arrivato, il quarto potere, cioè proprio l’informazione. Per fare ciò, il giornalista necessita di una dote sopra a tutte: saper essere un professionista solo. Significa essere un libero battitore, capace di guardare e se necessario criticare a 360 gradi tutto e chiunque, e cioè gli sconosciuti e i distanti, ma anche i conosciuti e i compagni di strada. In particolare questi ultimi, perché è proprio all’interno del proprio cortile di casa (o ‘parrocchia’) che spesso si annidano i misfatti più difficili da snidare. Ne consegue appunto che il giornalista non deve mai far comunella con alcuno, con i politici, con i magistrati, con i colleghi ecc., e deve tenersi da tutti a debita distanza.
Invece in questo Paese la norma è che i giornalisti facciano ‘parrocchia’ con altri ‘compagni di merenda’, che siano visti a cena con legislatori, in vacanza con industriali o con giudici, allo stadio con amministratori pubblici, ai dibattiti a braccetto coi magistrati, ai convegni coi banchieri, e che se ne vantino. Capita in Italia di vedere dilagare la banda dei quattro col comico, il politico, il cronista e il manager occulto che fanno e disfano mischiando deplorevolmente giornalismo, politica, attivismo, business, manipolazione di massa col codazzo di altri volenterosi giornalisti; capita che un direttore di giornale si vanti dell’amicizia personale con l’ex presidente del Senato grazie alla cui firma il suo quotidiano esiste, in un incredibile conflitto d’interessi; capita che la nota firma di prestigio saltelli con disinvoltura dentro e fuori dai poteri che dovrebbe monitorare, parte PR man-manager-affarista, parte diplomatico-lacché di potente famiglia, e poi di nuovo giornalista, tutto in uno; capita che giornalisti e magistrati si abbraccino a tal punto da sfondare nell’ambito del movimentismo, quasi ci si aspetta di vederli fare picchetti e volantinaggio di fronte ai palazzi di Giustizia. Alla faccia dei checks and balances che la tradizione anglosassone ci ha così opportunamente tramandato. Essere ‘compagni di merenda’, gemelli combattenti, amici degli amici, cordata di colleghi, commilitoni addirittura, è la norma qui da noi nel giornlismo.

Insomma, tutto ciò è grottesco. E nessuno lo nota più. E’ una mischia ormai fuori controllo.

Ma così, chi controlla più chi?


In concreto.

Per dare una pennellata di decenza all’informazione italiana occorre prima di ogni altra cosa puntare il dito sull’informazione che ogni giorno i cittadini di questo Paese si scelgono, e dire a gran voce che non vi è soluzione di continuità fra ciò che noi italiani siamo e i media che abbiamo.

Il lavoro è di ordine epocale, cioè dimenticarci per un attimo delle Caste e metterci davanti allo specchio con vergogna. E avere il coraggio di vedere nei contorni delle nostre fattezze quegli spicchi di Berlusconi, Mieli, Riotta, Lerner, Del Noce, Petruccioli, Ricci, Costanzo, Chiambretti e Sgarbi – e con essi anche tutte verruche nascoste della compagine dell’Antisistema – che emergono dal nostro derma.
Dobbiamo dunque recuperare il senso della nostra importanza di persone, la nostra autostima, e poiché importanti e dunque ciascuno di noi primo cittadino della vita pubblica, dobbiamo decretare inammissibile in noi stessi l’essere meschini, omertosi, disonesti, pigri, accomodanti, egoisti, qualunquisti, bugiardi, indifferenti. Inammisibile cioè che lasciamo scorrere il peggio sotto i nostri occhi senza intervenire, senza pretendere che ciò non accada. Intervenire e pretendere, tutti noi, indipendentemente dallo status sociale o dalla cultura, e dunque cambiare il nostro mondo, la politica e l’informazione.

Un percorso lungo e difficilissimo, lo so. Ma in Italia da qualche anno si era formata una Società Civile Organizzata che prometteva bene. Si trattava di una miriade di organizzazioni con al seguito schiere di cittadini attivi potenzialmente capaci di formare un esercito di creatori di consenso in grado proprio di aiutare gli italiani a fare ciò che ho appena descritto – aiutare, lo ripeto, chi non ha il tempo, il denaro, l’autostima per informarsi, per capire, per intervenire; aiutarli a fare quelle tre cose affiché un giorno si riescano a mettere al centro, a sentirsi imprescindibili e infine a cambiare questo Paese. Se questo esercito avesse lavorato diligentemente, pazientemente, capillarmente, e soprattutto orizzontalmente, avremmo visto in Italia un inizio di cambiamento verso una cittadinanza onesta, consapevole e capace di partecipare. Capace infine di spazzar via ogni Casta politica o mediatica, poiché le Caste sono solo il riflesso di una cittadinanza disonesta, inconsapevole e incapace di partecipare. Sarebbe stato il primo passo verso il goal di cui sopra. Era una promessa, l’unica rimasta.
Invece altro è accaduto, purtroppo. La Società Civile Organizzata si è voluta munire di Guru, Personaggi, Star, in tutto e per tutto replicando le strutture verticali e vippistiche del Sistema massmediatico commerciale. L’ipertrofismo di questi nuovi Guru, come ho già scritto in passato, ha finito per annullare ancor più la capacità di azione dei singoli cittadini attivi, rendendoli dipendenti dal carisma, dalle proposte, e dalla presenza di quelle Star. Infatti oggi in assenza del carisma, della presenza e delle indicazioni di quei Guru pochissimi cittadini agiscono, e all’indomani della feste di piazza, delle serate col personaggio o delle manifestazioni, poco o nulla accade.
Per cambiare questo stato di cose, per cioè riportare i cittadini attivi all’essenziale ruolo di formatori di consapevolezza nei milioni di cittadini passivi, dovrebbe idealmente accadere che i primi si scuotessero dal torpore e dall’adorazione acritica dei loro Guru. Lo auspico.

Nel frattempo però codesti divi dell’Antisistema potrebbero dare una mano compiendo un atto di responsabilità che sarebbe storico, in particolare nell’ambito proprio dell’informazione e di come essa va ottenuta da parte del cittadino. Lo sintetizzo in una battuta: devono sgonfiare se stessi e aiutare le persone a ingrandirsi.

La prima cosa che questi ipertrofici personaggi dovrebbero fare è di restituire alla gente il potere di informarsi. Lo si fa innanzi tutto incoraggiandoli a coltivare l’abitudine al dubbio, ovvero il dubbio che ciò che gli stessi Guru scrivono o proclamano possa essere parziale, miope, sbagliato, addirittura manipolatorio. Il messaggio di apertura nel rapporto col loro pubblico dovrebbe sempre essere: siamo solo fonti di notizie, non oracoli, ascoltateci, ma a debita distanza, fra le tante altre fonti che ascolterete. Così facendo restituirebbero al pubblico il suo ruolo di protagonista che deve farsi la verità da solo, e non apprenderla pedissequamente da un Personaggio visto come un Vate. Si comincia così. Poi ci si rifiuta di fare i Vday, di avere i megablog, di essere fissi in prima serata Tv come Guest Stars, di fare il club esclusivo dei divi antagonisti, di pavoneggiarsi nelle pagine delle opinioni di riviste patinate, e si dismette interamente quell’abito da eroi della nuova resistenza che così tanti vestono oggi con orgasmo. Gli odierni divi della controinformazione dovrebbero lavorare proprio per ottenere che il pubblico non si relazioni più col giornalista Personaggio/divo/esperto, ma che lo veda sempre come un suo piccolo consulente di informazioni fra i tanti. Per far comprendere a chi legge quale dovrebbe essere l’atteggiamento esteriore e interiore di una cittadinanza sana nei confronti di chi li informa, chiuque egli/ella sia, vi chiedo di immaginare come il top management di un gigante industriale – per es. la Microsoft Corporation – si relazionerebbe con un loro consulente. Lo convocherebbe, gli direbbe senza troppe storie “Prego si faccia avanti, ci dica”, lo ascolterebbe e poi “Bene, grazie, si accomodi”. Punto. E il consulente saluta e si mette da parte piccolo e secondario, per lasciare ai manager l’importante compito esecutivo. Ora, un pubblico di cittadini sani dovrebbe sentirsi come il management, cioè al centro del potere e delle decisioni, e gli odierni giornalisti/divi/esperti si dovrebbero ridurre al ruolo del consulente. Questo dovrebbero fare i Travaglio, Guzzanti, Grillo, Barbacetto o Gomez ecc.

Oggi purtroppo accade l’esatto contrario: il giornalista/divo/esperto troneggia, sentenzia e lancia il diktat, e il pubblico piccolo piccolo lo adora, lo ammira, e peggio, si raggruppa in fans club e ‘parrocchie’ dal seguito quasi sempre acritico. Ed è tristemente emblematico che l’immaginario colloquio che ho sopra descritto sia nella realtà di oggi esattamente il modo in cui, al termine della serata-dibattito con l’esperto/divo, viene invece accolto il pubblico quando chiede timidamente la parola: “Prego si faccia avanti, ci dica”, e poi “Bene, grazie, si accomodi”, cioè torni piccolo piccolo.

In questo modo la gente è solo sospinta a rimanere secondaria, cioè si annulla e non crescerà mai. Così l’Italia non cambierà mai. L’informazione italiana meno che meno.

Paolo Barnard


1) http://www.beppegrillo.it/2008/05/in_memoria_del_giornalista_beppe_alfano.html)

2) Corriere della Sera, venerdì 16/5/2008

3) http://www.disinformazione.it/lettera_paolo_barnard.htm

4) Ripartire dal basso (subito). Centrofondi.it – L’economia per tutti. 21 sett. 2007

5) http://www.hrw.org/backgrounder/asia/afghan-bck1005.htm Military Assistance to the Afghan Opposition, Human Rights Watch, Ott. 2001

6) http://www.greenleft.org.au/2003/556/29437 John Pilger: Bush's `war on terror' is a cruel hoax, 1 Ott. 2003, Green Left Online

7) http://www.disinformazione.it/lettera_paolo_barnard.htm

8) http://www.disinformazione.it/censura_legale.htm

9) http://polinux.altervista.org/index.php

10) Il business della diffamazione. Giovanna Corrias Lucente, Micromega, 29-06-2007