L'acqua prelevata dal Sinni per l'acciaio Ilva - di Monica Capo

Mentre nel mondo più di un miliardo di persone vivono senz'acqua potabile, l'Ilva di Taranto si permette il lusso di usare l'acqua potabile prelevata dal Sinni per raffreddare l'acciaio.
 
Si era proposto, mesi fa, di sostituire nell'impianto industriale l'acqua destinata al potabile, prelevata dal Sinni, con quella super affinata proveniente dall'impianto Gennarini Bellavista di Taranto: un'ipotesi questa, formulata dalla Regione Puglia, che avrebbe potuto dare un contributo per la risoluzione dell'emergenza idrica che, in alcuni periodi dell'anno, caratterizza la provincia del capoluogo ionico.
 
Lo stabilimento siderurgico, infatti, fino al 2006 prelevava circa 800 litri di acqua al secondo, poi scesi a 600 litri, da un paio d'anni ridotti a 250 litri.

L'Ilva, però, per l'utilizzo dell'impianto Gennarini Bellavista avrebbe dovuto pagare un compenso all'Acquedotto Pugliese gestore della struttura e ha, quindi, rispedito al mittente la proposta manifestando la sua volontà di continuare ad usare per la sua attività industriale l'acqua potabile proveniente dal Sinni.

A questo punto, l’assessore ai Lavori pubblici, Fabiano Amati, ha chiesto un incontro al governatore lucano Vito De Filippo per chiedere di abbassare il costo per gli usi civili dell’acqua a discapito di quelli industriali, ovvero soprattutto dell’Ilva che, secondo Amati, gestisce questa partita «con il piglio dei padroni medievali piuttosto che quello degli illuminati imprenditori moderni».

Ed e’ davvero troppo per una città che soffre già l’oppressione della grande industria, e paga in termini di inquinamento, malattie e morti sul lavoro.

Non va dimenticato, che i vertici dell’Ilva sono indagati, ed è la prima volta che accade, per disastro ambientale, sulla gestione delle polveri: le indagini della procura di Taranto sono state avviate dopo l'accertata contaminazione di animali e sostanze alimentari a ridosso della zona industriale di Taranto.

Referendum: dov’è il popolo delle piazze e dove sono gli intellettuali? - di Emilio Molinari




Il 12 e 13 giugno, circa 50 milioni di italiani dovrebbero recarsi alle urne per il referendum sull'acqua pubblica e contro il ritorno del nucleare. Per impedire il quorum il governo ha negato l'election day, per il solo voto di un radicale e l'assenza di 10 parlamentari del centro sinistra. 300 milioni spesi per evitare il quorum. Teme di dividersi al proprio interno, mentre centinaia di realtà di questo partito si stanno esprimendo e si impegnano per i Sì!

Ma ciò che più mi preoccupa è il silenzio e l'indifferenza per i referendum, mostrata finora da una parte di quel popolo capace di mobilitarsi, di indignarsi e di scendere in piazza e da parte di quegli uomini e donne che per ruolo pubblico e mediatico sono in grado di dare impulso ai messaggi. Per questo popolo i referendum sull'acqua pubblica e il nucleare, malgrado la drammatizzazione che quest'ultimo ha avuto con la centrale nucleare in Giappone, sembrano ancora lontani dall'essere compresi nella loro portata e immediatezza politica.
Solo il «Via Berlusconi» coniugato di volta in volta da indignazioni per gli attacchi alla Costituzione, alle donne, alla giustizia ecc... sembra appassionare questo popolo e spingerlo a mobilitarsi in milioni.

Donne, intellettuali, attori, cantanti, giornalisti, associazioni d'ogni tipo sono pronti ad unirsi per il «Via Berlusconi», ma poi sui contenuti tornano al proprio particolare. Non è politica questa, forse indebolirà il personaggio, ma non la cultura di massa che lo esprime e soprattutto, permettetemi, ci rende indifferenti ai contenuti capaci di incidere nella cultura dominante, che tra pochi mesi saremo chiamati tutti al voto referendario e che vincere o perdere non riguarda solo i promotori.

Ma è una grande opportunità per cambiare come cittadini, la politica di questo paese e non solo. Un mese fa al Palasharp di Milano erano presenti Saviano, Eco, Zagrebelsky il meglio della cultura italiana... ma solo Paul Ginsborg ha parlato di acqua e di referendum. Per tutti gli altri, l'agenda politica reale, lo scontro concreto, sembrava non esistere e continua a non esistere. Nelle straordinarie manifestazioni delle donne nessuna delle organizzatrici ha parlato di nucleare o di acqua, eppure l'acqua è la vita, è la madre, è la donna. L'acqua è, più d'ogni altra questione, in grado di incidere nella cultura berlusconiana o leghista, eppure il nucleare si è riproposto con tutta la sua tragica attualità.

La manifestazione per l'acqua pubblica e il nucleare a Roma il 26 marzo, è stata grande, bella, intelligente, ma non è stata dell'ampiezza di altre in particolare di quella delle donne e non ha avito la benedizione di questo movimento o dei grandi personaggi, a parte Celentano. Perché? Il mio sconcerto sta qui. E continuerò a chiedere a Saviano o a tutti agli altri intellettuali il perché del loro silenzio, come continuerò chiedere alle donne che pure considero l'interlocutore principale per i referendum, perché tanta indifferenza per i grandi problemi di questo nostro tempo? Problemi di oggi, universali, per i quali la nostra generazione è chiamata a decidere e a rispondere per le generazioni future.

I referendum e le profonde motivazioni che li determinano, sono una battaglia che va ben al di là delle nostre miserie nazionali, non cercano consenso ad un partito o ad uno schieramento, vanno ben al di là della privatizzazione di un servizio, l'aumento di una tariffa o l'idiozia della crescita energetica che motiva il nucleare. Parlano della vita. L'indignazione per Berlusconi è cosa sana, ma non rimescola le carte, non sposta consensi, non è capace di ridare alla politica l'idealità e il senso, perduto, dell'interesse pubblico.

Il testamento del 93 enne partigiano francese, Stephan Hassel, ultimo vivente degli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ci dice: indignatevi! per i perduti diritti universali alla vita, alla salute, alla scuola, alla pensione, per la svendita dei beni comuni. Diritti trasversali. Capaci di rispondere al vuoto dei partiti e rompere quegli interessi che bloccano e logorano come un cancro la politica italiana e mondiale.

La percezione è di essere sull'orlo di un abisso. La crisi finanziaria in Europa scarica 4 trilioni di euro sul debito pubblico per salvare le banche, taglia la spesa pubblica e privatizza. La crisi economica non può più essere affrontata con il rilancio dei consumi, perché vengono meno le risorse e il nucleare esplode in mano agli apprendisti stregoni. La crisi energetica e la crisi idrica si alimentano tra loro e generano la crisi alimentare che investe miliardi di persone e di cui si intravvedono già gli effetti catastrofici nelle migrazioni, nelle rivolte, nelle guerre.

Ebbene i referendum affrontano questo ordine di problemi. Chiamano tutti alla materialità delle questioni e al pari tempo all'etica, alla spiritualità dei beni comuni, al senso di comunità. I referendum non sono di un partito, non sono nemmeno di sinistra, indicano che abbiamo superato il «limite». Il referendum per l'acqua pubblica è chiesto da 1,4 milioni di persone, che trasversalmente per una volta tanto non parlano con la voce della «pancia» e dell'egoismo, ma con quella degli interessi generali, collettivi. Non parla in odio ai partiti, li richiama alla responsabilità di gestire la cosa pubblica. Chiedono loro di smetterla di rinunciare a fare politica e di consegnarsi al mercato. E a tutti chiedono di andare a votare, perché questa volta si vota per noi stessi e che... la libertà è partecipazione.

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