L'acqua, per tutti


Per salvare l'acqua viva
RICCARDO PETRELLA


dal manifesto di martedi 4 luglio 2000

Oggi, parlare d'acqua equivale a parlare di tre realtà fondamentali, strettamente correlate: il diritto alla vita, il bene comune, la democrazia. Diritto alla vita, perché ci sono nel mondo circa 1.680 milioni di persone che, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, non hanno accesso all'acqua potabile, con tutte le conseguenze immaginabili per la salute ed altre attività umane d'importanza vitale. Per chi è privo di questa risorsa, il diritto alla vita non è garantito. Inoltre, una persona su tre al mondo non ha accesso ai servizi sanitari e una persona su due non gode di alcun servizio di trattamento delle acque reflue. Ciononostante, ci definiamo una civiltà sviluppata, la civiltà della mondializzazione, orgogliosi di aver creato una nuova economia, ad alta intensità tecnologica, basata sulle conoscenze e sul sapere.
Il diritto alla vita per tutti va riaffermato perché nel contesto attuale di crescente mercificazione (tutto é ridotto a merce, persino il corpo umano, i nostri geni; per non parlare dei rapporti sociali, delle attività culturali, del mondo della natura) esso viene sempre più condizionato dalle logiche dell'economia capitalista di mercato. Le varie forme e fonti di vita sono oramai l'oggetto sistematico d'appropriazione privata grazie alla generalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale, diventati lo strumento principale della privatizzazione del mondo. In altri termini, l'acqua rivela, in modo drammatico, lo stato attuale massiccio, insopportabile, d'esclusione dal diritto alla vita per centinaia di milioni d'esseri umani. Se le cose non cambiano è più che probabile che tra venti anni, quando il mondo sarà popolato da otto miliardi di esseri umani, i 1.680 milioni che non hanno accesso all'acqua potabile diventino 3 miliardi, se non di più. E' un "futuribile" inaccettabile.
La seconda realtà concerne l'attuale sparizione dell'acqua in quanto bene comune. Considerata sempre più come un bene economico da sottomettere alle regole degli interessi privati dei produttori, dei distributori, dei gestori dei servizi, dei consumatori, l'acqua sta per uscire in un numero crescente di paesi dal campo della res publica, dei beni comuni, dei servizi pubblici per far parte della categoria dei beni privati. Le nostre società stanno dimostrando di non avere più la voglia di essere fondate ed organizzate sulla base di beni e servizi comuni.
Avendo privatizzato quasi tutto (i telefoni, i trasporti, gli ospedali, la televisione, le banche, le assicurazioni, l'energia...) esse non hanno più gran ché in comune. Ora, più i membri di una comunità umana hanno poco da condividere, meno essi formano una società coesiva. La ricerca dell'interesse generale non figura più come principio fondatore e ispiratore del vivere insieme. Quel che conta è massimizzare l'interesse particolare dei più competitivi, dei più forti. Il giorno in cui l'acqua dovesse cessare d'essere considerata un bene comune appartenente a tutti i membri della società, non bisognerà stupirsi se le società saranno logorate dal virus dell'individualismo a oltranza e da conflitti interni duri tra gruppi sociali e territori in lotta attorno a usi alternativi, competitivi, dell'acqua, escludenti gli interessi degli altri.
Finora, anche se l'acqua non è stata vista come un bene comune patrimoniale appartenente all'umanità, essa è stata considerata e vissuta come un bene "nazionale", appartenente alla comunità" nazionale", rappresentata dai poteri pubblici statali. L'assenza di una cultura dell'acqua come bene comune mondiale spiega perché l'acqua è stata e sta diventando oggi una delle cause principali di accentuazione, in un numero crescente di paesi, di conflitti fra nazioni, fra Stati. A causa della rarefazione dell'acqua qualitativamente soddisfacente nella quantità voluta (l'inquinamento e l'aumento della popolazione figurano fra i fattori esplicativi), gli stati utilizzano l'acqua come uno strumento geopolitico ed economico al servizio delle loro strategie di potenza. Il caso della Turchia è a questo riguardo molto eloquente rispetto alle popolazioni curde ed ai paesi limitrofi quali la Siria e l'Iraq. E' tempo, se si vuole promuovere una pratica di coesistenza, del co-sviluppo e della co-determinazione a livello internazionale continentale e mondiale, di definire un diritto mondiale dell'acqua, fondato sul principio che l'acqua appartiene all'umanità e non ai singoli paesi, e di riconoscere che tocca alle popolazioni che abitano sullo stesso bacino idrico di gestire in maniera solidale e cooperativa il bene comune.
Terza realtà, infine, la democrazia. L'acqua rivela in maniera brutale il fatto che noi viviamo in una società sempre meno, o non ancora, democratica, capace cioè di gestire il diritto alla vita su basi collettive e partecipative. In Gran Bretagna, o in Francia, si è accettata la gestione dell'acqua da parte di società private la cui logica è dettata dal tasso di rendimento degli investimenti (il rendimento medio attuale in seno ai paesi sviluppati é del 15%). Quando invece è ancora coinvolta l'autorità pubblica, il più delle volte si tratta di una gestione tecnocratica, inefficiente, corrotta, che giustifica e dà forza agli argomenti di gruppi e forze sociali favorevoli alla privatizzazione.
La gestione dell'acqua è una questione di democrazia. Non è un problema di competenze tecniche, proprie a ingegneri, idraulici, chimici, esperti contabili. Essa è soprattutto un fatto della comunità locale (la città, la regione, il bacino idrico...) Esempio concreto: il prezzo. Il prezzo dell'acqua obbedisce sempre di più a logiche di mercato. L'esperienza britannica e francese dimostra che il prezzo di mercato non è lo strumento migliore per assicurare a tutti l'accesso all'acqua, nella maniera la più efficace sul piano dell'economia pubblica locale e "nazionale" e dello sviluppo "sostenibile" della democrazia locale. Nei Paesi Bassi, nelle Fiandre, nel Quebec, sta emergendo l'idea che tocchi alla collettività di sobbarcarsi del finanziamento dei costi necessari per assicurare a ogni cittadino l'accesso al minimo vitale (calcolato in 50 litri al giorno e 1700 metri cubi all'anno a persona). Il costo per garantire la captazione, l'epurazione, la restituzione, il mantenimento, il trattamento delle acque reflue di questo minimo vitale deve essere un costo collettivamente condiviso. Al di là del minimo vitale, spetta al cittadino pagare l'acqua utilizzata in rapporto progressivo al consumo.
Un approccio democratico alla gestione dell'acqua comporta il finanziamento collettivo dei costi associati alla provvisione e distribuzione del minimo vitale (in quantità e qualità) attraverso la tassazione e una spesa pubblica redistributiva. Ma come si può applicare un tale principio a livello mondiale? Attualmente, le grandi compagnie private riforniscono 300 milioni di persone. Esse prevedono di dare acqua nel 2015 a 1650 milioni di persone. A più lungo termine, si ipotizza che quattro-cinque grandi reti di imprese private multi-territoriali e multi-servizi potranno gestire, sulla base di appalti e subappalti, l'insieme dei servizi idrici attraversoil mondo. Perché ciò che sembra essere possibile al privato dovrebbe essere impossibile ai poteri pubblici? Una gestione mondiale pubblica di una ricchezza comune come l'acqua è, dunque, non solo auspicabile ma soprattutto possibile.
L'idea di un Contratto Mondiale dell'Acqua consiste precisamente nel riconoscere la necessità, la pertinenza e la possibilità di una visione e di una pratica democratiche della gestione del diritto alla vita per gli 8 miliardi di persone che abiteranno il pianeta nel 2O2O. La creazione di parlamenti dei bacini (fra i 442 principali bacini fluviali nel mondo, tutti, tranne due, sono binazionali o plurinazionali) rappresenta un passo importante sul cammino della creazione di istanze e strutture necessarie per favorire la partecipazione delle popolazioni alla gestione democratica dell'acqua nell'interesse comune.

Oro blu per tutti
E' nato in Italia un Comitato contro il tentativo di "petrolizzare" l'acqua, bene pubblico mondiale

"Nel prossimo secolo le guerre scoppieranno per l'acqua, non per il petrolio o per motivi politici", sostenne nel 1995 Ismail Serageldin, vicepresidente della Banca mondiale. Su sei miliardi di esseri umani nel mondo, il 25% non ha accesso all'acqua, cioè circa 1 miliardo e mezzo di persone. Chi ha denaro paga questo "diritto alla vita", che agli altri viene negato. Per contrastare il tentativo di petrolizzare l'acqua è nato il Comitato Italiano per il Contratto Mondiale per l'Acqua, promosso dal Cispi con l'adesione del Coordinamento degli Enti locali per la Pace, l'Associazione culturale Punto Rosso, e diverse personalità in rappresentanza di sindacati, di centri di ricerca, di fondazioni, Ong, oltre a esponenti del mondo culturale, ambientalista e della cooperazione internazionale.
Il principio affermato dal Comitato è che l'acqua è un diritto e che nei paesi più poveri coincide con il diritto alla vita. Attualmente invece l'intesa tra governi, la Banca mondiale, le organizzazioni internazionali, i tecnocrati e le multinazionali, come Vivendi, Suez-Lyonnais des Eaux o Thames Water, tende a trasformare l'acqua in un business paragonabile proprio a quello del petrolio. La banca svizzera Pictet ha appena lanciato un fondo d'investimento con titoli legati al business dell'acqua, ipotizzando rendimenti eccezionali proprio grazie allo sviluppo del settore privato. A difesa del diritto all'acqua è già stato istituito, per iniziativa dell'economista Riccardo Petrella, il Comitato internazionale per la promozione di un Contratto mondiale dell'Acqua basato sul principio della gratuità. Vi hanno aderito Mario Soares - presidente del Comitato internazionale -, Danielle Mitterand, e si stanno costituendo comitati nazionali in tutto il mondo: sono già attivi in Belgio, Canada, Svizzera, Francia, Stati Uniti, Brasile ... In Italia il Comitato nazionale è stato costituito nel mese di marzo a Milano, e la prima assemblea si è svolta il 17 giugno scorso. Il Comitato italiano ha iniziato una campagna nazionale di sensibilizzazione, Acqua bene comune della umanità che si articola in seminari in 13 città italiane con il coinvolgimento di cittadini, enti locali, associazioni, aziende municipalizzate, scuole. Principali argomenti: il problema dell'acqua a livello mondiale; la realtà locale e l'acqua. Sono previsti inoltre percorsi formativi in 12 città italiane, corsi di formazione per animatori della Campagna, operatori di cooperazione internazionale, con manuali didattici, audiovisivi, Cd-Rom, spot televisivi e pubblicazioni, tra le quali un volume di Riccardo Petrella che sarà pubblicato in autunno. E' già iniziata una raccolta di firme per sottoscrivere anche via Internet il Manifesto dell'Acqua (pubblicato sul sito: web.tin.it/cipsi/acqua), contenente i principi fondamentali per una politica solidale dell'acqua a livello "locale" e mondiale, e cioè: il riconoscimento che l'acqua è anzitutto un bene comune patrimoniale vitale dell'umanità e dell'eco-sistema Terra; l'affermazione che l'accesso all'acqua potabile e sana è un diritto umano e sociale, individuale e collettivo di base inalienabile, e che questo diritto appartiene anche alle altre specie viventi del sistema Terra; la gestione dell'acqua è fondamentalmente un affare dei cittadini, una pratica di democrazia locale, nazionale, internazionale e mondiale. Il momento più significativo sarà la Giornata Mondiale dell'Acqua il 22 marzo 2001 con iniziative in almeno 25 città italiane. La campagna ha l'obiettivo di attivare processi di cambiamento sia al Nord sia al Sud del mondo, favorendo un'informazione non solo di carattere scientifico, ma anche politico e strategico.
La rivista Solidarietà Internazionale del Cispi ha dedicato a questo argomento un Dossier tematico "L'oro blu del XXI secolo", comprendente esperienze dal Sud del mondo (si può richiedere copia gratuita).