Acqua. Berlino dà l’esempio - di Andrea Bertaglio

 Il referendum popolare di domenica scorsa si è chiuso con una vittoria che ha sfiorato l’unanimità: il 98,2 per cento dei cittadini vuole che la Berliner Wasserbetriebe sia gestita esclusivamente dal Comune

Anche a Berlino l’acqua torna pubblica. A deciderlo una consultazione popolare che ha chiesto ai cittadini della capitale tedesca, domenica 13 febbraio, di dire “sì” o “no” alla proposta di togliere la gestione dell’acqua ai privati. 
 
Se in Italia si deve ancora votare sulla questione della privatizzazione dei servizi idrici, e se in una città come Parigi è già stato deciso da parecchio tempo di renderli nuovamente pubblici, oggi anche Berlino ha deciso che non si possono più associare speculazioni e profitti ad un bene di primaria importanza come l’acqua. I berlinesi hanno infatti votato “sì” al referendum per l’annullamento della privatizzazione parziale della società di gestione dei servizi idrici. Una vittoria a dir poco schiacciante: su oltre 678.000 elettori, il 98,2%, ha votato a favore di un’inversione di marcia, rivendicando anche una maggiore trasparenza dei contratti.
 
«Un bene essenziale come l'acqua non può essere fonte di profitto, vogliamo che torni in mano pubblica», ha dichiarato il portavoce del Comitato promotore, Thomas Rodek. E così sarà. Quello del referendum berlinese è stato un trionfo dei sì: ne servivano almeno 616.571, e ne sono arrivati 665.713. Andreas Fuchs, il cassiere del comitato referendario, commenta: «Ci speravo, ma non me l’aspettavo più, vista la scarsa affluenza in mattinata». Ed aggiunge: «È la prova che si può fare molto anche con pochi mezzi». Pochi mezzi davvero, dato che il comitato disponeva di soli 12 mila euro per organizzare tutto: soldi ottenuti interamente da donazioni (mentre gli organizzatori del fallito referendum sulla religione a scuola di due anni fa avevano raccolto centinaia di migliaia di euro).
 
La richiesta riguardava la pubblicazione integrale del contratto con cui nel 1999 la capitale tedesca, cercando di fare cassa, decise di vendere alle società Rwe e Veolia il 49,9% dell’azienda dei servizi idrici comunali, la Berliner Wasserbetriebe. Un contratto di cui solo nel novembre del 2010 i promotori del referendum hanno ottenuto la pubblicazione da parte del municipio berlinese: 700 pagine che illustrano il processo di privatizzazione parziale. Un dossier che mostra come la città abbia garantito alti margini di guadagno alle due imprese interessate, Rwe e Veolia. Che, nell’arco di dieci anni, hanno incassato più utili dell’intera città di Berlino: 1,3 miliardi contro 696 milioni. Ora l’obiettivo del comitato referendario resta quello di riportare completamente la Berliner Wasserbetriebe in mani pubbliche. Evitando possibilmente di replicare quanto successo nella vicina Potsdam, dove, nonostante la società di gestione dei servizi idrici sia stata rimunicipalizzata dieci anni fa, i prezzi hanno continuato a salire. E a far pagare oggi un metro cubo d’acqua più che a Berlino (5,82 euro).
 
In una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno gli italiani si potranno esprimere sul quesito riguardante l'abrogazione del decreto Ronchi, col quale nel 2009 è stato sancito che il servizio idrico non potrà più essere gestito da società pubbliche, ma solamente affidato a società che sono o totalmente private, o possedute da privati per almeno il 40%. Il secondo quesito riguarda invece la cancellazione del “Codice dell'ambiente”, una norma che prevede una quota di profitto sulla tariffa per il servizio idrico, la cosiddetta "remunerazione del capitale investito". 
 
Secondo i detrattori italiani dei referendum sull’acqua “privatizzare non può che migliorare la qualità dei servizi”. Per i sostenitori del referendum di Berlino, invece, in seguito alla privatizzazione parziale dei servizi idrici comunali i prezzi dell’acqua sono aumentati del 35%, collocandosi fra i più alti di qualsiasi altra città tedesca. A Berlino un metro cubo d’acqua costa 5,12 euro, a Colonia 3,26. Teniamolo ben presente, quando questa primavera ci recheremo a votare. Ce lo ricorda anche Dorothea Härlin, del comitato referendario berlinese, che sottolinea l’importanza internazionale del successo registrato nelle urne il 13 febbraio, ricordando che «non soltanto i berlinesi, ma i cittadini di tutto il mondo si battono per l’acqua».
 

Perché dobbiamo opporci all´acqua privatizzata - di Carlo Petrini


Salvare l’acqua pubblica anche per salvare la terra.
"Fiumi battete le mani", ha commentato Padre Zanotelli quando ha saputo che i quesiti referendari contro la privatizzazione dell´acqua erano stati accolti. «Cittadini, battiamo un colpo», mi viene da dire dopo aver osservato per giorni la pressoché totale indifferenza di media e politici su questo tema.

La campagna referendaria è iniziata, ma non ce ne siamo accorti perché siamo insabbiati in questa politica di piccolissimo cabotaggio, che rema a fatica da una notiziola giudiziaria all´altra. Non è un caso se tra i quesiti referendari l´unico che ha avuto dignità di stampa è quello che chiede l´annullamento della legge sul legittimo impedimento.
Ma, come diceva Einstein, non possiamo pensare di risolvere i problemi con la stessa mentalità con cui li abbiamo creati. Abbiamo creduto che il mondo della politica fosse interamente e costantemente al servizio del bene pubblico. Quella politica ha prodotto una norma inaccettabile, che addirittura dimentica alcune leggi fondamentali del tanto amato libero mercato.

Sì, perché nel libero mercato si deve essere liberi di vendere ma anche di comprare. Le due controparti (la domanda e l´offerta) si possono influenzare reciprocamente, stanno in una sorta di rapporto paritario, o per lo meno presunto tale. Se tu alzi troppo i prezzi io non compro, e quando vedrai che nessuno compra allora abbasserai i prezzi. Questo può succedere solo se tu sei libero di vendere e io sono libero di comprare. Ma se tu possiedi qualcosa di indispensabile per la mia stessa esistenza, allora la mia libertà di acquistare non esiste. L´acqua, l´aria, le sementi, la salute, l´educazione, la fertilità dei suoli, la bellezza dei paesaggi, la creatività.... non possono essere assimilate alla categoria delle merci.

Il diritto necessita di nuovi paradigmi per gestire i cosiddetti "beni comuni". Se i beni comuni diventano proprietà di qualcuno, tutti gli altri, ad esclusione di quel "qualcuno" ne avranno un danno, la loro vita sarà in pericolo.

Ora, siamo a questo punto: esiste una norma che rende privatizzabile l´acqua e con quei referendum la possiamo cancellare. Occorre però che vadano a votare almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto. Nelle ultime elezioni politiche gli aventi diritto erano circa 47 milioni. Mal contati, occorre che circa 25 milioni di cittadini italiani, si rechino a votare.

Ma prima di tutto questo occorre che siano informati, che sappiano dove informarsi, che si rendano conto che siamo nel bel mezzo di una campagna referendaria fondamentale. A chi affidiamo questo incarico? Quella che ha prodotto la legge sulla privatizzazione? Oppure all´informazione, quella che si lascia trascinare nelle sabbie mobili della politica? Occorre iniziare a far da noi. "Uscirne da soli – diceva don Milani – è l´avarizia. Uscirne insieme è la politica". Ecco, usciamone insieme da questo pantano, e creiamo, in ogni città, un nuovo soggetto politico, che faccia da punto di riferimento per la difesa dei beni comuni e l´informazione che li riguarda. Oggi lavorerà sull´acqua, ma le emergenze non scarseggiano: dalla cementificazione dilagante alle polveri sottili nell´aria alle lapidi fotovoltaiche sui campi fertili, dalle scuole senza carta igienica alle strade piene di immondizia.

La politica dei partiti non ce la fa. Non ha strumenti né energie, in questo momento, culturali o intellettuali, per una simile rivoluzione. Occorre che i cittadini si attivino. Senza bandiere, né raggruppamenti di sigle: non importa a nessuno sapere che berretto abbiamo sulla testa, importa sapere che pensieri abbiamo dentro la testa e che azioni sappiamo produrre. Chiamiamola Azione Popolare, come suggerisce Settis nel suo libro "Paesaggio, costituzione, cemento" (Einaudi), o in qualsiasi altro modo. Ma sbrighiamoci, perché abbiamo bisogno di queste nuove strutture, leggere, puntuali, attente, legate ai municipi, alle parrocchie alle bocciofile, non importa: basta che coagulino persone che agiscano come presidi di cervelli e cuori sui territori, nelle grandi città come nei borghi. Oggi si diano da fare per far sapere a tutti di cosa si sta parlando quando si parla di acqua pubblica, quali valori sono in gioco, quali pericoli sono in agguato.

Il comitato promotore dei referendum "Acqua bene comune" ha fatto, finora, i miracoli. Quasi un milione e mezzo di firme raccolte e due quesiti su tre passati è un risultato straordinario. Adesso i territori si mobilitino, fino a quando non avremo la certezza che 25 milioni di italiani sono andati a votare: altrimenti i referendum non saranno validi. Poi, statene certi, quelle strutture non resteranno senza lavoro. Lo dico con un po´ di tristezza, perché in un mondo ideale non dovrebbero avere nulla da fare. Ma siamo nel mondo reale, e c´è tanto lavoro da fare perchè diventi il miglior mondo possibile.


mineracqua, quando la pubblicità è ingannevole

In anteprima, il contenuto della sentenza del Giurì contro lo spot istituzionale degli industriali delle acque minerali

C’ha provato, Mineracqua, ma è stata colta in fallo. Se non vedete più su quotidiani e periodici la pubblicità istituzionale della federazione nazionale delle aziende che imbottigliano e vendono acqua minerale, infatti, non è perché sono finiti i soldi.
 
È stato il Giurì di autodisciplina pubblicitaria (www.iap.it) a “bocciare”, giudicandolo ingannevole, il contenuto dello spot, il cui claim era “Acqua minerale. Molto più che potabile” e il cui messaggio era una (presunta) comparazione tra le caratteristiche delle acque minerali e di quella erogata dagli acquedotti (vedi Ae 121). Una comparazione a senso unico. 
 
Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, intervistato a metà gennaio da Radio 24 in merito alla decisione del Giurì ha spiegato come, a suo avviso, si trattasse di “una decisione politica e non tecnico-giuridica”.
 
Altreconomia ha potuto visionare in anteprima la pronuncia del Giurì (la decisione è stata presa a fine novembre 2010, ma la sentenza non è stata ancora pubblicata), un testo che smonta la “tesi” di Fortuna e fornisce spunti di riflessione in merito al rapporto tra diritto a una corretta informazione e informazione commerciale.
 
Il Giurì, infatti, ha scelto di trattare (e sanzionare) il messaggio pubblicitario tanto nel merito quanto sul metodo. Da un lato scrive che “i quattro aspetti che il messaggio evidenzia quali caratteristiche che accrediterebbero alle acque minerali un grado di sicurezza per i consumatori maggiore rispetto a quello della cosiddetta acqua di rubinetto -sintetizzati dai titoli 'senza cloro', 'senza deroghe', 'senza trasformazioni' e 'senza paragoni'- risultano trattati con una impostazione non corretta, idonea ad ingenerare nel pubblico convinzioni errate e timori non giustificati circa una tendenziale insicurezza delle acque potabili, in particolare per la salute dei fruitori”. In particolare, l'affermazione secondo la quale l'acqua minerale è “solo” bevibile -scrive il Giurì- “ha in sé una valenza spregiativa non giustificabile”.   

Poiché la pubblicità si chiude con la frase “Da un'informazione trasparente nascono scelte libere”, il Giurì ha ritenuto opportuno censurare anche il metodo utilizzato da Mineracqua, secondo la quale la pubblicità era una forma di contro informazione necessaria per pareggiare il conto con le campagne che, come la nostra “Imbrocchiamola!”, “hanno promosso verso i cittadini il consumo di acqua potabile a discapito della minerale imbottigliata”. “L'annuncio, che promette oltretutto una 'informazione trasparente', quasi a sottolineare una carenza di corretta informazione che circonderebbe e proteggerebbe il mondo delle acque di rubinetto, fa così leva sulla enunciazione di dati parziali, o di suggestione, per pervenire al risultato di una comunicazione tendenziosa che getta ombre di potenziale insicurezza, o comunque discredito, sull'acqua erogata dagli acquedotti” spiega il Giurì.    
 
Mineracqua esce così con le ossa rotte dal primo tentativo di pubblicità istituzionale. Ettore Fortuna, cui la bocciatura ha senz'altro dato fastidio, nell'intervista con Radio 24 aveva fatto intendere anche che l’azione presso il comitato di controllo sia stata promossa da alcuni enti locali, con riferimento in particolare al Comune di Milano. Niente di più sbagliato, anche in questo caso: Vincenzo Guggino, segretario generale dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap), ci ha spiegato che “l’istanza è un’iniziativa autonoma del Giurì. La materia -ha continuato- è d’interesse perché la pubblicità mette in discussione la qualità dell’acqua di rubinetto. Il comitato di controllo, che istruisce l’istanza, è una sorta di pm; il Giurì, organo giudicante, è un giudice terzo”. Guggino ha definito “bizzarro” l’atteggiamento di Fortuna, visto che in passato “le associate a Mineracqua in più occasioni hanno usato il Giurì per ‘guerre commerciali’”. Non oggi però, e l’attività e i giudizi dell’Istituto vanno delegittimati.

Fonte

Acqua, il comune aderisca al referendum per mantenerla pubblica

Appello del “comitato acqua referendum del saronnese” che chiede: “Cosa succedere dopo le perdite di bilancio nella gestione dell’acquedotto?”
 
Saronno - «Muoversi subito per fare qualcosa che tuteli l’acqua come bene pubblico. Chiediamo anche all’amministrazione comunale e al sindaco Porro di aderire al referendum acqua». Parole del “comitato referendum acqua del saronnese” che chiede una chiara presa di posizione al comune di Saronno. La proposta è stata presentata dai responsabili del comitato: Roberto Guaglianone, Walter Porcelli, Mirko Giammella, Roberto Strada. Il Comitato Referendum Acqua del saronnese comprende tutti i comuni del saronnese: Saronno, Caronno, Origgio, Uboldo, Gerenzano e Cislago.
La prima uscita pubblica del Comitato referendum Acqua sarà sabato 5 febbraio dalle 15.00 alle 19.00 in concomitanza con l'iniziativa Nazionale, saremo presenti in Piazza Volontari del Sangue con un Gazebo. Inoltre Giovedì sera alle 21.15 presso la sede di Attac in viale Amendola ci sarà la prima riunione del comitato, aperta a tutti i cittadini o associazioni che vorranno aderire.  

«Vogliamo - spiegano i responsabili del comitato - tramite il referendum rendere nulle le conseguenze dell'attuale decreto Rochi e dell'attuale legge regionale, che di fatto, nelle loro applicazioni, impongono la privatizzazione dei servizi e "il tasso di profitto obbligatorio" (io investo nella rete distributiva e ho diritto ad una remunerazione che non può essere inferiore al 7%) , di fatto studi sulle conseguenze della privatizzazione dell'acqua portano a considerare che le attuali tariffe aumenteranno del 250, 300% rispetto alle attuali».  

«Ci domandiamo, che fine farà l'acqua del saronnese - proseguono dal comitato - Attualmente per esempio l'acqua di Saronno, Uboldo e Origgio è gestita da una società per azioni (di diritto privato)  Saronno Servizi SpA  che ha capitale interamente pubblico, con regole di funzionamento private, Che non è obbligata a rispondere del suo operato ai rappresentanti dei cittadini, cioè al Consiglio Comunale. Lo stesso vale per Caronno (Lura Ambiente SpA), Gerenzano (Sogeiva SpA) e Cislago (Seprio Servizi Srl),  pensate che il comune di Saronno ha ripianato, anche quest'anno, il bilancio in perdita di saronno Servizi Spa: oltre 300 mila euro, curiosamente corrispondenti al "buco" gestionale del servizio Idrico integrato, cioè la gestione dell'acqua dei tre comuni gestiti da Saronno Servizi. Ora il Decreto Ronchi impone la cessione ai privati del 40 % del capitale dela SpA a capitale pubblico, entro il 31.12.2011, la legge regionale approvata il 22 dicembre 2010 dalla maggioranza di Centriodestra, non solo impone la privatizzazione prevista dal decreto Ronchi, ma sottrae ai comuni la gestione dell'acqua, facendola affidare ai privati da una società non pubblica della Provincia».  

Dal comitato giungono quindi domande dirette al comune: «È legittimo chiedersi, in un quadro come questo,  che fine farà il nostro acquedotto? Automatico sarà l'aumento delle tariffe, la gestione del servizio sarà completamente fuori dal controllo pubblico e finalizzata ad un profitto (7% minimo) riconosciuto addirittura obbligatorio per legge.  Si può evitare tutto ciò? Occorre che il referendum che abrogha gli articoli della legge Ronchi vinca. Invitamo inoltre l'amministrazione di saronno e il Sindaco Porro a schierarsi apertamente per il referndum sostenendo la campagna referendaria ed aderendo alla rete nazionale degli enti locali per l'acqua pubblica, invitiamo inoltre l'amministrazione comunale ed il Sindaco Porro ad attuare ogni forma di pressione istituzionale possibile al fine di contrastare l'attuazione della Legge Regionale, anche in raccordo con le opposizioni in Consiglio Regionale, invitiamo il Sindaco a convocare prima possibile la Commissione Acqua appena costituita.