Copenhagen, 07-18 Dicembre - Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

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Copenhagen, 07-18 Dicembre
Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
I movimenti sostengono: "Cambiare il sistema, per cambiare il clima!"


Appello dei Movimenti per l’acqua e per la difesa dei Beni Comuni

Noi, Movimenti di Water Justice provenienti da ogni parte del mondo, uniti da lotte comuni, tutte a difesa dell’acqua, da Cochabamba a Plachimada, Hasankeyf e Namada Valley, dalla Colombia al Sud Africa e alle Filippine, e spronati dagli impegni che abbiamo assunto collettivamente con le Dichiarazioni del Forum Alternativo dell’Acqua di Mexico City (2006) e di Istanbul (2009) [...]

chiediamo che

  • i Governi partecipanti alla Conferenza di Copenhagen sul Clima (7-18 dicembre 2009) mettano l’acqua all’ordine del giorno dei lavori. Un accordo mondiale sul clima deve contenere regole e principi di equità, sostenibilità e democrazia per la salvaguardia dell’acqua, della terra e della salute dei nostri ecosistemi.
  • Adottino un approccio eco sistemico di adattamento e mitigazione per proteggere gli ecosistemi e di conseguenza costruire una resilienza climatica di lungo termine e mantenere la salubrità di ecosistemi idrici potabili.
  • Diano vita a un gruppo di lavoro che predisponga un Accordo Mondiale sull’Acqua vincolante per tutti i Paesi, sotto l’egida delle Nazioni Unite, da presentare e approvare entro la fine dei negoziati nel 2012.
  • Tramite l’Assemblea delle Nazioni Unite, sulla base delle conclusioni della Conferenza di Copenhagen, venga istituita un’Agenzia Mondiale dell’Acqua che sostituisca l’illegittimo World Water Forum. Tale Agenzia deve essere un vero e proprio strumento per l’azione e cooperazione globale nel campo delle risorse idriche, indipendente dai grandi interessi finanziari, economici e commerciali privati, e dotata di poteri adeguati per la prevenzione e soluzione dei conflitti.
    Leggi tutto...

E’ possibile sottoscrivere l’appello qui

Per leggere il programma del controvertice dei movimenti "Klimaforum 09" cliccare qui

Breve riassunto del quadro politico e delle realtà di movimento che saranno presenti a Copenaghen nelle giornate del vertice

Roma, 16 dicembre ore 10.00 - Presidio sotto la sede di Acea: "Da Copenhagen a Roma: cambiare il sistema, per cambiare il clima!"

Repressione a Copenhagen di Naomi Klein

Siti Utili:


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Proposte per la ripubblicizzazione dell’acqua:
il servizio idrico integrato è un servizio
pubblico locale privo di rilevanza economica

Ripubblicizziamo l’acqua a partire dagli Enti Locali

Come Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua abbiamo predisposto alcune proposte per poter dare inizio ad un percorso di ripubblicizzazione del Servizio Idrico Integrato a partire dagli Enti Locali più vicini al cittadino, cioè i Comuni, anche alla luce della recente approvazione dell’art. 15 del decreto 135/09.
Pertanto di seguito si trovano:

Inoltre è stato definito un possibile percorso di ripubblicizzazione del SII alla luce dell’approvazione dell’art. 15 Dl 135/09.

Leggi il parere della Corte dei Conti (Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia) in merito all’ambito di applicazione dell’art. 23bis, Legge 6 agosto 2008, n. 133: "[...] non è possibile individuare a priori, in maniera definita e statica, una categoria di servizi pubblici a rilevanza economica, che va, invece, effettuata di volta in volta, con riferimento al singolo servizio da espletare, da parte dell’ente stesso [...]"

L’elenco delle delibere approvate e in fase di discussione

La Regione Puglia ripubblicizza l’Acquedotto Pugliese

Per approfondimenti cliccare qui

“Donne per cambiare” in difesa per l’acqua

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“Donne per cambiare” in difesa per l’acqua
Il gruppo ha consegnato al Commissario Prefettizio
la petizione popolare “Salviamo l'acqua” con oltre 600 firme

21/12/2009

Saronno - Il gruppo “Donne per cambiare” ha consegnato oggi al Commissario Prefettizio dott.ssa Giuliana Longhi la petizione popolare “Salviamo l'acqua” con cui 661 cittadini di Saronno hanno chiesto al futuro Sindaco e al futuro Consiglio comunale di riconoscere l'acqua come bene comune e il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e senza scopo di lucro.
Le “Donne per cambiare” di Saronno, accomunate dalla consapevolezza dell'importanza dell'acqua come diritto universale, nonché dalla necessità di una sua salvaguardia per l'ambiente e per le generazione future, hanno indetto questa petizione popolare per “contrastare le conseguenza derivanti dall'eventuale applicazione dell'art.15 del D.L 135/09 che muove passi decisi verso la privatizzazione dei servizi idrici e degli altri servizi pubblici”.

“La raccolta delle firme è avvenuta in un clima di grande e coinvolgimento – raccontano dal Gruppo -. I saronnesi che si sono avvicinati ai banchetti della raccolta firme, hanno anche manifestato il desiderio di partecipare attivamente alle decisioni politiche intese come gestione del bene comune, consapevoli che ogni scelta fatta dall'alto e non condivisa dai cittadini può ricadere negativamente compromettendo la qualità della vita quotidiana di ciascuno. Ci sembra inoltre utile segnalare che proprio in questi giorni la vicina Francia ha messo in discussione la privatizzazione dell'acqua riproponendola come bene pubblico”.


Una lettera dal futuro: un cittadino spiega la privatizzazione dell'acqua a una senatrice

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Una lettera dal futuro:
un cittadino spiega la privatizzazione
dell'acqua a una senatrice


Questa settimana la Camera dei deputati sarà chiamata a discutere e votare il decreto legge numero 135/2009, quello che sancisce la privatizzazione dei servizi pubblici, tra cui il servizio idrico integrato. Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua, così, ha invitato tutti gli attivisti italiani per l'acqua “bene comune” ad inviare e-mail ai parlamentari, chiedendo un voto di coscienza contro la privatizzazione.

In risposta al mail bombing, la senatrice del Pd Marilena Adamo ha inviato una lettera rivendicando l'opposizione del Partito democratico che, a suo avviso, è stata “dura”. L'Adamo cita l'emendamento che sancisce la proprietà pubblica dell'acqua, di cui ha scritto a sproposito anche Rumiz su Repubblica, e il cui intento -come abbiamo già scritto- è solo quello di deviare l'attenzione dal problema reale, la privatizzazione della gestione.

Alla Adamo risponde Alberto De Monaco, attivista del Comitato acqua pubblica di Aprilia, la cittadina laziale famosa per essere uno dei laboratori della privatizzazione. Alberto si definisce “uno che viene dal futuro”, e dal suo osservatorio privilegiato nel Sud del Lazio spiega ciò che potrebbe accadere nei prossimi 12 mesi in tutta Italia.

***

Al “Forum italiano dei movimenti per l'acqua”

A tutti i cittadini che hanno scritto ai Senatori della I Commissione

Roma, 12 novembre 2009

Negli scorsi giorni noi parlamentari abbiamo ricevuto tantissime vostre e-mail che ci segnalavano lo sdegno dei cittadini per il provvedimento del Governo che di fatto rende più concreto il processo di privatizzazione di un bene pubblico fondamentale: l'acqua.

Peraltro il Governo ha fatto tutto questo inserendo una norma in un decreto legge che parla di tutt'altro, piuttosto che affrontare in Parlamento una seria e aperta discussione della riforma dei servizi pubblici locali. Da tempo, infatti, giacciono sia alla Camera che al Senato dei progetti di legge di iniziativa parlamentare in cui si affronta la questione in maniera organica e strutturata. Invece il Governo, per la quarantacinquesima volta dall'inizio della legislatura, ha scelto la via più semplice, e più opaca rispetto alla pubblica opinione, del decreto-legge.

Come sapete in quel contesto si trattava di INCLUDERE l'acqua nell'elenco dei servizi esclusi dall'applicazione della modalità privatistica di gestione e affidamento (criticabile anche per altri aspetti), com'è stato fatto per energia e trasporti regionali, che hanno una normativa diversa ad hoc. Non si è voluto fare, parificando di fatto l'acqua a qualsiasi altro servizio, ad esempio lo smaltimento rifiuti. Il che risulta ancora più paradossale perché in sede europea e internazionale si sta tornando indietro, rispetto alle scelte più spinte di liberalizzazione, proprio sull'acqua. L'opposizione del gruppo del partito Democratico è stata dura. Abbiamo presentato numerosi emendamenti sia soppressivi che migliorativi, purtroppo incontrando solo un muro di chiusura da parte del Governo, che non ha accettato neppure la costituzione di un'Authority nazionale.

Siamo riusciti però, ed è un piccolo ma importante risultato, a fare accogliere un punto di principio cui appellarsi in fase applicativa, che riafferma “...piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 152 del 2006, garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio” (grassetto nostro).

Ora il testo è alla Camera e, visto anche l'approssimarsi della scadenza del decreto (24 novembre), sarà ancora più difficile, ma non per questo verrà meno il nostro impegno, forti anche del vostro contributo.

A tutti voi un cordiale saluto

Sen. Marilena Adamo, Segretaria I Commissione Affari Costituzionali - Senato della Repubblica

Gruppo Partito Democratico


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Egregia senatrice,

le risponde uno che viene dal futuro: noi a Latina siamo in piena privatizzazione ormai da 7 anni. Ad Arezzo anche di più. Le scrivo usando quel poco di tecniche finanziarie ed economiche apprese sul “campo di battaglia”: la proprietà pubblica delle acque è fuori luogo, quindi nulla di nuovo all'orizzonte;

per quanto riguarda la tariffa, è la volontà del privatizzatore che esige che queste le faccia il pubblico. La tecnica è: io, privato, con le tariffe che voi ci dite di applicare non ce la faccio; i Comuni ci hanno presentato una situazione che da gestire è più difficile del previsto; le reti sono peggio del previsto, piove e l'acqua è torbida, etc, etc. Sono cose che qui da noi sentiamo da anni. Poi dicono: attenzione, qui siamo in regime di monopolio territoriale, al gestore deve essere assicurato il pareggio, ossia il pagamento dei costi. Ecco allora che tu, pubblico, che sei il responsabile di fare la tariffa (...sui dati del gestore privato che il pubblico non può avere per legge, visto che è spa di diritto privato e quindi protetta per diritto nel suo agire per fare l'interesse degli azionisti) , mi devi aumentare le tariffe se vuoi gli investimenti. Poi c'è la solita tecnica: se non vuoi che aumentiamo subito, allora noi facciamo un bel project financing, chiediamo i soldi ad una bella banca d'affari che investe sul progetto gestionale, e cosi troviamo i soldi! Il problema è che la banca d'affari non fa carità, ma profitto, e se il progetto non rende non è che dice “mi ero sbagliata”. Al gestore dice: voglio comunque che tu onori il debito. Ecco allora che il gestore (che quasi sempre fa avallare questi prestiti con le garanzie della tariffa che il pubblico deve approvare) dice: “Cari sindaci, alzate la tariffa perché il servizio va male ma noi il mutuo (con interessi alla banca) lo dobbiamo pagare”. Ho letto piani d'ambito e richieste di finanziamenti in varie parti d'Italia, e le assicuro che spesso i gestori si lamentano perché magari quest'anno il consumo dell'acqua è diminuito e quindi ci sono meno introiti, anche se il costo corrente aumenta, il costo personale aumenta. E quindi dice ai sindaci: meno incassi, costi comunque elevati, la banca chiede di aumentare la tariffa, oppure diminuire gli investimenti, oppure ancora chiede che i comuni mettano soldi pubblici per fare investimenti in nuovi impianti che poi deve dare in gestione al privato.

Insomma, si riesce a capire che questo processo si chiama con un solo nome? Mercato sul bene acqua, grandi speculatori finanziari, multinazionali, banche d'affari, etc, etc.

Mi scusi se mi dilungo, ma vede noi che veniamo dal futuro possiamo descriverle bene cosa significa privatizzazione. Per non parlare poi della cattiva politica che in queste cose ci marcia e ci abusa.

Qui da noi questo processo a nome e cognomi: legge Meta-Besson, che immagino lei conosca. Il noto ingegner Besson, dopo aver scritto la legge regionale sul servizio idrico, dividendo gli Ato del Lazio un poco come le province e senza il criterio di ambito ottimale, è passato in Enel Hydro. Di qui poi è stato chiamato come amministratore in Acqualatina spa (è ancora il vice presidente), è stato consigliere d'amministrazione in Acea Ato2 spa, e presidente della Sorical in Calabria. Mentre, per non far torto a nessuno, il presidente di Acqualatina spa è (già dal 2006) il senatore di Forza Italia Claudio Fazzone, di Fondi.

Guardi le chiedo scusa, sono molto arrabbiato e mi fa male lo stomaco a parlare delle nostre cose che vengono dal futuro, ma sentire tante sciocchezze e mezze misure su una cosa così delicata e fondamentale come la gestione dell'acqua mi fa male al cuore, alla mente e pure alla tasca!!!

Abbiate il coraggio di dire: vogliamo che i Comuni spariscono, che il pubblico non sia più capace a fare nulla (la questione del controllo è questione di lana caprina, quando non si può gestire..), che i sindaci devono arrendersi, che le comunità sono gestite in effetti dalle volontà dei vari consigli d'amministrazione (acqua, rifiuti, etc, etc,) e facciamola finita!

Con il rispetto per una persona che -come lei- accetta la discussione ed il confronto, le dico che ormai non desidero più andare a votare per sindaci e politici e spero di poter votare i vari membri dei consigli d'amministrazione. magari ho più poteri verso di loro e decido anche io qualcosa! La lascio con un'ultima riflessione: le tariffe sono tutte aumentate per quanto previsto nei piani d'ambito privatizzati, ma gli investimenti fatti sono circa la metà di quanto previsto nei contratti a gara, quindi è come se noi cittadini pagassimo la tariffa doppia! Il tutto condito con investimenti totali negli anni privatizzati, meno di quelli che faceva prima il pubblico. Si chieda perché negli Stati Uniti d'America gli enti di gestione sono tutti pubblici, e Atlanta che aveva privatizzato ha avuto una pessima esperienza. Si chieda perché Parigi torna indietro. Noi che veniamo dal futuro lo abbiamo già capito bene sulla nostra pelle!

Alberto De Monaco, Comitato acqua pubblica Aprilia

Ci hanno rubato anche l’acqua! - di Marcello Pamio

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Ci hanno rubato

anche l’acqua!
di Marcello Pamio

20 novembre 2009

Mercoledì 4 novembre scorso, dopo solo due giorni di discussione, è stato approvato il decreto-legge 25 settembre 2009, nr.135: “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 223.
Il voto in Senato è la conclusione di un iter parlamentare che dura da 2 anni, infatti il governo Berlusconi, con l’articolo 23 bis della legge 133/2008, aveva provveduto a regolamentare la gestione del servizio idrico integrato che prevedeva, in via ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a imprenditori o società, mediante il rinvio a gara, entro il 31 dicembre 2010.[1]

Quella legge è stata approvata il 6 agosto 2008, mentre l’Italia era casualmente in vacanza!
Un anno dopo, precisamente il 9 settembre 2009, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge (l’accordo Fitto- Calderoli), il cui articolo 15, modificando l’articolo 23 bis, muove passi ancora più decisivi verso la privatizzazione dei servizi idrici.[2] Il Pd, che è sempre stato piuttosto favorevole alla privatizzazione dell’acqua, ha proposto nella persona del senatore Bubbico, un emendamento compromesso: l’acqua potrebbe essere gestita dai privati, ma la proprietà resterebbe pubblica…[3]

Tale vergognoso decreto, passato con la fiducia ieri, da effettivamente il via libera alla privatizzazione dei servizi pubblici locali.
”Leggendo (neanche troppo attentamente) la “causale” del ddl, ci si accorge di essere di fronte all’ennesima “rapina di Stato” che, sotto il vessillo della “privatizzazione forzata” imposta dalla Ue, in realtà nasconde un bisogno di energie economiche per far quadrare i debiti con l’Europa”. [4]
“Le disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari... si traducono in bisogno di denaro per il governo italiano. Nessun diktat europeo impone la privatizzazione dell’acqua, anzi...”
”Risoluzione europea 11 marzo 2004, “Strategia per il mercato interno, priorità 2003- 2006 , al paragrafo 5 cita: “Essendo l’acqua un bene comune dell’umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno”.[5]

Le stesse norme verranno ribadite nel IV° forum mondiale sull’acqua nella Risoluzione europea 15 marzo 2006, che al paragrafo 1 dichiara: “l’acqua è un bene comune dell’umanità e come tale l’accesso all’acqua costituisce un diritto fondamentale della persona umana; chiede che siano esplicati tutti gli sforzi necessari a garantire l’accesso all’acqua alle popolazioni più povere entro il 2015 .

L’emendamento che prevede l’affidamento della gestione dei servizi idrici locali ai privati, è il 15.504 e vede la firma del senatore piddino Bubbico.
Malgrado Bubbico in Senato abbia osannato il successo del Pd nella firma del ddl, sostenendo: “Grazie a un emendamento del Pd è stata scongiurata la privatizzazione dell’acqua, bene indispensabile, di primaria importanza per tutti i cittadini”, leggendo lo stesso emendamento si scopre la “truffa”. “Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato [...] devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche [...]”.

Che in soldoni vuol dire: servizio autonomo affidato ai privati e proprietà pubblica della risorsa, ossia l'acqua. L'emendamento 15.504, un provvedimento quindi di privatizzazione dei servizi pubblici, avallato dal Pd, è stato respinto solo dall'Italia dei Valori e da tre senatori del Partito democratico (Marinaro, Zanda e Nerozzi), voti favorevoli di Udc, Pdl, Lega Nord e Pd, in questa "originale coalizione istituzionale" fautrice del nuovo principio: l'acqua un bene privato del mercato.
I partiti hanno criminalmente reso l’acqua un bene privato!

Come vedete, gli avvoltoi, indipendentemente dal colore partitico, rimangono sempre e solo degli avvoltoi, stipendiati, in questo caso, direttamente dalla lobbies delle bollicine.
Il mercato dell’acqua in Italia è un mercato molto interessante, per via degli 11 miliardi di litri di acqua minerale bevuti ogni anno. Stiamo parlando di circa 5 miliardi di euro di fatturato per i soliti noti.
Con simili numeri è possibile corrompere e/o convincere chiunque.
Il rapporto dei prezzi tra acqua minerale in bottiglia e “l’acqua del sindaco” (da ieri non più del primo cittadino, ma dei privati) ha dell’incredibile: un litro di acqua minerale costa mediamente 0,35 - 0,40 euro, contro 0,001 euro dell'acqua del rubinetto.

La grande truffa dell’acqua in bottiglia
(tratto da www.trekking.it/it/articoli/La-grande-truffa-dell'acqua-minerale_2503.html )

Fino a qualche anno fa, le “acque minerali” dovevano comunque sgorgare da fonti certificate, monitorate, e con caratteristiche dell’acqua almeno particolari rispetto alla semplice acqua potabile.
Poco importa se, anche in questo caso, si potrebbe configurare quantomeno l’appropriazione discutibile, ancorchè tollerata dalle normative, di un bene che appartiene a tutti i cittadini, poichè le acque sotterranee fanno parte del demanio pubblico.

Le aziende private che sfruttano le falde acquifere potabili, infatti, pagano alla collettività un irrisorio “canone di coltivazione”, a fronte della concessione, spesso permanente, di un bene pubblico. In pratica, gli amministratori che dovrebbero gestire, e non svendere il patrimonio collettivo, lo hanno invece“regalato” alla speculazione delle multinazionali.
Se nella legislazione italiana “il quadro normativo stabilisce che le risorse idrominerali sono un bene pubblico, fanno parte del patrimonio indisponibile delle regioni e il loro uso deve essere improntato all'interesse pubblico”, non si capisce come sia possibile che in calce alle concessioni “regalate” ad alcuni famosi marchi di acqua minerale figuri la scritta “perpetua”: significa che alcune multinazionali accumulano miliardi vendendo l'acqua di tutti, per sempre, come la San Pellegrino (Nestlé), che fino al 2002 pagava 5 milioni e 270 mila lire all'anno per la concessione; in rapporto, quasi stupiscono i 33 milioni e 464.500 lire (sempre dati 2002) sborsati per imbottigliare la Levissima (ancora Nestlé).

Sempre Nestlè (che vende nel mondo 19 miliardi di litri d’acqua), ha in concessione lo sfruttamento delle fonti di Pejo, in Trentino, da cui estrae e imbottiglia 110 milioni di litri/anno (con un ricavo di circa 35 milioni di euro/anno), e attualmente paga al Comune di Pejo una tassa di concessione di 30.000 euro l’anno.
Oggi, almeno sulla carta, le aziende che sfruttano l’acqua sono soggette a una minima tassa di 0,0005 euro al litro, ma solo sul prodotto imbottigliato; tanto per fare un esempio, in Lombardia (la regione più ricca di fonti e sorgenti) vengono imbottigliati 3 miliardi di litri d’acqua, ma altri 7 miliardi vengono sprecati nelle fasi di lavorazione.

La truffa, però, è ben altra, e sconvolgente: oggi, spesso, nelle bottiglie di plastica in vendita sugli scaffali dei supermercati, o sui tavoli di pizzerie e ristoranti, si trova “acqua microfiltrata”, pagata a prezzo dell’acqua minerale, ma altro non è che acqua del rubinetto, la stessa che esce da quelli delle nostre case, messa in bottiglia e ricostituita con l'aggiunta di anidride carbonica e sali minerali.
Nel mondo, l'azienda leader nella vendita di “acqua del rubinetto” è la Coca Cola , che la imbottiglia soprattutto per i paesi del terzo mondo, privati dell'acqua come bene comune.

Con risvolti curiosi, se non fossero tragici: l'acqua Dasani (Coca-Cola), prelevata dall’acquedotto pubblico della contea di Kent e commercializzata in Gran Bretagna, con un aumento del prezzo di 3.166 volte rispetto al costo di origine, è stata ritirata dal mercato perchè, nonostante uscisse pura dal rubinetto, come certificato da numerose perizie, una volta imbottigliata diventava potenzialmente pericolosa perchè addizionata con una elevata percentuale di bromato, nota sostanza cancerogena.

Campagna nazionale "SALVA L’ACQUA" del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua
www.acquabenecomune.org

Testo ufficiale del decreto - Parlamento, www.parlamento.it/parlam/leggi/decreti/09135d.htm


[1]Zanotelli: acqua pubblica è agli sgoccioli. Come si privatizza un bene comune”, Corriere del Mezzogiorno 12 novembre 2009
[2] Idem
[3] Idem
[4]Acqua: la privatizzazione non è un diktat europeo”, tratto da Rinascita 10 Novembre 2009, Enea Baldi
[5] Idem

Privatizzazione dell’acqua - di Francesco Gesualdi

Privatizzazione dell’acqua
di Francesco Gesualdi

2 dicembre 2009

Mentre Giulio Tremonti dava lezione all’università di Shangai e stupiva i capi del partito comunista cinese con le sue bordate contro il mercatismo e lo strapotere bancario, a Roma il Parlamento italiano, sotto ricatto dell’ennesima fiducia posta dal governo di cui Tremonti è ministro, approvava il cosiddetto decreto Ronchi che fissa un altro pesante paletto sulla strada della privatizzazione dell’acqua. Un decreto di difficile lettura, zeppo com’è di rimandi a leggi precedenti e di vocaboli astrusi, incomprensibili perfino ai parlamentari che l’hanno votato. L’unica cosa certa gli scopi: da una parte mettere in riga i comuni che si ostinano a gestire l’acqua tramite società a totale capitale proprio, dall’altra assicurare alle imprese private margini d’affari più ampi.

Il tutto tramite due provvedimenti chiave: decadenza al dicembre 2011 di ogni contratto di affidamento stipulato con società formate al 100% da capitale pubblico, a meno che non cedano il 40% del loro capitale; decadimento al dicembre 2012 di ogni contratto di affidamento stipulato con società miste, pubblico-privato, quotate in borsa, a meno che la quota di capitale pubblico non scenda sotto il 30%. “Basta con situazioni in cui ogni comune fa come vuole – sembra dire il decreto – d’ora in avanti tutti devono uniformarsi allo stesso metodo di gestione.” Per la verità i regimi previsti sono due:

1. affidamento dell’acquedotto a una società scelta tramite gara, vince quella che indipendentemente dalla sua formazione del capitale e la sua nazionalità, offre condizioni più vantaggiose;

2. affidamento dell’acquedotto a società di proprietà dei comuni, a condizione che la partecipazione venga allargata a un partner privato scelto tramite gara. Al privato deve essere garantita una quota di partecipazione non inferiore al 40% e l’affidamento dei compiti esecutivi.

Dunque, da un punto di vista strettamente societario, il pubblico non è ancora stato estromesso del tutto, ma da un punto di vista della gestione è stata affermata in via definitiva la logica dell’azienda privata. Quella logica da mercante secondo la quale si vende senza nessuna considerazione sociale e si scarica in tariffa ogni spesa, comprese quelle per investimenti. Tant’è le associazioni dei consumatori hanno subito lanciato l’allarme: col nuovo regime le tariffe aumenteranno mediamente del 30%. Se cresceranno anche in Toscana è difficile dirlo, probabilmente sì, ogni occasione è buona per ritoccare i prezzi. Ma in Toscana il nuovo provvedimento non modifica niente, già da anni l’acqua è gestita secondo i criteri previsti dal decreto Ronchi. Acque Spa, ad esempio, la società che gestisce l’acquedotto dell’ATO 2, area pisana, appartiene per il 55% ai vari comuni del comprensorio e per il 45% ad Abab (Acque Blu Arno Basso) a sua volta partecipata da Acea, GDF Suez, Caltagirone, Monte dei paschi di Siena. Al solito i comuni toscani sono stati i primi della classe in materia di privatizzazione, nonostante il loro colore politico.

Benché il panorama politico non lasci molti spazi all’ottimismo, anche i nostri amministratori locali potrebbero capire che è interesse di tutti fare uscire l’acqua dalla categoria dei beni a rilevanza economica come se fosse un pasticcino o una cravatta. Per questo è necessario tornare all’attacco per richiedere ai nostri comuni di dichiarare l’acqua un bene comune da gestire come diritto. Da cosa nasce cosa, la storia si può cambiare anche a partire dai piccoli passi.

Acqua La Santa alleanza del Nord nella battaglia delle sorgenti - di PAOLO RUMIZ

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Acqua
La Santa alleanza del Nord
nella
battaglia delle sorgenti

di PAOLO RUMIZ

8 dicembre 2009

TREVISO - Blindato "alla fonte" con voto di fiducia, il decreto sulla privatizzazione obbligatoria delle acque italiane è già impantanato in un Mekong di pronunciamenti contrari. E' una guerra che ha il suo epicentro al Nord, perché i più arrabbiati sono gli amministratori della Lega, che non perdonano ai rappresentanti in parlamento di avere votato un provvedimento che toglie loro sovranitàe potere. «L' acqua xe de noaltri», l' acqua è nostra, hanno detto chiaro a Treviso, la provincia di Luca Zaia, ministro dell' agricoltura, la più leghista d' Italia. Ed è successo l'inverosimile: il Pd all' opposizione ha presentato un ordine del giorno che rivendicava l' acqua come diritto (quindi non merce), e la maggioranza lo ha votato in cinque minuti, senza pensarci un attimo.

«Non si è quasi discusso perché l' acqua è anche una matrice identitaria, dunque non si tocca» spiega Marzio Fàvero, assessore alla cultura di una provincia che tra Piave, Brenta, golene, risorgive, marcite, canali e "canalassi" sembra una carta assorbente. A Roma non hanno capito che non si metteva in discussione semplicemente un bene, ma qualcosa di più complesso: un simbolo.

Acqua, terra, sangue: su queste cose la Lega non la governa nessuno. E così ecco il ribaltone delle alleanze, un segnale forte per le elezioni regionali del prossimo anno, dove Lega e Pdl sono già ai ferri corti per la scelta del governatore. «Abbiamo intercettato i malumori dei sindaci e così ci abbiamo provato», fa Lorenzo Biagi dell' Ulivo, primo firmatario del documento. Ed è andata come è andata. Così accade che dal confine francese a quello con la Slovenia il fronte del «no» si rafforza senza riguardo per gli schieramenti. Forte della sua specialità di statuto, la Valle d' Aosta - a due settimane dal voto in parlamento- ha risposto classificando l' acqua nella sua normativa regionale come "bene privo di rilevanza economica", sul quale, di conseguenza, diventa impossibile operare privatizzazioni. Il Trentino ha in canna il proiettile di un ricorso di costituzionalità contro il voto parlamentare; a Bologna la Cgil ha indetto per l' 11 dicembre una manifestazione dove primeggia il tema dell' acqua; a Torino si raccolgono firme per chiedere al Comune di dire "no". A Belluno si raccolgono firme per cambiare gli statuti comunali; e la provincia di Udine, retta dalla Lega, ha dichiarato di opporsi alle multinazionali rivendicando il diritto a servizi gestiti «in loco». Ma il malessere più forte viene dalla Lombardia, dove alla perplessità nei confronti del decreto Ronchi si è aggiunta, pochi giorni fa, la batosta della Corte costituzionale che ha bocciato una legge fortemente voluta dal presidente Formigoni: quella che tentava di affidare ai privati la sola erogazione dell' acqua (leggi i contatori, un' operazione di pura rendita), lasciando alla mano pubblica le rogne e gli oneri, cioè la manutenzione straordinaria e gli indilazionabili investimenti per l' ammodernamento della rete. A Pavia, la provincia-pilota, era già partita la gara il 20 ottobre, ma due giorni fa è arrivata la tegola che ha seminato smarrimento in tutta la regione, ridando fiato al fronte del "No" contro il decreto ministeriale. Gli ambiti territoriali di Cremona, Varese, Como e Lecco, che dovevano mettere in gara le loro reti subito dopo l' esperimento pavese, ora non sanno che pesci pigliare, mentre il servizio acque della Regione guidato da Raffaele Tiscar (ex Lyonnaise des Eaux) insiste perché si parta lo stesso, a prescindere dal "niet" dell' Alta Corte. La partita è grossa, gli appetiti non sono da meno, vista la corposità del business-bollette. Ma ora che la macchina s' è inceppata, i sindaci, inclusi quelli della Lega Nord, chiedono ad alta voce di non svendere le acque lombarde, e il presidente del consiglio regionale Giulio De Capitali del Carroccio, si fa apertamente interprete del loro malumore. La torta che maggiormente ingolosisce è quella delle acque milanesi, divise fra "Amiacque", totalmente pubblica, che cura la rete dell' hinterland, e "Metropolitana Milanese", che governa il Comune capoluogo. Entrambe dovevano iniziare dal primo gennaio un processo di cessione di pacchetti azionari, ma «anche qui cresce la volontà di rivendicare l'acqua come pubblico bene», osserva l'ambientalista Roberto Fumagalli, vicino al "Contratto mondiale per l' acqua". Tanto più che i due enti sono considerati gioielli di efficienza persino dagli occhiuti osservatori di Mediobanca, che in un rapporto ufficiale li hanno classificati ben al di sopra delle Spa quotate in borsa come Hera, Acea, Iride. Fontana - un cognome che pare un programma - è il sindaco di Varese, di nome Attilio, leghista nella terra di Bossi, e ha apertamente manifestato la sua opposizione al decreto Ronchi: «Con la privatizzazione c' è il rischio che il servizio costi di più; e del resto, quando vado in Toscana, dove è già così, non faccio che sentire critiche e lamentele». Ma c' è anche il friulanissimo Fontanini, nome Pietro, altro cognome premonitore, presidente della provincia di Udine, il quale taglia corto affermando che «l'acqua è pubblica per definizione». E anche lì, nella terra che, per le sue precipitazioni abbondanti, è considerata il pisciatoio d' Italia, la Lega rivendica sul tema il più netto autogoverno. La battaglia s'incattivisce, con le Spa in trincea e i movimenti per l' acqua all' assalto, decisi ad andare a referendum popolare - rigorosamente apartitico - con la raccolta di 500 mila firme. Diventa di conseguenza tosto anche il braccio di ferro con gli utenti: in Campania la società "Acqualatina" ha tagliato le forniture alla Sesta flotta della base di Gaeta, che si era trovata di fronte a bollette ritenute eccessive. In Lombardia, la bresciana A2A ha tolto l' acqua a cinque condomini morosi, e da una settimana 150 famiglie devono approvvigionarsi a un pozzo. In questi chiari di luna di alleanze trasversali, il Pd fatalmente si spacca. A Mantova metà del partito (che ha la maggioranza in Comune) ha votato una mozione sull' acqua pubblica presentata da Rifondazione (in minoranza) e l' altra metà si è invece astenuta, per affinità alla linea privatizzatrice di Linda Lanzillotta, che a suo tempo aveva lavorato sulle reti idriche nel governo Prodi. E' guerra aperta fra l' ala "business oriented" e quella che vorrebbe spingere al referendum, con Ermete Realacci, Marina Sereni, Emanuele Fiano e Debora Serracchiani. Che senso ha privatizzare un servizio pubblico che funziona? Se lo chiede Enrico Gherghetta, Pd, presidente della provincia di Gorizia e del suo ambito idrico territoriale comprensivo di 25 Comuni. Rimasto pubblico, eroga acqua giudicata ottima a meno di un euro al metro cubo e contemporaneamente ha fatto partire investimenti per 250 milioni di euro dopo avere ottenuto (caso unico in Italia nel campo dei servizi idrici) finanziamenti della Banca Europea Investimenti a tasso ultra-agevolato, lo 0.48 per cento. «Se a casa mia no son paròn de l' acqua, quela no xe casa mia» scherza Gherghetta, che per il suo servizio non chiede un euro di gettone-presenza. Chiarisce il concetto: «Mentre gli altri si scannano su chi farà da presidente, noi non abbiamo poltrone da difendere; la nostra unica preoccupazione è la qualità». Il suo direttore generale Paolo Lanari: «Vengo dal settore privato, come tutto lo staff, ma posso testimoniare che da nessuna parte sta scritto che il pubblico non debba funzionare. Analogamente da nessuna parte sta scritto che la privatizzazione è il toccasana». Gorizia va bene, costa poco, rende, ha la fiducia delle banche e quella degli utenti. Perché cambiare? A Roma nessuno risponde.

Il governo privatizza l'acqua. L'opposizione che dice? - di Renzo Penna

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Il governo privatizza l'acqua.
L'opposizione che dice?

di Renzo Penna

27 novembre 2009

Dibattito - La fallimentare esperienza delle politiche liberiste, che sono tra le cause prime dell'attuale crisi globale, non sembra aver insegnato nulla ai governanti italiani. Così come, per quanto attiene l'acqua, non si è voluto tenere in conto le esperienze negative degli altri paesi, da ultimo testimoniate, in Francia, dal caso di Parigi che ha deciso di abbandonare la privatizzazione per tornare ad amministrare pubblicamente questa fondamentale risorsa. Mentre in Italia le parziali privatizzazioni portate avanti in alcune realtà hanno sempre comportato un aumento dei costi di gestione e delle tariffe e benefici nulli per quanto riguarda la riduzione degli sprechi e le perdite degli acquedotti

Giovedì della scorsa settimana il Parlamento ha approvato l'ennesimo Decreto del Governo che, insieme ad altre svariate norme, contiene anche la riforma dei servizi pubblici locali, compresa la privatizzazione dell'acqua. Con la legge che privatizza l'acqua si avalla la mercificazione di un patrimonio prezioso, di un bene comune il cui utilizzo dovrebbe rispondere a precisi criteri di utilità pubblica. La fallimentare esperienza delle politiche liberiste, che sono tra le cause prime dell'attuale crisi globale, non sembra aver insegnato nulla ai governanti italiani. Così come, per quanto attiene l'acqua, non si è voluto tenere in conto le esperienze negative degli altri paesi, da ultimo testimoniate, in Francia, dal caso di Parigi che ha deciso di abbandonare la privatizzazione per tornare ad amministrare pubblicamente questa fondamentale risorsa. Mentre in Italia le parziali privatizzazioni portate avanti in alcune realtà hanno sempre comportato un aumento dei costi di gestione e delle tariffe e benefici nulli per quanto riguarda la riduzione degli sprechi e le perdite degli acquedotti. Per non parlare dell'uso gravemente inefficiente delle risorse idriche in agricoltura dove vige, dal lontano 1933, una completa privatizzazione gestita dai Consorzi.

La privatizzazione, inoltre, penalizza tutte quelle gestioni pubbliche virtuose che, in Piemonte e in molte zone del Paese, stanno amministrando con un buon grado di efficienza ed economicità un bene comune che oggi il governo ha deciso di regalare alle multinazionali straniere del settore. Ricordo che nella nostra regione il costo per i cittadini dell'acqua potabile è, per mille litri, di poco superiore ad un euro e il prezzo al litro risulta, nei confronti dell'acqua minerale in bottiglia, inferiore di quattrocento-seicento volte, a seconda dei diverse marche commerciali.

Ma se l'acqua rappresenta la principale fonte di vita insostituibile per tutti gli ecosistemi, dalla cui disponibilità dipende la ricchezza ed il benessere delle popolazioni e ad oggi più di 1,4 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all'acqua potabile, è purtroppo anche vero che la comunità internazionale continua a rifiutare il riconoscimento dell'accesso all'acqua come un "diritto umano" cioè un diritto universale. Specie dopo la Conferenza Internazionale sull'acqua di Dublino (1992) essa preferisce trattare l'accesso all'acqua come un bisogno essenziale e l'acqua come un bene economico mercificabile. Ciò spiega perché la Dichiarazione ministeriale di Kyoto, approvata al 3° Foro Mondiale dell'Acqua, ha sancito che l'accesso all'acqua è un bisogno e non un diritto.
In l'Italia, poi, il sostegno al processo di privatizzazione che favorisce le politiche orientate al mercato, alla privatizzazione della gestione dei servizi idrici ed alla mercificazione dell'acqua non è solo imputabile alle posizioni della destra.

Su quest'ultimo aspetto un lettore de l'Unità ha recentemente ricordato la lettera aperta che Alex Zanotelli inviò a Walter Veltroni nel marzo 2008, in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua. In quella missiva il missionario comboniano, ricordando che Veltroni in visita alla spaventosa baraccopoli di Nairobi in Kenia si era commosso per le condizioni disumane nelle quali vivevano tanti africani e aveva promesso di portare quel grido di sofferenza nell'area della politica, lo rimprovera di essersene dimenticato. E prosegue: "Non chiedo carità, chiedo giustizia, quella distributiva che è il campo specifico della politica. E non parlo solo della fame del mondo, ma soprattutto della sete del mondo quando ti chiedo perché anche tu, nel tuo programma elettorale, hai appoggiato la privatizzazione dell'acqua. Lo sai che questo significa la morte di milione di persone per sete? Con questa logica di privatizzazione, se oggi abbiamo cinquanta milioni di morti per fame, domani avremo cento milioni di morti di sete. Sono scelte politiche che si pagano con milioni di morti. Caro Walter - conclude Zanotelli - perché non puoi proclamare che l'acqua non è una merce, ma un diritto fondamentale umano che deve essere gestita dalle comunità locali con totale capitale pubblico, al minimo costo possibile per l'utenza, senza essere una Spa?".
Contraddizione e pensiero debole, quello sulla privatizzazione dell'acqua, non solo di Veltroni, ma della principale formazione politica del centro sinistra, il Partito Democratico, che aveva già segnato una delle tante divisioni presenti nella compagine del secondo Governo Prodi e tuttora rappresenta, per una parte significativa dell'elettorato progressista, un elemento di critica e incomprensione sull'identità e la strategia della sinistra.

Un indirizzo che il Consiglio Provinciale di Alessandria ha seguito quando, il 20 dicembre 2004, ha approvato, con il voto favorevole della maggioranza e l'astensione dell'opposizione, l'Ordine del giorno sul "Riconoscimento dell'Acqua come Bene Comune e Patrimonio dell'Umanità" e l'accesso all'acqua potabile come "Diritto fondamentale Universale, degno di protezione giuridica".
Quella approvazione è stata, credo, una delle decisioni politicamente più impegnative assunte nei cinque anni del primo mandato della presidenza Filippi, ma, certo, con una conoscenza e una considerazione sulle conseguenze insufficiente e non adeguata da parte, sia della Giunta, che del Consiglio. Ricordo bene l'imbarazzo e i lunghi silenzi dei consiglieri dopo la relazione di presentazione del provvedimento e la difficoltà ad intervenire, in questo caso comune tra maggioranza ed opposizione. Per me comunque ha segnato, nel campo della risorsa acqua, la strada da seguire nelle responsabilità di Assessore e di Presidente dell'Autorità delle acque dell'alessandrino.

Riporto di seguito gli obiettivi che con quella decisione Presidente e Giunta provinciale si sono impegnati a sostenere e a realizzare nell'arco dei prossimi cinque-dieci anni:
A) In prospettiva locale impegna l'Amministrazione
- a riconoscere nel proprio Statuto il Diritto all'acqua;
- a impegnarsi a utilizzare, proteggere, conoscere e promuovere l'acqua come bene comune, nel rispetto dei principi fondamentali della sostenibilità integrale (ambientale, economica, politica ed istituzionale);
- a mantenere sotto il controllo pubblico il ciclo integrato dell'acqua compresi il capitale ed i servizi ad essa collegati (infrastrutture e insieme dei servizi di captazione, adduzione, distribuzione, fognature e depurazione);
- a garantire la sicurezza dell'accesso all'acqua, nelle quantità e qualità necessarie alla vita, a tutti i membri della comunità locale in solidarietà con le altre comunità e con le generazioni future: la quantità minima indispensabile alla vita quotidiana è stimata intorno ai 40 litri di acqua al giorno per persona. Tale quantità dovrà essere garantita come diritto e di conseguenza il costo essere commisurato alla necessità di mettere tutti i cittadini in condizione di poter fruire di tale diritto;
- a garantire pari accesso alla risorsa in termini di qualità e di quantità a tutti i cittadini applicando un sistema tariffario giusto e solidale, fondato sul principio di sostenibilità, sulla lotta all'abuso, su tariffe differenziate e proporzionali ai livelli di consumo;
- a contribuire alla riduzione sul territorio, e per quanto di propria competenza, dei prelievi eccessivi e sconsiderati sia in campo agricolo e zootecnico, sia industriale;
- a promuovere le forme più innovative di partecipazione dei cittadini alla definizione delle politiche dell'acqua a livello locale ed in particolare a sostenere la costituzione degli ATO dei Consigli dei Cittadini, cioè strumenti di democrazia rappresentativa, partecipata e diretta designati da organizzazioni rappresentative della società civile;
- a promuovere il ritorno dell'acqua nei luoghi pubblici, (re)introducendo "punti acqua" di ristoro, informazione e cultura nei luoghi di incontro sociale (piazze, stazioni, giardini, aeroporti, stadi...) alfine di contrastare il consumo di acqua in bottiglia, così deleterio per l'ambiente e di incentivare una nuova cultura dell'acqua;
- promuovere nell'ambito di una campagna di informazione - sensibilizzazione della Provincia sul Risparmio Idrico la divulgazione dei contenuti relativi al presente ordine del giorno.

B) In una prospettiva internazionale e mondiale:
- a destinare, per ogni metro d'acqua fatturato, una piccola percentuale, un centesimo di euro, al finanziamento di progetti di cooperazione internazionale che perseguono modelli sostenibili di gestione dell'acqua nei paesi sofferenti di penuria di acqua potabile (in attuazione dei principi esposti in Agenda 21);
- a stimolare ed incentivare lo studio di soluzioni innovative per la realizzazione del diritto all'accesso dell'acqua per tutti entro il 2020.

Acqua privatizzata: ''Maledetti voi...!'' - di Alex Zanotelli

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Acqua privatizzata:
''Maledetti voi...!''

di Alex Zanotelli

Non posso usare altra espressione per coloro che hanno votato per la privatizzazione dell'acqua, che quella usata da Gesù nel Vangelo di Luca, nei confronti dei ricchi : "Maledetti voi ricchi....!"

Maledetti coloro che hanno votato per la mercificazione dell'acqua.

Noi continueremo a gridare che l'acqua è vita, l'acqua è sacra, l'acqua è diritto fondamentale umano.
E' la più clamorosa sconfitta della politica. E' la stravittoria dei potentati economico-finanziari, delle lobby internazionali. E' la vittoria della politica delle privatizzazioni, degli affari, del business.
A farne le spese è ‘sorella acqua', oggi il bene più prezioso dell'umanità, che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici, sia per l'aumento demografico. Quella della privatizzazione dell'acqua è una scelta che sarà pagata a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese (bollette del 30-40% in più, come minimo), ma soprattutto dagli impoveriti del mondo. Se oggi 50 milioni all'anno muoiono per fame e malattie connesse, domani 100 milioni moriranno di sete. Chi dei tre miliardi che vivono oggi con meno di due dollari al giorno, potrà pagarsi l'acqua?"
Noi siamo per la vita, per l'acqua che è vita, fonte di vita. E siamo sicuri che la loro è solo una vittoria di Pirro. Per questo chiediamo a tutti di trasformare questa ‘sconfitta' in un rinnovato impegno per l'acqua, per la vita, per la democrazia. Siamo sicuri che questo voto parlamentare sarà un "boomerang" per chi l'ha votato.
Il nostro è un appello prima di tutto ai cittadini, a ogni uomo e donna di buona volontà. Dobbiamo ripartire dal basso, dalla gente comune, dai Comuni.

Per questo chiediamo:

AI CITTADINI di

  • protestare contro il decreto Ronchi, inviando e-mail ai propri parlamentari;
  • creare gruppi in difesa dell'acqua localmente come a livello regionale;
  • costituirsi in cooperative per la gestione della propria acqua.

AI COMUNI di

  • indire consigli comunali monotematici in difesa dell'acqua;
  • dichiarare l'acqua bene comune, 'privo di rilevanza economica';
  • fare la scelta dell'AZIENDA PUBBLICA SPECIALE.

LA NUOVA LEGGE NON IMPEDISCE CHE I COMUNI SCELGANO LA VIA DEL TOTALMENTE PUBBLICO, DELL'AZIENDA SPECIALE, DELLE COSIDETTE MUNICIPALIZZATE.

AGLI ATO

  • ai 64 ATO (Ambiti territoriali ottimali), oggi affidati a Spa a totale capitale pubblico, di trasformarsi in Aziende Speciali, gestite con la partecipazione dei cittadini.

ALLE REGIONI di

  • impugnare la costituzionalità della nuova legge come ha fatto la Regione Puglia;
  • varare leggi regionali sulla gestione pubblica dell'acqua.

AI SINDACATI di

  • pronunciarsi sulla privatizzazione dell'acqua;
  • mobilitarsi e mobilitare i cittadini contro la mercificazione dell'acqua.

AI VESCOVI ITALIANI di

  • proclamare l'acqua un diritto fondamentale umano sulla scia della recente enciclica di Benedetto XVI, dove si parla dell'"accesso all'acqua come diritto universale di tutti gli esseri umani, senza distinzioni o discriminazioni" (27);
  • protestare come CEI (Conferenza Episcopale Italiana) contro il decreto Ronchi.

ALLE COMUNITA' CRISTIANE di

  • informare i propri fedeli sulla questione acqua;
  • organizzarsi in difesa dell'acqua.

AI PARTITI di

  • esprimere a chiare lettere la propria posizione sulla gestione dell'acqua;
  • farsi promotori di una discussione parlamentare sulla Legge di iniziativa popolare contro la privatizzazione dell'acqua, firmata da oltre 400.000 cittadini.

L'acqua è l'oro blu del XXI secolo. Insieme all'aria, l'acqua è il bene più prezioso dell'umanità. Vogliamo gridare oggi più che mai quello che abbiamo urlato in tante piazze e teatri di questo paese: "L'aria e l'acqua sono in assoluto i beni fondamentali ed indispensabili per la vita di tutti gli esseri viventi e ne diventano fin dalla nascita diritti naturali intoccabili - sono parole dell'arcivescovo emerito di Messina, G. Marra. L'acqua appartiene a tutti e a nessuno può essere concesso di appropriarsene per trarne illecito profitto, e pertanto si chiede che rimanga gestita esclusivamente dai Comuni organizzati in società pubbliche, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione al costo più basso possibile."

Note:

Chi vuole aderire alla Lettera di Zanotelli scriva un'email all'indirizzo:
beni_comuni@libero.it

Corte costituzionale: illegittimità della legge regionale sull'acqua

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Corte costituzionale:
illegittimità della legge regionale sull'acqua


In particolare della "Legge regionale 26/2003: una legge innovativa per rifiuti, sottosuolo, energia e risorse idriche in Lombardia", com'è stata definita dalla Regione lombardia nel 2003, è considerato illegittimo l'art. 49 comma 1, quello che riguarda i servizi idrici integrati e la separazione tra gestione delle reti ed erogazione. Questo potrebbe voler dire che i consorzi per l'erogazione che comprendano Pavia acque, per esempio, siano possibili (se non obbligati) essendo Pavia acque il gestore delle reti idriche in provincia di Pavia. (ic)

[...] per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 18 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”); dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 49, comma 4, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia n. 18 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere e) e p) della Costituzione, in relazione all'articolo 148, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009."


SENTENZA N. 307
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 49, commi 1 e 4, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 8 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 10 ottobre 2006, depositato in cancelleria il 17 ottobre 2006 ed iscritto al n. 106 del registro ricorsi 2006.
Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia;
udito nell'udienza pubblica del 22 settembre 2009 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
udito l'avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto
1.¾ Con ricorso notificato il 10 ottobre 2006, depositato il successivo 17 ottobre e iscritto al n. 106 del registro ricorsi dell'anno 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, commi 1 e 4, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'art. 2 [recte 4], comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 8 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”).
2. ¾ Il comma 1 dell'articolo 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo risultante dall'impugnata legge di modifica, dispone che «l'Autorità organizza il servizio idrico integrato a livello di ambito separando obbligatoriamente l'attività di gestione delle reti dall'attività di erogazione dei servizi. Tale obbligo di separazione non si applica all'Autorità dell'ambito della città di Milano, che organizza il servizio secondo modalità gestionali indicate dall'articolo 2».
2.1. ¾ La difesa erariale ritiene che la previsione della obbligatoria separazione dell'attività di gestione delle reti da quella di erogazione dei servizi sia in contrasto con gli artt. 114, 117, secondo comma, lettera p), e 119 della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali di cui all'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) ed agli artt. 143, 147, 148, 150, 151, 153 e 176 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
2.2. ¾ La difesa erariale ricostruisce il quadro normativo, rilevando che, ai sensi dell'art. 141 del d.lgs. n. 152 del 2006, il servizio idrico integrato è disciplinato da norme statali per quanto concerne la tutela dell'ambiente e della concorrenza, nonché la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di servizio idrico integrato e le relative funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
L'Avvocatura richiama, tra gli altri, l'art. 153 del medesimo decreto legislativo, in base al quale «le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell'art. 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita, per la durata della gestione, al gestore del servizio integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare».
Per la difesa erariale tale disposizione comproverebbe il principio della unità della gestione delle reti e del servizio idrico. Unità che, per l'Avvocatura, sarebbe «di fondamentale importanza, in quanto l'obbligo, a carico del gestore, della manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti» sarebbe «posto a tutela della qualità della risorsa idrica fornita e quindi della salute pubblica oltre che di ciascun utente, prevenendo qualsiasi ipotesi di trasferimento della relativa responsabilità dal soggetto obbligato alla manutenzione all'ente proprietario della rete».
2.3. ¾ La separazione della rete dalla gestione del servizio risulterebbe anche lesiva dell'autonomia dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, quale riconosciuta dagli artt. 114 e 117, ed, in specie, violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, secondo il quale rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato la definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
A tale ambito sarebbero da ricondurre, per il ricorrente, i servizi pubblici locali di acquedotto, fognatura e depurazione, le cui modalità di gestione e di affidamento, disciplinate dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, sono qualificate come inderogabili ed integrative delle discipline di settore.
La difesa erariale richiama, poi, l'art. 176 del d.lgs. n. 152 del 2006 e sostiene che, in base a tale disposizione, la disciplina (già contenuta nella legge 5 gennaio 1994, n. 36, recante Disposizioni in materia di risorse idriche) e poi trasfusa negli artt. da 141 a 176 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, detterebbe principi fondamentali della materia, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Il ricorrente richiama, inoltre, il disposto dell'art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006, rimarcando come esso estenda la categoria dei beni demaniali degli enti locali territoriali rafforzandone la destinazione ad usi di pubblico interesse.
In questo contesto, per l'Avvocatura, la disciplina impugnata lederebbe la stessa autonomia patrimoniale dell'ente territoriale (art. 119 della Costituzione), al quale dovrebbe comunque residuare la titolarità dei beni demaniali in questione.
All'autorità di ambito spetterebbero, infatti, solo la tutela di questi beni, nonché le funzioni relative all'organizzazione, all'affidamento ed al controllo della gestione del servizio idrico integrato. Mentre in capo al soggetto gestore del servizio di erogazione graverebbe l'obbligo di restituzione, alla scadenza dell'affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione, essendo esso tenuto alla manutenzione ordinaria (art. 151, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006) e straordinaria (art. 151, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006).
2.4. ¾ La separazione della gestione della rete dall'erogazione del servizio lederebbe, altresì, sempre nella prospettazione del ricorrente, il “diritto potestativo” di gestione diretta (o tramite una società a capitale interamente pubblico) del servizio idrico integrato riconosciuto ai comuni con popolazione fino a mille abitanti dall'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006. “Diritto” che risulterebbe, di contro (ed irragionevolmente), riconosciuto alla sola città capoluogo.
2.5. ¾ L'altra norma impugnata e cioè il comma 4 dell'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo risultante dall'impugnata legge di modifica, prevede che «l'affidamento dell'erogazione, così come definita dall'art. 2, comma 5, avviene con le modalità di cui alla lettera a) del comma 5 dell'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000. Nel caso di cui all'art. 47, comma 2, le Autorità possono procedere ad affidamenti congiunti per gli interambiti».
2.6. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la disposizione, nello stabilire che l'affidamento del servizio di erogazione possa avvenire solo con la modalità della gara pubblica, prevista dalla lettera a) del comma 5 dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, escludendo, pertanto, che possa avvenire anche secondo le modalità della società a capitale misto pubblico-privato ovvero della società a capitale interamente pubblico, previste dalle lettere b) e c) del medesimo comma 5, violerebbe la disciplina dettata dallo Stato, nell'esercizio della sua competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione).
La disposizione regionale, per l'Avvocatura, sarebbe pure in contrasto con la disciplina di settore, recata dal d.lgs. n. 152 del 2006, tanto nella parte in cui questa (art. 150, comma 2) prevede che l'autorità di ambito aggiudica la gestione del servizio idrico mediante gara in conformità ai criteri di cui all'art. 113, comma 5, lettere a), b) e c), del d.lgs. n. 267 del 2000, quanto nella parte in cui questa (art. 148, comma 5) riconosce ai comuni di popolazione fino a mille abitanti, ricadenti in comunità montane, la facoltà di scegliere la gestione diretta del servizio.
Complessivamente, la limitazione delle modalità di affidamento del servizio idrico integrato alla sola procedura di gara pubblica sarebbe, per l'Avvocatura, lesiva dell'autonomia degli enti locali ed eccederebbe dalla competenza legislativa regionale, finendo per incidere sulla competenza esclusiva statale in materia di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.
3. ¾ La Regione Lombardia si è costituita, eccependo l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso.
Dopo una ampia ricostruzione della disciplina normativa di riferimento e dopo il richiamo dei principi affermati dalle sentenze n. 29 del 2006 e n. 272 del 2004 della Corte costituzionale, in materia di servizi pubblici locali, la Regione individua, anzitutto, tre distinti profili di inammissibilità del ricorso.
3.1. ¾ Per la difesa regionale un primo profilo di inammissibilità consisterebbe nella erronea indicazione della norma impugnata.
L'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, i cui commi 1 e 4 sono oggetto del ricorso statale, è stato, infatti, interamente sostituito dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia n. 18 del 2006 e non, come erroneamente indicato dalla difesa erariale, dall'art. 2 della stessa legge.
3.1.1. ¾ Un secondo profilo di inammissibilità, per la Regione, discenderebbe dal carattere incerto e oscuro del petitum del ricorso, nel quale sarebbero indicati in modo confuso disposizioni regionali o statali di settore e parametri costituzionali, senza una chiara individuazione dei motivi di censura.
3.1.2. ¾ Un terzo profilo di inammissibilità discenderebbe, infine, dalla palese aberratio ictus del ricorso.
Per la Regione il fine del ricorso sarebbe, infatti, non tanto quello di censurare la separazione tra la gestione delle reti e l'attività di erogazione del servizio, quanto quello di contestare l'affidamento della gestione delle reti agli enti locali e/o alle società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico incedibile. Sennonché tali previsioni sarebbero contenute non negli impugnati commi 1 e 4 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, bensì nei commi 2 e 3 del medesimo articolo (nonché nell'ivi richiamato art. 2, comma 1, della stessa legge) ovvero in disposizioni non fatte oggetto di censura.
3.2. ¾ Nel merito la Regione contesta, anzitutto, la fondatezza della censura riferita al comma 1 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, come novellato, sostenendo che non sussisterebbe nel d.lgs. n. 152 del 2006 alcuna norma che vieti la separazione tra gestione delle reti ed erogazione del servizio.
Per la difesa regionale tale principio non sarebbe infatti enucleabile né dall'art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, invocato dall'Avvocatura dello Stato, né dalle altre disposizioni pure richiamate dalla difesa erariale (artt. 147, comma 2, lettera b), 148, comma 5, 149, comma 5, e 150, comma 1).
Per la Regione, da un canto, la separazione della gestione della rete da quella dell'erogazione del servizio sarebbe pienamente legittima, in quanto non vietata né espressamente né implicitamente dalla normativa di settore richiamata dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000. E, dall'altro, il diverso principio della unicità territoriale della gestione sarebbe da intendersi come unitarietà della stessa all'interno di ciascun ambito ottimale e, pertanto, come necessità di superamento di ogni frammentazione orizzontale tra gestioni all'interno dell'ambito ottimale.
3.3. ¾ La difesa regionale sostiene, poi, che l'impugnato art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003 non sarebbe in alcun modo lesivo dell'autonomia degli enti locali né eccederebbe la competenza legislativa regionale.
Al riguardo, la Regione richiama la sentenza n. 272 del 2004 della Corte costituzionale, per la quale la materia dei servizi pubblici locali rientra nella competenza residuale delle Regioni, di cui all'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
3.4. ¾ La Regione reputa, poi, «incomprensibile» il richiamo delle previsioni degli artt. 143 e 151, comma 2, lettera m), del d.lgs. n. 152 del 2006, riguardanti gli impianti di proprietà degli enti locali e gli obblighi di restituzione degli stessi alla scadenza dell'affidamento, effettuato dal Presidente del Consiglio dei ministri. Tali aspetti della disciplina statale non sarebbero, infatti, né collegati né messi in discussione dalla disposizione impugnata.
3.5. ¾ La Regione contesta, inoltre, la lettura dell'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006 data dal ricorrente.
Per la difesa regionale la previsione, che consente ai comuni con popolazione fino a mille abitanti la gestione diretta (o tramite una società a capitale interamente pubblico) del servizio idrico integrato, non sarebbe una norma di principio vincolante la legislazione regionale, bensì solo una disposizione di dettaglio per la «salvaguardia di gestioni esistenti che abbiano dato prova di operare secondo parametri di efficacia sul piano della qualità e dell'economicità dei servizi».
«In ogni caso», continua la Regione, «la norma regionale censurata dall'Avvocatura dello Stato» non si porrebbe in contrasto con la disposizione statale, dacché «avendo in realtà ad oggetto, la sola Autorità d'ambito della città di Milano» non recherebbe una preclusione esplicita di gestione diretta da parte dei piccoli comuni.
3.6. ¾ La Regione ritiene, infine, viziata da assoluta genericità ed addirittura «incomprensibile» la censura riferita alla violazione dell'art. 119 della Costituzione.
«In subordine», afferma la Regione, «se con tale censura si intende contestare l'attribuzione da parte della legge regionale, della gestione delle reti agli enti locali e/o alle società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico incedibile, tale censura risulta inammissibile per aberratio ictus».
3.7. ¾ In ordine alla censura relativa al comma 4 dell'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, la difesa regionale sostiene che la legislazione statale di settore non imporrebbe affatto tutti e tre i modelli di affidamento astrattamente prefigurati dal comma 5 dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, rimettendo, invece, al legislatore regionale la scelta su quale opzione seguire. Peraltro, per la Regione, la previsione contestata sarebbe comunque legittima, in quanto tesa ad introdurre un regime, quello della gara pubblica, più concorrenziale rispetto alla corrispondente norma di legge statale. In proposito la Regione sottolinea la “criticità” rispetto alla disciplina comunitaria della concorrenza degli istituti dei c.d. affidamenti in house, e rimarca come la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, proprio in ragione del suo carattere funzionale e trasversale, non escluda affatto un intervento normativo regionale, in senso di maggiore concorrenzialità del mercato.
3.8. ¾ La limitazione delle modalità di affidamento della erogazione del servizio idrico integrato alla sola gara pubblica non sarebbe per la Regione neppure lesiva dell'autonomia degli enti locali né toccherebbe le loro funzioni fondamentali. Sul punto la Regione richiama nuovamente i principi affermati nella sentenza n. 272 del 2004 della Corte costituzionale e sottolinea come lo stesso art. 151, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimetta alle Regioni la definizione di convenzioni tipo, le quali devono prevedere in particolare il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio.
4. ¾ Successivamente alla proposizione del ricorso, l'art. 8 della legge della Regione Lombardia 27 febbraio 2007, n. 5 (Interventi normativi per l'attuazione della programmazione regionale e di modifica e integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2007) ha interpretato autenticamente le disposizioni impugnate, prevedendo:
- al comma 1, che «[l]'articolo 49, comma 2, secondo periodo, e comma 3, della L.R. n. 26/2003, è da intendersi nel senso che la società cui spetta l'attività di gestione è unica a livello d'ambito territoriale ottimale e che, qualora la società non sia anche rappresentativa di almeno i due terzi dei comuni dell'ambito, la gestione è affidata o a un'unica società a livello d'ambito partecipata esclusivamente e direttamente da tutti i comuni, o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, a condizione che gli stessi esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti locali che la controllano, oppure a un'unica impresa a livello d'ambito individuata con le modalità di cui al'articolo 49, comma 3, lettera b), della L.R. n. 26/2003»;
- al comma 2, che «[l]'articolo 49, comma 4, primo periodo, della L.R. n. 26/2003, si interpreta nel senso che l'attività di erogazione del servizio è affidata a un soggetto unico a livello d'ambito territoriale ottimale».
5. ¾ In prossimità della udienza pubblica del 20 novembre 2007 la Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale, in buona sostanza, ha ribadito le difese già svolte.
5.1. ¾ La difesa regionale, inoltre, ha rilevato come, conformemente alle proprie argomentazioni, lo «Schema di decreto legislativo concernente “Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante norme in materia ambientale”» abbia previsto la sostituzione del termine “unicità della gestione”, presente nell'art. 147, comma 2, lettera b), con quello di “unitarietà della gestione”.
5.2. ¾ La difesa regionale ha, inoltre, eccepito l'inammissibilità della censura proposta in riferimento alla violazione dell'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, per mancata indicazione del parametro costituzionale violato.
5.3. ¾ La Regione Lombardia ha rilevato, infine, che un intervento normativo analogo a quello da essa realizzato con l'introduzione del comma 4 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, come novellato, è stato posto in essere dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con la legge regionale 23 giugno 2005, n. 13 (Organizzazione del servizio idrico integrato e individuazione degli ambiti territoriali ottimali in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36, «Disposizioni in materia di risorse idriche»), senza che questo desse luogo ad alcuna impugnazione da parte del Governo.
6. ¾ Nell'udienza del 20 novembre 2007, su richiesta concorde delle parti, è stato disposto il rinvio della trattazione del giudizio, per consentire un tentativo di conciliazione extragiudiziale della controversia ed, in particolare, in ragione di una possibile modifica della legge regionale oggetto del giudizio.
7. ¾ Successivamente è stato emanato il decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), il quale ha modificato, in parte, le norme del d.lgs. n. 152 del 2006 invocate quali parametri interposti del giudizio.
In particolare, il nuovo art. 147, comma 2, lettera b), prevede che le Regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, nel rispetto (non più del principio della unicità, bensì) del principio di unitarietà della gestione e, comunque, del superamento della frammentazione verticale delle gestioni.
Analogamente, il nuovo art. 150, comma 1, prevede che l'autorità d'ambito deliberi la forma di gestione del servizio idrico integrato fra quelle di cui all'art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, nel rispetto del piano d'ambito e (non più del principio della unicità, bensì) del principio di unitarietà della gestione per ciascun ambito.
Mentre l'art. 148, comma 5, prevede che, ferma restando la partecipazione obbligatoria all'autorità d'ambito di tutti gli enti locali, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso dell'Autorità d'ambito competente.
7.1. ¾ E' stato, poi, emanato l'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha modificato l'art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, stabilendo la regola della gara pubblica per l'affidamento dei servizi pubblici locali e la graduale eliminazione delle altre forme di affidamento.
8. ¾ In data 28 gennaio 2009 (in prossimità dell'udienza pubblica del 10 febbraio 2009, alla quale il giudizio era stato nuovamente rinviato), la resistente Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale dà atto della approvazione (in data 27 gennaio 2009) da parte del Consiglio regionale del progetto di legge regionale presentato dalla Giunta regionale dal titolo «Modifiche alle disposizioni generali e alla disciplina del servizio idrico integrato di cui alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”», recante modifiche alle disposizioni impugnate nel presente giudizio.
In considerazione della prevista parziale abrogazione e modifica di tali disposizioni la difesa regionale ha chiesto il rinvio della trattazione nel merito del giudizio, «per permettere al Governo un'attenta valutazione del testo, al fine di rinunciare al ricorso».
Sempre in data 28 gennaio 2009 l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una istanza di rinvio, al fine di valutare «alla luce delle nuove norme regionali, nonché del mutato quadro normativo statale di riferimento, se si possa procedere ad una rinuncia del ricorso per cessata materia del contendere».
9. ¾ In prossimità dell'udienza pubblica del 22 settembre 2009 la Regione Lombardia ha depositato una memoria, nella quale evidenzia la sopravvenuta sostituzione delle disposizioni impugnate da parte dell'art. 6 della legge regionale 29 gennaio 2009, n. 1 (Modifiche alle disposizioni generali del servizio idrico integrato di cui alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”).
9.1. ¾ L'art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009, ha sostituito, in effetti, l'impugnato comma 1 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, come modificato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, prevedendo che «[l]'Autorità organizza il servizio idrico integrato a livello di ambito separando l'attività di gestione delle reti dall'attività di erogazione dei servizi. In sede di approvazione del piano d'ambito, o con successiva modifica, l'Autorità può deliberare la non separazione fra gestione ed erogazione ai sensi dell'articolo 2, comma 6, in ragione di condizioni di maggior favore che tale scelta comporta a beneficio dell'utenza servita. Qualora il piano preveda la non separazione fra gestione delle reti ed erogazione del servizio, allo stesso o alla sua modifica deve essere allegata una relazione che espliciti le condizioni di maggior favore. L'affidamento congiunto di gestione ed erogazione è disposto dall'Autorità d'ambito ad un unico soggetto ai sensi del comma 3 e nel rispetto delle modalità di cui al comma 4-bis, per un periodo che non può superare i dieci anni. A carico di tale unico soggetto sono posti gli obblighi assegnati al gestore e all'erogatore in base alla presente legge e nel rispetto dell'articolo 2, comma 6-bis».
Lo stesso art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009 ha sostituito, altresì, l'impugnato comma 4 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, prevedendo che «[l]'erogazione del servizio, così come definita dall'articolo 2, comma 5, è affidata, secondo la normativa comunitaria, a un unico soggetto per ambito con le modalità di cui all'articolo 23-bis, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 per un periodo non superiore a dieci anni. Nell'ipotesi di cui all'articolo 47, comma 2, le Autorità possono procedere ad affidamenti congiunti per gli interambiti. L'Autorità, con deliberazione adottata con il voto favorevole dei due terzi dei componenti, può affidare direttamente l'erogazione del servizio alla unica società patrimoniale d'ambito se presenta le caratteristiche della società di cui al comma 3, lettera a)».
Il predetto art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009 aggiunge, poi, dopo il comma 4 dell'art. 49 della legge regionale n. 26 del 2003, i commi 4-bis, 4-ter, 4-quater, secondo i quali:
- (4-bis) «[I]l ricorso alle modalità di affidamento diretto della gestione, della erogazione o congiuntamente di entrambe, ai sensi del comma 3, lettera a), è ammesso solo nel rispetto dell'articolo 23-bis, comma 3, L. 133/2008. L'Autorità d'ambito, fermi restando gli obblighi previsti dall'articolo 23-bis, comma 4, L. 133/2008, in caso di ricorso all'affidamento diretto è tenuta a dare adeguata pubblicità alla scelta e alla motivazione della decisione, secondo forme e modi stabiliti dalla Giunta regionale e a trasmettere una relazione al Garante dei servizi di cui all'articolo 3, motivando la scelta del ricorso all'affidamento diretto e alle relative modalità operative per l'espressione di un parere sui profili di competenza»;
- (4-ter) «[L]a Giunta regionale: a) disciplina la pubblicità della scelta di cui al comma 4-bis, stabilendone almeno la pubblicazione sull'albo pretorio e sul sito informatico dell'Autorità d'ambito, nonché la pubblicizzazione con ulteriori strumenti informativi, inclusa quella su quotidiani nazionali e regionali; b) precisa i contenuti della relazione di cui al comma 4-bis, nonché le modalità per la richiesta e l'espressione del parere del Garante da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della documentazione dell'Autorità»;
- (4-quater) «[I]l mancato rispetto degli impegni sottoscritti dall'erogatore o dal soggetto titolare dell'affidamento congiunto di gestione ed erogazione, contenuti nel contratto di servizio, per tre anni consecutivi o per il termine inferiore indicato nel contratto di servizio, comporta per l'Autorità l'obbligo di risolvere il contratto. In caso di accertata inattività dell'Autorità la Regione interviene ai sensi dell'articolo 13-bis.».
9.2. ¾ La difesa regionale sostiene che, alla luce delle nuove disposizioni recate dall'art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009, sarebbe cessata la materia del contendere del presente giudizio.
9.3. ¾ La prevista facoltatività (in luogo della anteriormente prevista obbligatorietà) della separazione tra la gestione della rete e quella della erogazione del servizio farebbe, infatti, venire meno l'interesse statale alla impugnativa dell'art. 49, comma 1, della legge regionale n. 26 del 2003, come modificato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006.
9.4. ¾ La prevista sottoposizione delle procedure di affidamento della erogazione del servizio alla disciplina comunitaria e a quella recata dall'art. 23-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, (in luogo della anteriormente prevista applicazione della sola modalità di cui all'art. 113, comma 5, lettera a), del d.lgs. n. 267 del 2000 ovvero della sola modalità della gara pubblica), sempre secondo la difesa regionale, farebbe venire meno l'interesse anche in ordine alla ulteriore censura statale, riferita al comma 4 dell'art. 49, come modificato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006. Ciò, in quanto il predetto art. 23-bis (che, al comma 11, ha espressamente abrogato tutte le previsioni incompatibili dettate dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000) consentirebbe tanto l'affidamento a favore di imprenditori o di società in qualunque forme costituite individuate mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (art. 23-bis, comma 2), quanto l'affidamento diretto, purché nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria (art. 23-bis, commi 3 e ss.).
La difesa regionale, anche in considerazione della previsione dell'art. 49, comma 1, della legge regionale n. 26 del 2003, come sostituito dall'art. 6 della legge regionale n. 1 del 2009, per il quale, in caso di affidamento congiunto della gestione della rete e della erogazione del servizio ad unico soggetto, questo viene individuato, ai sensi dell'art. 49, comma 3, della medesima legge tra «società partecipate esclusivamente e direttamente dai comuni o altri enti locali compresi nell'ambito territoriale ottimale, a condizione che gli stessi esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti locali che la controllano» ovvero tra «imprese idonee da individuare mediante procedure a evidenza pubblica» sostiene che, in definitiva, vi sarebbe perfetta compatibilità (ed anzi sovrapponibilità) tra la disciplina regionale ora vigente e quella invocata dallo Stato nel presente giudizio quale norma interposta asseritamente violata, di cui all'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000.
9.5. ¾ La difesa regionale sostiene, infine, che, laddove fosse ritenuto necessario alla verifica dell'attualità dell'interesse al ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, potrebbe procedersi ad una istruttoria per accertare l'avvenuta applicazione o meno delle disposizioni impugnate prima della loro intervenuta abrogazione e sostituzione.
9.6. ¾ In via subordinata rispetto alla richiesta declaratoria di cessazione della materia del contendere, la difesa regionale lombarda, rilevato che sono stati proposti due ricorsi governativi (r. ric. n. 26 e n. 56 del 2009) avverso disposizioni della legge regionale n. 1 del 2009 e della legge 29 giugno 2009, n. 10 (Disposizioni in materia di ambiente e servizi di interesse economico generale – Collegato ordinamentale), anch'esse relative alla disciplina del servizio idrico integrato, chiede il rinvio della trattazione del presente giudizio, al fine di consentire l'esame congiunto dei tre ricorsi.
9.7. ¾ Nel merito la difesa regionale ribadisce, peraltro, gli argomenti già sviluppati nel senso della infondatezza del ricorso statale.
10. ¾ All'udienza del 22 settembre 2009 l'Avvocatura generale dello Stato ha affermato la persistenza dell'interesse a ricorrere, atteso che le disposizioni impugnate avrebbero avuto applicazione prima della loro abrogazione e sostituzione, e ha depositato alcuni documenti dai quali sarebbe desumibile l'avvenuta applicazione delle stesse.
La difesa della Regione Lombardia si è opposta a tale produzione documentale, in ragione della tardività ed irritualità del deposito.
Considerato in diritto
1. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, commi 1 e 4, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituiti dall'art. 2 (recte 4), comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 18 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 «Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche»).
1.1. ¾ L'art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo novellato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, prescrive che: «L'Autorità organizza il servizio idrico integrato a livello di ambito separando obbligatoriamente l'attività di gestione delle reti dall'attività di erogazione dei servizi. Tale obbligo di separazione non si applica all'Autorità dell'ambito della città di Milano, che organizza il servizio secondo le modalità gestionali indicate dall'art. 2»
Per il ricorrente tale disposizione sarebbe in contrasto con gli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali di cui all'art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) ed agli artt. 143, 147, 148, 150, 151, 153 e 176 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in quanto avrebbe violato il principio dell'unità della gestione delle reti e del servizio previsto dalla disciplina dettata dallo Stato nell'esercizio della sua competenza legislativa esclusiva in ordine alla definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
La disposizione impugnata sarebbe, poi, in contrasto con l'art. 119 della Costituzione, in quanto la separazione della gestione della rete da quella del servizio sarebbe dovuta avvenire con il conferimento della proprietà degli impianti, della rete e delle opere ad una società interamente partecipata dai comuni, nelle forme indicate dall'art. 2, comma 1, e 49, commi 2 e 3, della medesima legge regionale n. 26 del 2003, come novellata, e non avrebbe garantito la titolarità in capo ai comuni dei beni del proprio demanio idrico.
L'art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo novellato dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, viene, infine, censurato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in relazione all'art. 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto la separazione della gestione della rete dalla erogazione del servizio non avrebbe rispettato il “diritto potestativo” di gestione diretta (o tramite una società a capitale interamente pubblico) del servizio idrico integrato riconosciuto ai comuni con popolazione fino a mille abitanti ricadenti in comunità montane.
1.2. ¾ L'art. 49, comma 4, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, nel testo risultante dall'impugnata legge di modifica n. 18 del 2006, prevede che l'affidamento della gestione dell'erogazione del servizio idrico integrato debba avvenire con la modalità della gara pubblica, prevista dalla lettera a) del comma 5 dell'articolo 113 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Per il ricorrente tale disposizione, nella parte in cui esclude che l'affidamento della gestione dell'erogazione del servizio idrico integrato non possa avvenire anche secondo le modalità della società a capitale misto pubblico privato ovvero della società a capitale interamente pubblico, previste dalle lettere b) e c) del medesimo comma 5, dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, avrebbe violato l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in quanto contraria alla disciplina dettata dallo Stato nell'esercizio della sua competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza.
La disposizione impugnata sarebbe, poi, in contrasto con gli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione, per ragioni analoghe a quelle sopra indicate in merito all'impugnazione del comma 1.
L'art. 49, comma 4, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, viene, infine, censurato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in relazione all'articolo 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, anche in questo caso, per ragioni analoghe a quelle sopra indicate in merito all'impugnazione del comma 1.
2. ¾ Deve preliminarmente rilevarsi che le disposizioni impugnate sono state modificate da parte dell'art. 6 della legge regionale 29 gennaio 2009, n. 1 (Modifiche alle disposizioni generali del servizio idrico integrato di cui alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”).
Peraltro, stante la vigenza delle disposizioni impugnate per circa due anni prima della loro abrogazione e sostituzione a carattere non retroattivo e non constando che esse non abbiano avuto nelle more concreta applicazione, deve ritenersi il perdurante interesse del ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri all'impugnazione proposta, limitatamente al periodo di vigenza delle disposizioni stesse.
3. ¾ Ancora in via preliminare deve dichiararsi la inammissibilità della produzione documentale depositata dall'Avvocatura generale dello Stato nel corso dell'udienza pubblica del 22 settembre 2009, stante la tardività di tale produzione e l'opposizione della resistente Regione Lombardia sul punto.
3.1. ¾ Sempre in via preliminare devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa della Regione Lombardia.
3.2. ¾ L'errore materiale nell'indicazione della norma impugnata denunciato dalla resistente è effettivamente sussistente (l'articolo 49 della legge regionale n. 26 del 2003, i cui commi 1 e 4 sono oggetto del ricorso statale, è stato interamente sostituito dall'art. 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006 e non dall'articolo 2 della stessa legge, erroneamente indicato dalla difesa erariale), ma ciò non preclude l'ammissibilità del ricorso, dato che questo riporta il testo esatto delle disposizioni impugnate, sicché nessun dubbio sussiste in ordine alla identificazione delle stesse.
3.3. ¾ Quanto alla prospettata incertezza ed oscurità del petitum, si deve rilevare che il ricorso enuncia con sufficiente chiarezza i motivi di censura, là dove contesta, in relazione alla normativa statale di settore in materia di servizio idrico integrato, l'obbligo di separazione tra la gestione della rete e della erogazione del servizio idrico, nonché i criteri di affidamento di quest'ultimo, previsti dalla legge regionale censurata.
3.4. ¾ Non appare, infine, sussistere la prospettata aberratio ictus del ricorrente, atteso che, contrariamente a quanto assume la difesa regionale, il ricorso censura, in via generale, la possibilità di affidare separatamente la gestione delle reti e l'attività di erogazione del servizio (prevista dall'impugnato comma 1 dell'art. 49 della legge regionale, n. 26 del 2003) e non l'affidamento della gestione delle reti agli enti locali e/o alle società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico incedibile (previsto nei non impugnati commi 2 e 3 del medesimo art. 49). Disciplina quest'ultima, che, peraltro, non è stata oggetto di impugnazione da parte dello Stato.
4. ¾ Nel merito può anzitutto rilevarsi che entrambe le disposizioni regionali impugnate riguardavano il servizio idrico integrato.
La relativa disciplina statale è stata dettata, essenzialmente, dal d.lgs. n. 152 del 2006, il cui art. 141 evidenzia come lo Stato, per regolare tale oggetto, abbia fatto ricorso a sue competenze esclusive in una pluralità di materie: funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela dell'ambiente, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Deve, in altri termini, parlarsi di un concorso di competenze statali, che vengono esercitate su oggetti diversi, ma per il perseguimento di un unico obiettivo, quello dell'organizzazione del servizio idrico integrato.
4.1. ¾ Ciò premesso in linea generale, devono ora trattarsi separatamente le questioni relative al primo ed al quarto comma dell'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006, sostitutivo di detti commi.
5. ¾ La questione sollevata avverso l'art. 49, comma 1, in riferimento agli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali di cui all'articolo 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 ed agli artt. 143, 147, 148, 150, 151, 153 e 176 del d.lgs. n. 152 del 2006, è fondata.
5.1. ¾ L'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, nel disciplinare la gestione delle reti e l'erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, prevede che siano le discipline di settore a stabilire i casi nei quali l'attività di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici locali può essere separata da quella di erogazione degli stessi. Pone, cioè, un generale divieto di separazione, salva la possibilità per le discipline di settore di prevederla.
Per quanto attiene al servizio idrico integrato, come si è detto, la disciplina statale di settore è recata dal d.lgs. n. 152 del 2006.
Quest'ultimo non prevede né espressamente né implicitamente la possibilità di separazione della gestione della rete idrica da quella di erogazione del servizio idrico; mentre in varie disposizioni del decreto sono riscontrabili chiari elementi normativi nel senso della loro non separabilità.
L'art. 147, comma 2, lettera b) del d.lgs. n. 152 del 2006, in particolare, nel testo vigente alla data di promulgazione della legge regionale impugnata, impone alle Regioni di osservare, in sede di modifica delle delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, oltre i principi di efficienza, efficacia ed economicità, soprattutto quello di «unicità della gestione e, comunque, del superamento della frammentazione verticale delle gestioni».
In questo contesto appare non rilevante la novella recata alla prima parte dello stesso art. 147, comma 2, lettera b), nonché all'art. 150, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 dal d.lgs. correttivo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n, 152, recante norme in materia ambientale), secondo la quale, nella individuazione dei principi vincolanti le Regioni nella organizzazione degli ambiti territoriali ottimali e nella scelta delle forme e delle procedure di affidamento, l'espressione «unicità della gestione» deve essere sostituita con quella di «unitarietà della gestione».
Indipendentemente da ogni considerazione sul valore semantico dei termini «unicità» ed «unitarietà» della gestione, è, infatti evidente che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte.
La non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico è confermata anche da ulteriori disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006.
Anzitutto, gli artt. 151, commi 2 e 4, e 153 del d.lgs. n. 152 del 2006, sia prima che dopo la novella recata dal decreto correttivo n. 4 del 2008, prevedono che il gestore del servizio idrico integrato debba gestire e curare la manutenzione (ordinaria e straordinaria) delle reti e quindi escludono che possa darsi una distinzione tra gestore della rete, tenuto alla sua manutenzione, e erogatore del servizio, che da tale obbligatoria attività sia sollevato.
L'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, poi, tanto nel testo vigente alla data di promulgazione della legge regionale impugnata, quanto in quello risultante dalle successive novelle, regola l'affidamento del servizio idrico integrato senza differenziare affatto tra affidamento della rete e del servizio di erogazione e quindi senza consentire una separazione tra di essi.
5.2. ¾ Stabilito che la disciplina statale di settore non consente la separabilità tra gestione della rete e gestione del servizio idrico integrato, resta da chiarire che tale principio risulta vincolante per il legislatore regionale, in quanto riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di funzioni fondamentali dei comuni (art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.). Infatti, le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l'evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina è stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dal novellato art. 117.
Ciò non toglie, ovviamente, che la competenza in materia di servizi pubblici locali resti una competenza regionale, la quale, risulta in un certo senso limitata dalla competenza statale suddetta, ma può continuare ad essere esercitata negli altri settori, nonché in quello dei servizi fondamentali, purché non sia in contrasto con quanto stabilito dalle leggi statali.
L'art. 49, comma 1, della legge regionale n. 26 del 2003, novellato dalla legge regionale n. 18 del 2006, dunque, ponendo il principio della separazione delle gestioni, violava specificamente la competenza statale in materia di funzioni fondamentali dei comuni, laddove, in contrasto con la disciplina statale, consentiva ed anzi imponeva una separazione non coordinata tra la gestione della rete e l'erogazione del servizio idrico integrato.
5.3. ¾ Resta assorbita ogni ulteriore questione relativa al comma 1 dell'art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge regionale n. 18 del 2006.
6. ¾ Le questioni sollevate in ordine al comma 4 del medesimo art. 49 sono, invece, non fondate.
6.1. ¾ Le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica sono regolate, in via generale, dall'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 e dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008. Norme entrambe emanate nell'esercizio della competenza statale in materia di tutela della concorrenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione (cfr. sent. n. 272 del 2004).
Inconferente risulta, pertanto, in subiecta materia l'invocazione da parte del ricorrente degli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, nonché dell'articolo 148, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, posto che la regolamentazione di tali modalità non riguarda un dato strutturale del servizio né profili funzionali degli enti locali ad esso interessati (come, invece, la precedente questione relativa alla separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico), bensì concerne l'assetto competitivo da dare al mercato di riferimento.
6.2. ¾ La disciplina statale vigente al momento della proposizione del ricorso (art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000) prevedeva, al riguardo, più forme di affidamento, consentendo che esso avvenisse, oltre che a favore di società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, anche, a determinate condizioni, a favore di società a capitale misto pubblico–privato ovvero di società a capitale interamente pubblico.
Al fine di garantire una maggiore concorrenzialità dei relativi mercati la successiva disciplina recata dall'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, che si è in parte sovrapposta e in parte integrata con quella dell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, ha previsto la necessità della gara pubblica per l'affidamento del servizio pubblico locale a rilevanza economica, limitando ulteriormente e sempre con il rispetto delle norme comunitarie il ricorso a forme di affidamento differenti.
In questo contesto si inserisce la disposizione regionale impugnata, la quale, peraltro, in riferimento al solo servizio di erogazione idrica, prevedeva una disciplina parzialmente differente, consentendo solo l'affidamento mediante gara pubblica.
Le norme statali, tanto quelle vigenti all'epoca dei fatti, quanto le attuali, sono, come si nota, meno rigorose di quelle poste dalla Regione. Occorre allora stabilire se le Regioni, in tema di tutela della concorrenza, possono dettare norme che tutelano più intensamente la concorrenza, rispetto a quelle poste dallo Stato.
Al riguardo, deve considerarsi che la Costituzione pone il principio, insieme oggettivo e finalistico, della tutela della concorrenza, e si deve, pertanto, ritenere che le norme impugnate, in quanto più rigorose delle norme interposte statali, ed in quanto emanate nell'esercizio di una competenza residuale propria delle Regioni, quella relativa ai “servizi pubblici locali”, non possono essere ritenute in contrasto con la Costituzione.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 49, comma 1, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia 18 agosto 2006, n. 18 (Conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di servizi locali di interesse economico generale. Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 “Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”);
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 49, comma 4, della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera p), della legge della Regione Lombardia n. 18 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere e) e p) della Costituzione, in relazione all'articolo 148, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA