L'acqua prelevata dal Sinni per l'acciaio Ilva - di Monica Capo

Mentre nel mondo più di un miliardo di persone vivono senz'acqua potabile, l'Ilva di Taranto si permette il lusso di usare l'acqua potabile prelevata dal Sinni per raffreddare l'acciaio.
 
Si era proposto, mesi fa, di sostituire nell'impianto industriale l'acqua destinata al potabile, prelevata dal Sinni, con quella super affinata proveniente dall'impianto Gennarini Bellavista di Taranto: un'ipotesi questa, formulata dalla Regione Puglia, che avrebbe potuto dare un contributo per la risoluzione dell'emergenza idrica che, in alcuni periodi dell'anno, caratterizza la provincia del capoluogo ionico.
 
Lo stabilimento siderurgico, infatti, fino al 2006 prelevava circa 800 litri di acqua al secondo, poi scesi a 600 litri, da un paio d'anni ridotti a 250 litri.

L'Ilva, però, per l'utilizzo dell'impianto Gennarini Bellavista avrebbe dovuto pagare un compenso all'Acquedotto Pugliese gestore della struttura e ha, quindi, rispedito al mittente la proposta manifestando la sua volontà di continuare ad usare per la sua attività industriale l'acqua potabile proveniente dal Sinni.

A questo punto, l’assessore ai Lavori pubblici, Fabiano Amati, ha chiesto un incontro al governatore lucano Vito De Filippo per chiedere di abbassare il costo per gli usi civili dell’acqua a discapito di quelli industriali, ovvero soprattutto dell’Ilva che, secondo Amati, gestisce questa partita «con il piglio dei padroni medievali piuttosto che quello degli illuminati imprenditori moderni».

Ed e’ davvero troppo per una città che soffre già l’oppressione della grande industria, e paga in termini di inquinamento, malattie e morti sul lavoro.

Non va dimenticato, che i vertici dell’Ilva sono indagati, ed è la prima volta che accade, per disastro ambientale, sulla gestione delle polveri: le indagini della procura di Taranto sono state avviate dopo l'accertata contaminazione di animali e sostanze alimentari a ridosso della zona industriale di Taranto.

Referendum: dov’è il popolo delle piazze e dove sono gli intellettuali? - di Emilio Molinari




Il 12 e 13 giugno, circa 50 milioni di italiani dovrebbero recarsi alle urne per il referendum sull'acqua pubblica e contro il ritorno del nucleare. Per impedire il quorum il governo ha negato l'election day, per il solo voto di un radicale e l'assenza di 10 parlamentari del centro sinistra. 300 milioni spesi per evitare il quorum. Teme di dividersi al proprio interno, mentre centinaia di realtà di questo partito si stanno esprimendo e si impegnano per i Sì!

Ma ciò che più mi preoccupa è il silenzio e l'indifferenza per i referendum, mostrata finora da una parte di quel popolo capace di mobilitarsi, di indignarsi e di scendere in piazza e da parte di quegli uomini e donne che per ruolo pubblico e mediatico sono in grado di dare impulso ai messaggi. Per questo popolo i referendum sull'acqua pubblica e il nucleare, malgrado la drammatizzazione che quest'ultimo ha avuto con la centrale nucleare in Giappone, sembrano ancora lontani dall'essere compresi nella loro portata e immediatezza politica.
Solo il «Via Berlusconi» coniugato di volta in volta da indignazioni per gli attacchi alla Costituzione, alle donne, alla giustizia ecc... sembra appassionare questo popolo e spingerlo a mobilitarsi in milioni.

Donne, intellettuali, attori, cantanti, giornalisti, associazioni d'ogni tipo sono pronti ad unirsi per il «Via Berlusconi», ma poi sui contenuti tornano al proprio particolare. Non è politica questa, forse indebolirà il personaggio, ma non la cultura di massa che lo esprime e soprattutto, permettetemi, ci rende indifferenti ai contenuti capaci di incidere nella cultura dominante, che tra pochi mesi saremo chiamati tutti al voto referendario e che vincere o perdere non riguarda solo i promotori.

Ma è una grande opportunità per cambiare come cittadini, la politica di questo paese e non solo. Un mese fa al Palasharp di Milano erano presenti Saviano, Eco, Zagrebelsky il meglio della cultura italiana... ma solo Paul Ginsborg ha parlato di acqua e di referendum. Per tutti gli altri, l'agenda politica reale, lo scontro concreto, sembrava non esistere e continua a non esistere. Nelle straordinarie manifestazioni delle donne nessuna delle organizzatrici ha parlato di nucleare o di acqua, eppure l'acqua è la vita, è la madre, è la donna. L'acqua è, più d'ogni altra questione, in grado di incidere nella cultura berlusconiana o leghista, eppure il nucleare si è riproposto con tutta la sua tragica attualità.

La manifestazione per l'acqua pubblica e il nucleare a Roma il 26 marzo, è stata grande, bella, intelligente, ma non è stata dell'ampiezza di altre in particolare di quella delle donne e non ha avito la benedizione di questo movimento o dei grandi personaggi, a parte Celentano. Perché? Il mio sconcerto sta qui. E continuerò a chiedere a Saviano o a tutti agli altri intellettuali il perché del loro silenzio, come continuerò chiedere alle donne che pure considero l'interlocutore principale per i referendum, perché tanta indifferenza per i grandi problemi di questo nostro tempo? Problemi di oggi, universali, per i quali la nostra generazione è chiamata a decidere e a rispondere per le generazioni future.

I referendum e le profonde motivazioni che li determinano, sono una battaglia che va ben al di là delle nostre miserie nazionali, non cercano consenso ad un partito o ad uno schieramento, vanno ben al di là della privatizzazione di un servizio, l'aumento di una tariffa o l'idiozia della crescita energetica che motiva il nucleare. Parlano della vita. L'indignazione per Berlusconi è cosa sana, ma non rimescola le carte, non sposta consensi, non è capace di ridare alla politica l'idealità e il senso, perduto, dell'interesse pubblico.

Il testamento del 93 enne partigiano francese, Stephan Hassel, ultimo vivente degli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ci dice: indignatevi! per i perduti diritti universali alla vita, alla salute, alla scuola, alla pensione, per la svendita dei beni comuni. Diritti trasversali. Capaci di rispondere al vuoto dei partiti e rompere quegli interessi che bloccano e logorano come un cancro la politica italiana e mondiale.

La percezione è di essere sull'orlo di un abisso. La crisi finanziaria in Europa scarica 4 trilioni di euro sul debito pubblico per salvare le banche, taglia la spesa pubblica e privatizza. La crisi economica non può più essere affrontata con il rilancio dei consumi, perché vengono meno le risorse e il nucleare esplode in mano agli apprendisti stregoni. La crisi energetica e la crisi idrica si alimentano tra loro e generano la crisi alimentare che investe miliardi di persone e di cui si intravvedono già gli effetti catastrofici nelle migrazioni, nelle rivolte, nelle guerre.

Ebbene i referendum affrontano questo ordine di problemi. Chiamano tutti alla materialità delle questioni e al pari tempo all'etica, alla spiritualità dei beni comuni, al senso di comunità. I referendum non sono di un partito, non sono nemmeno di sinistra, indicano che abbiamo superato il «limite». Il referendum per l'acqua pubblica è chiesto da 1,4 milioni di persone, che trasversalmente per una volta tanto non parlano con la voce della «pancia» e dell'egoismo, ma con quella degli interessi generali, collettivi. Non parla in odio ai partiti, li richiama alla responsabilità di gestire la cosa pubblica. Chiedono loro di smetterla di rinunciare a fare politica e di consegnarsi al mercato. E a tutti chiedono di andare a votare, perché questa volta si vota per noi stessi e che... la libertà è partecipazione.

Fonte

Grande manifestazione per l'acqua pubblica e il 'no' al nucleare - di Redazione Contropiano


Lo spezzone dell'USBGrande manifestazione oggi in difesa dell'acqua pubblica e contro il nucleare. Per «il diritto alla vita, che passerà anche per i referendum del 12 e 13 giugno». Il popolo dei “beni comuni” ha dato un'ottima prova di partecipazione. Trecentomila, secondo gli organizzatori, i partecipanti al corteo promosso dal Comitato referendario.
In prima fila associazioni, movimenti e cittadini. Strada facendo si è sentita anche una forte istanza pacifista, con molta gente che gridava «No alla nuova guerra del petrolio».
«I cittadini - spiega Ciro Pesacane, del Comitato - si sono autotassati e hanno affittato i pullman a loro spese. Vogliono l'acqua e il sole, mica la luna».
In testa al corteo numerosi gonfaloni di diversi comuni e provincie d'Italia, da Capannori, in provincia di Lucca, a Cagliari, passando per Aprilia, vicino Latina, diventato il comune simbolo di cosa accade con la “privatizzazione”. Bandiere di tutti i colori: azzurre del comitato, ma numerosissime quelle arcobaleno, di Legambiente, Arci, Emergency, Wwf e di diversi sindacati.
«No alla guerra per l'acqua, per il petrolio e per l'uranio», recita il cartellone esposto da alcuni ragazzi «pacifisti» di Belluno. «Abbiamo fatto un lungo viaggio per sostenere questa piazza - racconta Marco, un ingegnere - Sono venuto con mia moglie e con i miei due figli, perchè questa battaglia è soprattutto per loro. Per il loro futuro».
«Per la prima volta nasce, dal basso, un progetto politico riconosciuto dalla Costituzione – spiega padre Alex Zanotelli - La speranza non può venire dalla politica».
Ciò nonostante, qualche faccia di politico in cerca di voti si è fatta vedere. In piazza della Repubblica, con bandiere verdi c'erano anche studenti libici e alcune delle hostess che incontrarono Gheddafi durante le visite in Italia. «No alle bombe umanitarie, sì al dialogo», urlano, «l'Occidente vuole solo il petrolio libico».
Agli studenti si sono unite alcune hostess italiane. «Sono stata tre volte in Libia, lì non c'è tanta miseria, il popolo vive in una condizione normale. Dove è stata finora la Nato nei riguardi degli eventi della Striscia di Gaza», osserva Clio, una delle ragazze che incontrarono il colonnello a Roma e che oggi si è vestita di nero «essendo in lutto per le vittime in Libia»
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Marcia per la vittoria

Andrea Palladino - Il Manifesto

A ben pensarci c'è qualcosa di curioso nel vedere decine e decine di migliaia di persone sfilare, a Roma, per l'acqua. Non è la Bolivia delle rivolte di qualche anno fa, o il Maghreb infiammato dai costi dei beni essenziali. È un paese pigro e cupo, l'Italia che ci mostrano quotidianamente, che nulla dovrebbe avere a che fare con un movimento così forte, capillare, anticonformista e orgoglioso come quello che chiede - da almeno cinque anni - di cambiare la politica partendo dal concetto di beni comuni. Eppure ieri a Roma centinaia di comitati cittadini, associazioni più o meno informali, parti di una rete cresciuta nel silenzio allineato dell'informazione e della politica - almeno quella parlamentare - hanno riaffermato la centralità del movimento per i beni comuni nel nostro paese. Con volontà e creatività, prendendo in mano per qualche ora la capitale, puntando al raggiungere il quorum dopo sedici anni di referendum falliti, un obiettivo che potrebbe rivoluzionare la politica italiana, soprattutto a sinistra.
Un milione e quattrocentomila firme raccolte in tre mesi non avrebbero senso senza tenere a mente questo volto della società italiana dell'era di Berlusconi, che è la vera spina dorsale di quello che i media chiamano - semplificando - il popolo dell'acqua.
Elencare le città comporebbe una lista immensa e senza senso. Conviene allora citare una parte importante e unica del movimento, il gruppo degli enti locali per l'acqua pubblica che ieri aprivano il corteo con i gonfaloni storici delle città. Un'intera regione, le Marche, le province di Cagliari e Campobasso e tantissimi comuni, con i sindaci, le delegazioni, le fasce tricolori. Uno fra tutti, quello di Aprilia, che con determinazione ha presentato il foglio di via al gestore privato Acqualatina, dopo avere visto le pattuglie con vigilantes armati andare a staccare l'acqua a chi contestava gli aumenti a tre cifre.
Il ricordo della prima manifestazione nazionale - che ha percorso le vie di Roma nel 2009 - sembra già affondare nella preistoria. Allora i manifestanti erano meno di quarantamila e il punto di arrivo era la piccola piazza Farnese, con un piccolo camion come palco. Lo scorso anno il centro storico venne letteralmente invaso dalle centinaia - oggi forse migliaia - di comitati cittadini, Sembrava l'apice di un movimento, un punto di non ritorno. Non era che l'inizio.
Ieri i movimenti per l'acqua non hanno temuto di accogliere le altre parti della società civile, quella antinuclearista e l'anima pacifista. E non era solo la cronaca ad imporre un ritmo differente, una suddivisione del corteo, sostanzialmente aperto e coinvolgente. Qualcosa sta cambiando, a ben guardare i trecentomila volti sfilati da piazza della Repubblica fino a San Giovanni, sfidando i grandi numeri. Ci sono segnali chiari e oggettivi, che rendono misurabile il movimento: «Lo scorso anno avevamo si e no riempito un pullman - spiegano i gruppi venuti dalla Calabria - quest'anno ne abbiamo organizzati quattro, e saremmo andati oltre se non c'era un problema di costo». Stessi numeri e stesso balzo in avanti per un'altra regione, il Piemonte. E poi la presenza forte delle zone storiche del Pd - che sul tema dell'acqua mostra ancora molte ambiguità - come la Toscana e l'Emilia Romagna. E poi la Puglia alle prese con la prima grande ripubblicizzazione in Italia, la Campania, dove i comitati si trovano di fronte all'eterna emergenza dei rifiuti, la Sicilia, che grazie al movimento per l'acqua ha raggiunto il primo obiettivo di una legge regionale che potrebbe togliere le risorse idriche ai privati. E la Calabria, dove la rete che oggi si riunisce attorno alla difesa dei beni comuni era nata nell'ottobre del 2009, con la manifestazione di Amantea per la verità sulle navi dei veleni.
Il quorum da raggiungere per i referendum su acqua e nucleare sembra non spaventare i comitati che ieri hanno colorato una Roma un po' sonnacchiosa e primaverile. Un segno importante è stato la partecipazione del gruppo ecodem - l'area ecologista del Pd - al corteo, con uno striscione sorretto, tra gli altri, da Roberto Della Seta. In questi mesi la posizione dei democratici non era stata particolarmente netta, soprattutto sul secondo quesito che prevede l'eliminazione del profitto garantito per i gestori privati dell'acqua. E proprio gli ecodem fin dall'inizio avevano agitato lo spettro del quorum ritenuto impossibile da raggiungere. Con il disastro di Fukushima le cose sono ovviamente cambiate. Ma forse è cambiata anche la percezione che viene dai territori, dove il Pd vede crescere in maniera esponenziale il movimento per l'acqua. Un confronto che guadagna sempre più consenso e coscienza critica.

Fonte

E' pronto il kit per gli attivisti dell'acqua! - da Acqua Bene Comune

sabbadetottusE' un insieme di strumenti, semplici ed immediati (un opuscolo esplicativo, una presentazione con diapositive, una brochure, un volantino, un segnalibro, gli adesivi, una bibliografia) oltre ad una selezione di video. Si tratta di uno strumento per comunicare i contenuti essenziali della battaglia referendaria per la ripubblicizzazione dell'acqua; come vedrete ci sono anche le domande più frequenti, fatte in buona e cattiva fede, che ci vengono sottoposte. Come scritto in precedenze è volutamente pensato in maniera semplice, comprensibile e schematica perchè possa essere utile per comunicare direttamente con i cittadini, per organizzare momenti informativi, anche piccoli, dovunque sia possibile. Immaginato in modo flessibile per utilizzare i contenuti a seconda dei contesti ed essere integrato con informazioni specifiche dai territori.

(Scarica il kit)

Partiti, multinazionali, banche e i soliti imprenditori con gli agganci giusti stanno mettendo le mani sulle aziende pubbliche dell'acqua e sui rubinetti di milioni d’italiani. Fra questi potresti esserci anche tu.

Da anni, una grande coalizione sociale e cittadina cerca, invece, di difendere la gestione pubblica dell'acqua promuovendo il controllo e la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni su un bene comune di vitale importanza.

Il governo da un anno ha varato una norma che obbliga le aziende pubbliche a dismettere buona parte del loro capitale a favore dei privati entro il 2011. Contro questa legge abbiamo promosso 3 referendum e raccolto 1,4 milioni di firme per ciascuno di essi (record della storia repubblicana). Ora vogliamo che tutti i cittadini si possano esprimere e votare.

Aiutaci a sostenere la campagna referendaria, a informare tutti gli italiani del pericolo che corrono e del modo per fermarli. È il momento di schierarsi, di partecipare, di condividere.

Fallo ora.


(Scarica il kit)

www.referendumacqua.it.

La manifestazione nazionale del 26 marzo: QUI.

Vota Sì: una manifestazione per l'acqua bene comune - di Alternativa

duoseyasprosabba 

26 marzo 2011
Ore 14.00 - Piazza della Repubblica
Manifestazione nazionale a Roma

VOTA SI' AI REFERENDUM PER L’ACQUA BENE COMUNE!
SI' per fermare il nucleare, per la difesa dei beni comuni,dei diritti, della democrazia

Oltre un milione e quattrocentomila donne e uomini hanno sottoscritto i referendum per togliere la gestione del servizio idrico dal mercato e i profitti dall’acqua.
Lo hanno fatto attraverso una straordinaria esperienza di partecipazione dal basso, senza sponsorizzazioni politiche e grandi finanziatori, nel quasi totale silenzio dei principali mass-media.
Grazie a queste donne e questi uomini, nella prossima primavera l’intero popolo italiano sarà chiamato a pronunciarsi su una grande battaglia di civiltà: decidere se l’acqua debba essere un bene comune, un diritto umano universale e quindi gestita in forma pubblica e partecipativa o una merce da mettere a disposizione del mercato e dei grandi capitali finanziari, anche stranieri.
Noi che ci siamo impegnati nelle mobilitazioni del popolo dell’acqua, nelle battaglie per la riappropriazione sociale dei beni comuni e per la difesa dei diritti pensiamo che i referendum siano un’espressione sostanziale della democrazia attraverso la quale i cittadini esercitano la sovranità popolare su scelte essenziali della politica che riguardano l’esistenza collettiva.
Per consentire la massima partecipazione, chiediamo che il voto referendario sia accorpato alle prossime elezioni amministrative e che prima della celebrazione dei referendum si imponga la moratoria ai processi di privatizzazione.
Crediamo anche che il ricorso all’energia nucleare sia una una scelta sbagliata perché è una fonte rischiosa, costosa, non sicura e nei fatti alternativa al risparmio energetico e all'utilizzo delle fonti rinnovabili.
Siamo convinti che una vittoria dei SI ai referendum della prossima primavera possa costituire una prima e fondamentale tappa, non solo per riconsegnare il bene comune acqua alla gestione partecipativa delle comunità locali, bensì per invertire la rotta e sconfiggere le politiche liberiste e le privatizzazioni dei beni comuni che negli ultimi trent’anni hanno prodotto solo l’impoverimento di larga parte delle popolazioni e dei territori e arricchito pochi gruppi finanziari con una drastica riduzione dei diritti conquistati, determinando la drammatica crisi economica, sociale, ecologica e di democrazia nella quale siamo tuttora immersi.
Cambiare si può e possiamo farlo tutte e tutti assieme.

Per questo chiamiamo tutte le donne e gli uomini di questo Paese a una grande manifestazione nazionale del popolo dell’acqua e dei movimenti per i beni comuni da tenersi a Roma sabato 26 marzo 2011.

Una manifestazione aperta, allegra e plurale.
Per lanciare la vittoria dei SI ai referendum per l’acqua bene comune.
E per dire che un’altra Italia è possibile. Qui ed ora.

Perché solo la partecipazione è libertà.
Perché si scrive acqua e si legge democrazia.


PROMUOVONO:

Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua
Comitato Referendario “2 SI’ per l’Acqua Bene Comune”
Agenzia Italiana per la Campagna e l'Agricoltura Responsabile ed Etica
Anomalia Sapienza
Fondazione Rosa Luxemburg


SOSTENGONO:
Alternativa - Laboratorio Politico
Circolo Sabina Romana di Sinistra Ecologia e Libertà
Comunisti Sinistra Popolare
Costituente Ecologista
Federazione della Sinistra
Sinistra Critica
Sinistra Ecologia e Libertà

Acqua e Nucleare! votiamo a Maggio!

Acqua. Berlino dà l’esempio - di Andrea Bertaglio

 Il referendum popolare di domenica scorsa si è chiuso con una vittoria che ha sfiorato l’unanimità: il 98,2 per cento dei cittadini vuole che la Berliner Wasserbetriebe sia gestita esclusivamente dal Comune

Anche a Berlino l’acqua torna pubblica. A deciderlo una consultazione popolare che ha chiesto ai cittadini della capitale tedesca, domenica 13 febbraio, di dire “sì” o “no” alla proposta di togliere la gestione dell’acqua ai privati. 
 
Se in Italia si deve ancora votare sulla questione della privatizzazione dei servizi idrici, e se in una città come Parigi è già stato deciso da parecchio tempo di renderli nuovamente pubblici, oggi anche Berlino ha deciso che non si possono più associare speculazioni e profitti ad un bene di primaria importanza come l’acqua. I berlinesi hanno infatti votato “sì” al referendum per l’annullamento della privatizzazione parziale della società di gestione dei servizi idrici. Una vittoria a dir poco schiacciante: su oltre 678.000 elettori, il 98,2%, ha votato a favore di un’inversione di marcia, rivendicando anche una maggiore trasparenza dei contratti.
 
«Un bene essenziale come l'acqua non può essere fonte di profitto, vogliamo che torni in mano pubblica», ha dichiarato il portavoce del Comitato promotore, Thomas Rodek. E così sarà. Quello del referendum berlinese è stato un trionfo dei sì: ne servivano almeno 616.571, e ne sono arrivati 665.713. Andreas Fuchs, il cassiere del comitato referendario, commenta: «Ci speravo, ma non me l’aspettavo più, vista la scarsa affluenza in mattinata». Ed aggiunge: «È la prova che si può fare molto anche con pochi mezzi». Pochi mezzi davvero, dato che il comitato disponeva di soli 12 mila euro per organizzare tutto: soldi ottenuti interamente da donazioni (mentre gli organizzatori del fallito referendum sulla religione a scuola di due anni fa avevano raccolto centinaia di migliaia di euro).
 
La richiesta riguardava la pubblicazione integrale del contratto con cui nel 1999 la capitale tedesca, cercando di fare cassa, decise di vendere alle società Rwe e Veolia il 49,9% dell’azienda dei servizi idrici comunali, la Berliner Wasserbetriebe. Un contratto di cui solo nel novembre del 2010 i promotori del referendum hanno ottenuto la pubblicazione da parte del municipio berlinese: 700 pagine che illustrano il processo di privatizzazione parziale. Un dossier che mostra come la città abbia garantito alti margini di guadagno alle due imprese interessate, Rwe e Veolia. Che, nell’arco di dieci anni, hanno incassato più utili dell’intera città di Berlino: 1,3 miliardi contro 696 milioni. Ora l’obiettivo del comitato referendario resta quello di riportare completamente la Berliner Wasserbetriebe in mani pubbliche. Evitando possibilmente di replicare quanto successo nella vicina Potsdam, dove, nonostante la società di gestione dei servizi idrici sia stata rimunicipalizzata dieci anni fa, i prezzi hanno continuato a salire. E a far pagare oggi un metro cubo d’acqua più che a Berlino (5,82 euro).
 
In una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno gli italiani si potranno esprimere sul quesito riguardante l'abrogazione del decreto Ronchi, col quale nel 2009 è stato sancito che il servizio idrico non potrà più essere gestito da società pubbliche, ma solamente affidato a società che sono o totalmente private, o possedute da privati per almeno il 40%. Il secondo quesito riguarda invece la cancellazione del “Codice dell'ambiente”, una norma che prevede una quota di profitto sulla tariffa per il servizio idrico, la cosiddetta "remunerazione del capitale investito". 
 
Secondo i detrattori italiani dei referendum sull’acqua “privatizzare non può che migliorare la qualità dei servizi”. Per i sostenitori del referendum di Berlino, invece, in seguito alla privatizzazione parziale dei servizi idrici comunali i prezzi dell’acqua sono aumentati del 35%, collocandosi fra i più alti di qualsiasi altra città tedesca. A Berlino un metro cubo d’acqua costa 5,12 euro, a Colonia 3,26. Teniamolo ben presente, quando questa primavera ci recheremo a votare. Ce lo ricorda anche Dorothea Härlin, del comitato referendario berlinese, che sottolinea l’importanza internazionale del successo registrato nelle urne il 13 febbraio, ricordando che «non soltanto i berlinesi, ma i cittadini di tutto il mondo si battono per l’acqua».
 

Perché dobbiamo opporci all´acqua privatizzata - di Carlo Petrini


Salvare l’acqua pubblica anche per salvare la terra.
"Fiumi battete le mani", ha commentato Padre Zanotelli quando ha saputo che i quesiti referendari contro la privatizzazione dell´acqua erano stati accolti. «Cittadini, battiamo un colpo», mi viene da dire dopo aver osservato per giorni la pressoché totale indifferenza di media e politici su questo tema.

La campagna referendaria è iniziata, ma non ce ne siamo accorti perché siamo insabbiati in questa politica di piccolissimo cabotaggio, che rema a fatica da una notiziola giudiziaria all´altra. Non è un caso se tra i quesiti referendari l´unico che ha avuto dignità di stampa è quello che chiede l´annullamento della legge sul legittimo impedimento.
Ma, come diceva Einstein, non possiamo pensare di risolvere i problemi con la stessa mentalità con cui li abbiamo creati. Abbiamo creduto che il mondo della politica fosse interamente e costantemente al servizio del bene pubblico. Quella politica ha prodotto una norma inaccettabile, che addirittura dimentica alcune leggi fondamentali del tanto amato libero mercato.

Sì, perché nel libero mercato si deve essere liberi di vendere ma anche di comprare. Le due controparti (la domanda e l´offerta) si possono influenzare reciprocamente, stanno in una sorta di rapporto paritario, o per lo meno presunto tale. Se tu alzi troppo i prezzi io non compro, e quando vedrai che nessuno compra allora abbasserai i prezzi. Questo può succedere solo se tu sei libero di vendere e io sono libero di comprare. Ma se tu possiedi qualcosa di indispensabile per la mia stessa esistenza, allora la mia libertà di acquistare non esiste. L´acqua, l´aria, le sementi, la salute, l´educazione, la fertilità dei suoli, la bellezza dei paesaggi, la creatività.... non possono essere assimilate alla categoria delle merci.

Il diritto necessita di nuovi paradigmi per gestire i cosiddetti "beni comuni". Se i beni comuni diventano proprietà di qualcuno, tutti gli altri, ad esclusione di quel "qualcuno" ne avranno un danno, la loro vita sarà in pericolo.

Ora, siamo a questo punto: esiste una norma che rende privatizzabile l´acqua e con quei referendum la possiamo cancellare. Occorre però che vadano a votare almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto. Nelle ultime elezioni politiche gli aventi diritto erano circa 47 milioni. Mal contati, occorre che circa 25 milioni di cittadini italiani, si rechino a votare.

Ma prima di tutto questo occorre che siano informati, che sappiano dove informarsi, che si rendano conto che siamo nel bel mezzo di una campagna referendaria fondamentale. A chi affidiamo questo incarico? Quella che ha prodotto la legge sulla privatizzazione? Oppure all´informazione, quella che si lascia trascinare nelle sabbie mobili della politica? Occorre iniziare a far da noi. "Uscirne da soli – diceva don Milani – è l´avarizia. Uscirne insieme è la politica". Ecco, usciamone insieme da questo pantano, e creiamo, in ogni città, un nuovo soggetto politico, che faccia da punto di riferimento per la difesa dei beni comuni e l´informazione che li riguarda. Oggi lavorerà sull´acqua, ma le emergenze non scarseggiano: dalla cementificazione dilagante alle polveri sottili nell´aria alle lapidi fotovoltaiche sui campi fertili, dalle scuole senza carta igienica alle strade piene di immondizia.

La politica dei partiti non ce la fa. Non ha strumenti né energie, in questo momento, culturali o intellettuali, per una simile rivoluzione. Occorre che i cittadini si attivino. Senza bandiere, né raggruppamenti di sigle: non importa a nessuno sapere che berretto abbiamo sulla testa, importa sapere che pensieri abbiamo dentro la testa e che azioni sappiamo produrre. Chiamiamola Azione Popolare, come suggerisce Settis nel suo libro "Paesaggio, costituzione, cemento" (Einaudi), o in qualsiasi altro modo. Ma sbrighiamoci, perché abbiamo bisogno di queste nuove strutture, leggere, puntuali, attente, legate ai municipi, alle parrocchie alle bocciofile, non importa: basta che coagulino persone che agiscano come presidi di cervelli e cuori sui territori, nelle grandi città come nei borghi. Oggi si diano da fare per far sapere a tutti di cosa si sta parlando quando si parla di acqua pubblica, quali valori sono in gioco, quali pericoli sono in agguato.

Il comitato promotore dei referendum "Acqua bene comune" ha fatto, finora, i miracoli. Quasi un milione e mezzo di firme raccolte e due quesiti su tre passati è un risultato straordinario. Adesso i territori si mobilitino, fino a quando non avremo la certezza che 25 milioni di italiani sono andati a votare: altrimenti i referendum non saranno validi. Poi, statene certi, quelle strutture non resteranno senza lavoro. Lo dico con un po´ di tristezza, perché in un mondo ideale non dovrebbero avere nulla da fare. Ma siamo nel mondo reale, e c´è tanto lavoro da fare perchè diventi il miglior mondo possibile.


mineracqua, quando la pubblicità è ingannevole

In anteprima, il contenuto della sentenza del Giurì contro lo spot istituzionale degli industriali delle acque minerali

C’ha provato, Mineracqua, ma è stata colta in fallo. Se non vedete più su quotidiani e periodici la pubblicità istituzionale della federazione nazionale delle aziende che imbottigliano e vendono acqua minerale, infatti, non è perché sono finiti i soldi.
 
È stato il Giurì di autodisciplina pubblicitaria (www.iap.it) a “bocciare”, giudicandolo ingannevole, il contenuto dello spot, il cui claim era “Acqua minerale. Molto più che potabile” e il cui messaggio era una (presunta) comparazione tra le caratteristiche delle acque minerali e di quella erogata dagli acquedotti (vedi Ae 121). Una comparazione a senso unico. 
 
Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, intervistato a metà gennaio da Radio 24 in merito alla decisione del Giurì ha spiegato come, a suo avviso, si trattasse di “una decisione politica e non tecnico-giuridica”.
 
Altreconomia ha potuto visionare in anteprima la pronuncia del Giurì (la decisione è stata presa a fine novembre 2010, ma la sentenza non è stata ancora pubblicata), un testo che smonta la “tesi” di Fortuna e fornisce spunti di riflessione in merito al rapporto tra diritto a una corretta informazione e informazione commerciale.
 
Il Giurì, infatti, ha scelto di trattare (e sanzionare) il messaggio pubblicitario tanto nel merito quanto sul metodo. Da un lato scrive che “i quattro aspetti che il messaggio evidenzia quali caratteristiche che accrediterebbero alle acque minerali un grado di sicurezza per i consumatori maggiore rispetto a quello della cosiddetta acqua di rubinetto -sintetizzati dai titoli 'senza cloro', 'senza deroghe', 'senza trasformazioni' e 'senza paragoni'- risultano trattati con una impostazione non corretta, idonea ad ingenerare nel pubblico convinzioni errate e timori non giustificati circa una tendenziale insicurezza delle acque potabili, in particolare per la salute dei fruitori”. In particolare, l'affermazione secondo la quale l'acqua minerale è “solo” bevibile -scrive il Giurì- “ha in sé una valenza spregiativa non giustificabile”.   

Poiché la pubblicità si chiude con la frase “Da un'informazione trasparente nascono scelte libere”, il Giurì ha ritenuto opportuno censurare anche il metodo utilizzato da Mineracqua, secondo la quale la pubblicità era una forma di contro informazione necessaria per pareggiare il conto con le campagne che, come la nostra “Imbrocchiamola!”, “hanno promosso verso i cittadini il consumo di acqua potabile a discapito della minerale imbottigliata”. “L'annuncio, che promette oltretutto una 'informazione trasparente', quasi a sottolineare una carenza di corretta informazione che circonderebbe e proteggerebbe il mondo delle acque di rubinetto, fa così leva sulla enunciazione di dati parziali, o di suggestione, per pervenire al risultato di una comunicazione tendenziosa che getta ombre di potenziale insicurezza, o comunque discredito, sull'acqua erogata dagli acquedotti” spiega il Giurì.    
 
Mineracqua esce così con le ossa rotte dal primo tentativo di pubblicità istituzionale. Ettore Fortuna, cui la bocciatura ha senz'altro dato fastidio, nell'intervista con Radio 24 aveva fatto intendere anche che l’azione presso il comitato di controllo sia stata promossa da alcuni enti locali, con riferimento in particolare al Comune di Milano. Niente di più sbagliato, anche in questo caso: Vincenzo Guggino, segretario generale dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap), ci ha spiegato che “l’istanza è un’iniziativa autonoma del Giurì. La materia -ha continuato- è d’interesse perché la pubblicità mette in discussione la qualità dell’acqua di rubinetto. Il comitato di controllo, che istruisce l’istanza, è una sorta di pm; il Giurì, organo giudicante, è un giudice terzo”. Guggino ha definito “bizzarro” l’atteggiamento di Fortuna, visto che in passato “le associate a Mineracqua in più occasioni hanno usato il Giurì per ‘guerre commerciali’”. Non oggi però, e l’attività e i giudizi dell’Istituto vanno delegittimati.

Fonte

Acqua, il comune aderisca al referendum per mantenerla pubblica

Appello del “comitato acqua referendum del saronnese” che chiede: “Cosa succedere dopo le perdite di bilancio nella gestione dell’acquedotto?”
 
Saronno - «Muoversi subito per fare qualcosa che tuteli l’acqua come bene pubblico. Chiediamo anche all’amministrazione comunale e al sindaco Porro di aderire al referendum acqua». Parole del “comitato referendum acqua del saronnese” che chiede una chiara presa di posizione al comune di Saronno. La proposta è stata presentata dai responsabili del comitato: Roberto Guaglianone, Walter Porcelli, Mirko Giammella, Roberto Strada. Il Comitato Referendum Acqua del saronnese comprende tutti i comuni del saronnese: Saronno, Caronno, Origgio, Uboldo, Gerenzano e Cislago.
La prima uscita pubblica del Comitato referendum Acqua sarà sabato 5 febbraio dalle 15.00 alle 19.00 in concomitanza con l'iniziativa Nazionale, saremo presenti in Piazza Volontari del Sangue con un Gazebo. Inoltre Giovedì sera alle 21.15 presso la sede di Attac in viale Amendola ci sarà la prima riunione del comitato, aperta a tutti i cittadini o associazioni che vorranno aderire.  

«Vogliamo - spiegano i responsabili del comitato - tramite il referendum rendere nulle le conseguenze dell'attuale decreto Rochi e dell'attuale legge regionale, che di fatto, nelle loro applicazioni, impongono la privatizzazione dei servizi e "il tasso di profitto obbligatorio" (io investo nella rete distributiva e ho diritto ad una remunerazione che non può essere inferiore al 7%) , di fatto studi sulle conseguenze della privatizzazione dell'acqua portano a considerare che le attuali tariffe aumenteranno del 250, 300% rispetto alle attuali».  

«Ci domandiamo, che fine farà l'acqua del saronnese - proseguono dal comitato - Attualmente per esempio l'acqua di Saronno, Uboldo e Origgio è gestita da una società per azioni (di diritto privato)  Saronno Servizi SpA  che ha capitale interamente pubblico, con regole di funzionamento private, Che non è obbligata a rispondere del suo operato ai rappresentanti dei cittadini, cioè al Consiglio Comunale. Lo stesso vale per Caronno (Lura Ambiente SpA), Gerenzano (Sogeiva SpA) e Cislago (Seprio Servizi Srl),  pensate che il comune di Saronno ha ripianato, anche quest'anno, il bilancio in perdita di saronno Servizi Spa: oltre 300 mila euro, curiosamente corrispondenti al "buco" gestionale del servizio Idrico integrato, cioè la gestione dell'acqua dei tre comuni gestiti da Saronno Servizi. Ora il Decreto Ronchi impone la cessione ai privati del 40 % del capitale dela SpA a capitale pubblico, entro il 31.12.2011, la legge regionale approvata il 22 dicembre 2010 dalla maggioranza di Centriodestra, non solo impone la privatizzazione prevista dal decreto Ronchi, ma sottrae ai comuni la gestione dell'acqua, facendola affidare ai privati da una società non pubblica della Provincia».  

Dal comitato giungono quindi domande dirette al comune: «È legittimo chiedersi, in un quadro come questo,  che fine farà il nostro acquedotto? Automatico sarà l'aumento delle tariffe, la gestione del servizio sarà completamente fuori dal controllo pubblico e finalizzata ad un profitto (7% minimo) riconosciuto addirittura obbligatorio per legge.  Si può evitare tutto ciò? Occorre che il referendum che abrogha gli articoli della legge Ronchi vinca. Invitamo inoltre l'amministrazione di saronno e il Sindaco Porro a schierarsi apertamente per il referndum sostenendo la campagna referendaria ed aderendo alla rete nazionale degli enti locali per l'acqua pubblica, invitiamo inoltre l'amministrazione comunale ed il Sindaco Porro ad attuare ogni forma di pressione istituzionale possibile al fine di contrastare l'attuazione della Legge Regionale, anche in raccordo con le opposizioni in Consiglio Regionale, invitiamo il Sindaco a convocare prima possibile la Commissione Acqua appena costituita. 
 

Acqua, la Corte Costituzionale ha detto sì ai referendum- di Luca Martinelli

Segnalato da FabioNews

Due dei tre quesiti hanno passato il vaglio della Consulta

La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili 2 dei tre quesiti referendari contro la privatizzazione dell'acqua promossi dal Comitato promotore referendario.

Paolo Carsetti, segretario del Forum italiano dei movimenti per l'acqua e del Comitato promotore spiega che "l'interpretazione della Corte conferma la nostra impostazione sull'abrogazione totale del decreto Ronchi (l. 166/2009). A breve arriverà la comunicazione ufficiale della Corte, per bloccare ogni tipo di speculazione".
 
È attesa invece entro febbraio la sentenza, nella quale la Corte chiarirà le motivazioni che hanno spinto invece a bocciare il secondo dei tre quesiti referendari, quello che chiedeva l'abrogazione dell'articolo 150 del Testo unico dell'ambiente (152/2006) in merito all'affidamento del servizio escludendo le società per azioni, società di capitali: "Crediamo che ciò sia dovuto al fatto che la disciplina sia stata modificata, con l'approvazione dei decreti attuativi del decreto Ronchi, in una data successiva rispetto alla presentazione dei nostri quesiti referendari", spiega Carsetti.

In mattinata (del 12 gennaio, ndr) si è tenuta la Camera di consiglio della Corte, durata circa due ore, che ha visto gli interventi di quanti avevano depositato memorie ad adiuvandum, ovvero a favore dei tre quesiti (l'avvocato Luciani per il Comitato promotore; i professori Ugo Mattei, Alberto Lucarelli e l'avvocato Franzo Grande Stevens per il Comitato Siacquapubblica; Pietro Adami per i Giuristi Democratici) e ad opponendun, ovvero contro (Antonio Tallarida per l'Avvocatura di Stato; Tommaso Edoardo Frosini e Giovanni Pitruzzella per il Comitato Acqualiberatutti; Tommaso Edoardo Frosini per Fare Ambiente; Federico Sorrentino per l'Associazione nazionale fra gli industriali degli acquedotti, Anfida). Le considerazioni poste da coloro che si opponevano all'ammissione dei tre referendum non hanno saputo "conquistare" i giudici della Corte Costituzionale. Dalle "memorie" presentate si evince, ad esempio, l'affermazione che il decreto Ronchi non era abrogabile (come chiede il primo quesito) perché norma comunitaria, il che è un falso. Un'altra opposizione poneva l'accento sul fatto che la campagna informativa del Comitato promotore era falsata, perché "eterogenea" rispetto all'oggetto del referendum. Il decreto, infatti, fa riferimento a una pluralità di servizi pubblici locali.

"La relazione più efficace è stata fatta da Sorrentino, per conto della Anfida, l'Associazione nazionale fra gli industriali degli acquedotti in seno Confindustria -spiega Carsetti-. Le altre erano molto deboli". La Corte Costituzionale ha infine bocciato il quesito referendario sull'acqua promosso dal partito dell'Italia dei Valori. In un comunicato stampa, il Comitato promotore ha evidenziato i prossimi passi in vista del voto, atteso per la primavera: "Il Comitato Promotore oggi più che mai esige un immediato provvedimento di moratoria sulle scadenze del Decreto Ronchi e sull'abrogazione degli Ambiti territoriali ottimali, un necessario atto di democrazia perché a decidere sull'acqua siano davvero gli italiani. Il Comitato Promotore attiverà tutti i contatti istituzionali necessari per chiedere che la data del voto referendario coincida con quella delle elezioni amministrative della prossima primavera".

L’acqua e i veleni - di Concita De Gregorio

L’acqua e i veleni
Ho visto un bellissimo film: «Anche la pioggia» di Iciar Bollain, la regista autrice di «Ti do i miei occhi», opera che mi auguro abbiate amato in molti. È candidato a rappresentare la Spagna agli Oscar, un temibile avversario per il nostro «La prima cosa bella», uscirà presto in Italia. Ve ne parlo oggi perchè uscendo dalla sala ho molto pensato a quanto poco i giornali e le tv nazionali parlino della grande battaglia contro la privatizzazione dell’acqua, uno di quei temi che mobilitano grandi passioni soprattutto giovanili  si tratta del futuro, del resto  e che sono trattati in genere, invece, come quelle campagne di certi estremisti che si ritovano sul web a protestare, inascoltati dalla politica e ignorati dai grandi mezzi di informazione. È di acqua che parla, anche, il film di Iciar Bollain. Della grande rivolta contro la privatizzazione dell’acqua in Bolivia  anche l’acqua della pioggia, anche su quella il governo ha preteso un dazio  mentre racconta di un film che una troupe spagnola sta girando su Colombo, la conquista delle Indie, Bartolomeo de las Casas. Mentre gli attori il produttore il regista girano una storia di 600 anni fa, si trovano ad osservare, per le strade di Cochabamba, le stesse dinamiche, gli stessi soprusi ai danni degli indios, le stesse parole in bocca a moderni rivoltosi che pretendono solo di continuare a vivere nella loro terra senza morire per riverire l’invasore. Ieri la Spagna, oggi le leggi dell’economia americana. Ve ne parlo perchè la battaglia per l’acqua pubblica è uno di quei segni del tempo che passano inosservati e sono invece grandi trasformazioni epocali destinate a modificare il destino dei popoli, delle generazioni a venire.

Oggi non è di acqua ma di federalismo che si discute. Discutere è un concetto forte: diciamo che la maggioranza degli italiani subisce senza sapere una trasformazione di cui non conosce connotati e conseguenze. È la Lega che mena la danza. Da anni ripete che il federalismo è il futuro del paese, la chiave per chiudere col passato, è la strada per andare avanti anziché tornare indietro. Il federalismo fiscale, antipasto di quello più ampio che dovrebbe seguire a ruota, sta dettando l’agenda politica del paese e del governo. Senza federalismo niente Unità d’Italia. Senza federalismo cade il governo. Senza federalismo si va alle urne. È una patacca, ma che volete che sia? L’importante è avere un argomento per vincere le elezioni, uno scalpo da mostrare in campagna elettorale. Quella che sta per arrivare. Perché il disegno della Lega è chiaro: prendere il federalismo, andare alle urne, fare il pieno di voti e puntare su un cavallo più verde che azzurro: Tremonti, ad esempio. È il sogno di Bossi ma anche l’incubo di Berlusconi, sulla cui testa si addensano nubi minacciose, come quella che uscirà giovedì dal palazzo della Consulta. Incubi e sospetti, veleni e coltelli (vedi lo splendido duello Feltri-Sallusti). Eccola l’agenda politica del presidente del Consiglio: non risolvere i guai del paese, ma difendere la poltrona più alta. E il federalismo? Sarà un disastro ma facciamo silenzio, non diciamolo a nessuno. Lasciamo che sia il popolo del web ad accorgersene.

Vi stanno togliendo l’acqua, e moltissimo di più.