(19 Marzo 2007)

Nel mondo ottocento milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile: nelle zone rurali dell’Africa Subsahariana non può bere un bicchiere d’acqua il 42 per cento della popolazione.
Numerose organizzazioni non governative che partecipano all’Amece hanno avanzato una proposta: accantonare un centesimo per ogni metro cubo di acqua erogato dalle imprese pubbliche con l’obiettivo di costruire un fondo comune tra le ong. L’incasso potrà essere utilizzato per investimenti nei paesi in via di sviluppo colpiti dall’emergenza idrica.
L’acqua è una risorsa contesa: 263 bacini attraversano i confini politici di territori occupati dal 40 per cento della popolazione umana. “C’è bisogno di un riconoscimento internazionale per l’inalienabilità dell’acqua” sostiene Emilio Molinari, presidente del Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionali (Cipsi) “dalla Carta dei diritti umani alle carte costituzionali delle singole nazioni. In Uruguay è un diritto garantito dalla costituzione, in Belgio è una legge”.
“L’acqua è un bene comune” sottolinea Molinari “e non può essere privatizzata né monetizzata”. Secondo il Rapporto Onu sullo sviluppo umano del 2006 i servizi idrici più economici sono proprio quelli forniti dalle aziende pubbliche. I venditori al dettaglio sono invece i più cari e sono numerosi soprattutto nei paesi sottosviluppati: a Kibera, in Kenya, un metro cubo d’acqua costa 3,5 dollari, sette volte di più che nei paesi ricchi.
Chi vuole seguire in diretta le discussioni in Europa dal 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua, può usare la webcam predisposta nell’ambito delle iniziative della Comunità europea. Gli appassionati di statistiche possono contribuire all’analisi dei dati raccolti sugli aspetti dell’emergenza acqua attraverso il Berkeley Water Center, un progetto di elaborazione distribuita con il contributo di computer da tutto il mondo.
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